In questo tempo di quaresima, non si può non pensare al grande mistero del triduo santo che, al termine di questi quaranta giorni, ci farà rimeditare e rivivere nell'oggi della liturgia la passione, morte e risurrezione di Gesù.
Un aiuto a questo percorso di conversione proviene dalla meditazione sulla centralità della Croce nel culto e, di conseguenza, nella vita del cristiano. Le letture bibliche della messa dell'Esaltazione della santa croce (14 settembre) presentano, tra gli altri, il tema del guardare a. Gli israeliti devono guardare al serpente di bronzo innalzato sull'asta, per essere guariti dal veleno dei serpenti (cfr. Numeri, 21, 4b-9).
Gesù, nella pagina evangelica di quella festa liturgica, dice che egli deve essere innalzato da terra come il serpente mosaico, perché chi crede in lui non vada perduto, ma ottenga la vita eterna (cfr. Giovanni, 3, 13-17). Gli israeliti guardavano al serpente di bronzo, ma dovevano compiere un atto di fede nel Dio che guarisce; per i discepoli di Gesù, invece, vi è perfetta convergenza tra "guardare a" e credere: per ottenere salvezza, si deve credere a colui al quale si guarda: il crocifisso risorto, e vivere in maniera coerente a questo sguardo fondamentale.
Questa è l'intuizione fondamentale dell'uso liturgico tradizionale, in accordo al quale ministro e fedeli sono insieme rivolti verso il crocifisso. Al tempo in cui la prassi di celebrare verso il popolo entrò in uso, sorse il problema della posizione del sacerdote all'altare, perché ora egli dava le spalle al tabernacolo e al crocifisso.
Inizialmente, fu in diversi luoghi ripristinato il tabernacolo a cassetta, posto sopra l'altare separato dalla parete: il tabernacolo veniva così a trovarsi tra il sacerdote e i fedeli, in modo che, pur trovandosi l'uno di fronte agli altri, ministro e fedeli potevano tutti guardare verso il Signore durante la liturgia eucaristica. Questo espediente fu però presto superato, soprattutto in base alla convinzione che simile sistemazione del tabernacolo generasse un conflitto di presenze: non si potrebbe custodire il Santissimo Sacramento sull'altare della celebrazione, perché ciò metterebbe in contrasto le diverse forme di presenza di Cristo nella liturgia.
Alla fine, si risolse per lo spostamento del tabernacolo in una cappella laterale. Restava ancora il crocifisso, cui il celebrante continuava a dare le spalle, dato che di norma esso rimaneva ancora al centro. Si risolse ancor più agevolmente, stabilendo che esso poteva ora essere collocato anche al lato dell'altare. In questo modo, certo, il ministro non gli dava più le spalle, ma la raffigurazione del Signore crocifisso perdeva la sua centralità e, comunque, non si risolveva il problema consistente nel fatto che il sacerdote continuava a non poter "guardare al Crocifisso" durante la liturgia.
Le norme liturgiche, stabilite per l'attuale forma ordinaria del rito romano, permettono di collocare crocifisso e tabernacolo in posizioni defilate, tuttavia ciò non impedisce che si continui a discutere sulla maggiore opportunità che essi siano collocati al centro, come dev'essere per l'altare. Questo vale soprattutto per la raffigurazione del crocifisso.
L'Istruzione Eucharisticum mysterium, infatti, afferma che "in ragione del segno" (ratione signi, n. 55), conviene maggiormente che sull'altare su cui si celebra la Messa non venga collocato il tabernacolo perché la presenza reale del Signore è il frutto della consacrazione e come tale deve apparire. Questo non esclude che il tabernacolo possa di norma rimanere al centro dell'edificio liturgico, soprattutto dove vi sia la presenza di un altare più antico, che si trova ora dietro il nuovo altare (si veda il n. 54, che tra l'altro afferma essere lecita la collocazione del tabernacolo sull'altare rivolto al popolo).
Sebbene si tratti di questione complessa e che richiederebbe approfondimenti, si può probabilmente riconoscere che lo spostamento del tabernacolo dall'altare della celebrazione versus populum (o nuovo altare) ha qualche argomento in più in suo favore, visto che si basa non solo sull'argomento del conflitto di presenze, ma anche su quello della verità dei segni liturgici. Però non si può dire lo stesso a riguardo del crocifisso.
Eliminata la centralità del crocifisso, la comprensione comune del senso della liturgia rischia di risultarne stravolta. È ovvio che il guardare a non può essere ridotto a puro gesto esteriore, operato con il semplice orientamento degli occhi. Si tratta invece principalmente di un atteggiamento del cuore, che può e deve essere mantenuto qualunque sia l'orientamento assunto dal corpo dell'orante e la direzione data allo sguardo durante la preghiera. Tuttavia, nel Canone romano, anche nel messale di Paolo VI, vi è la rubrica che prescrive al sacerdote di elevare gli occhi al cielo poco prima di pronunciare le parole consacratorie sul pane. L'orientamento dello spirito è più importante, ma l'espressione corporea accompagna e sostiene il movimento interiore.
Se è vero, dunque, che guardare al crocifisso è un atto dello spirito, un atto di fede e di adorazione, resta pur vero che guardare all'immagine del crocifisso durante la liturgia aiuta e sostiene moltissimo il movimento del cuore. Abbiamo bisogno di segni e gesti sacri, che, senza sostituirsi a esso, sorreggano il movimento del cuore che anela alla santificazione: anche questo significa agire liturgicamente ratione signi. Sacralità del gesto e santificazione dell'orante non sono elementi contrari, ma aspetti di un'unica realtà.
Se, dunque, l'uso di celebrare versus populum ha degli aspetti positivi, bisogna nondimeno riconoscere anche i suoi limiti: in particolare il rischio che si crei un circolo chiuso tra ministro e fedeli, che metta in secondo piano proprio colui al quale tutti devono guardare con fede durante il culto liturgico.
È possibile ovviare a simili rischi restituendo alla preghiera liturgica il suo orientamento, in particolare per quello che riguarda la liturgia eucaristica. Mentre la liturgia della Parola ha il suo svolgimento più adeguato se il sacerdote è rivolto verso il popolo, sembra teologicamente e pastoralmente più opportuno applicare la possibilità - riconosciuta dal messale di Paolo VI nelle sue varie edizioni - di continuare a celebrare l'Eucaristia verso il crocifisso; il che può realizzarsi concretamente in diversi modi, anche collocando la raffigurazione del crocifisso al centro dell'altare della celebrazione versus populum, in modo tale che tutti, sacerdote e fedeli, possano guardare al Signore durante la celebrazione del suo santo sacrificio.
Nella prefazione al primo volume delle sue Gesammelte Schriften, Benedetto XVI si è detto felice del fatto che si stia facendo sempre più strada una proposta che egli aveva avanzato nella sua Introduzione allo spirito della liturgia. Questa, come ha scritto il Papa, consisteva nel suggerimento di "non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell'altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo".
fonte: L'Osservatore Romano, 9-10/03/2009
(08/11/2010)