Mons. Giuseppe Patrizi, da Subiaco a Porto Santa Rufina


di Davide Bracale

La diocesi suburbicaria di Porto e Santa Rufina ebbe un periodo di massima espansione dal 1825 al 1854, epoca nella quale al territorio di Porto e Santa Rufina si aggiunse quello di Civitavecchia, dismembrata da Viterbo. La diocesi, essendo suburbicaria, veniva governata da un Cardinale (sempre il vice decano del collegio cardinalizio), che tuttavia viveva a Roma. Pur essendo molto vasta in quanto comprendente la campagna romana, il territorio era in gran parte insalubre e soggetto alla malaria.
 
Lo stesso clero residente si trasferiva a Roma dall’estate fino ad ottobre. La popolazione era rude e s’imponevano provvedimenti urgenti circa lo sfruttamento minorile e le condizioni dei lavoratori. La sede della Diocesi era inadeguata, per anni risentì dell’assenza del seminario, della cancelleria e dell’archivio. Non era provvista d’un palazzo dignitoso per il vescovo, che a causa di ciò era costretto a risiedere a Roma assieme agli organi della curia. La cattedrale di Sant’Ippolito, all'Isola Sacra di Fiumicino era di fatto abbandonata. L’unico locus amoenus restava quindi Castelnuovo di Porto . 
 
Quest’assenza di un vescovo dalla sua diocesi non era l’unico caso del Lazio, lo stesso cardinale-abate commendatario di Subiaco governava il territorio mediante il vicario generale ed i vicari foranei. Il suo ruolo era assimilabile a quello di un feudatario, che governava di diritto la Diocesi (nel caso di Subiaco il vasto territorio dell’abbazia), gestendone rendite e benefici, ma risiedendo principalmente a Roma. Per Porto Santa Rufina il discorso è analogo: il distaccamento della curia diocesana a Roma la rendeva un elemento più assimilabile alla corte del Cardinale, nella quale gli oneri di governo e le richieste dei fedeli.erano demandati al vicario generale.
 
Un esempio di questa attività di governo fu Mons. Giuseppe Maria Patrizi, sacerdote nato il 13 gennaio 1809 a Civitella, nella diocesi abbaziale di Subiaco, e trapiantato a Roma. Egli proveniva da una famiglia di spiccata tradizione ecclesiastica, soprattutto di curia. Già suo zio don Lorenzo Patrizi era archivista del Sant’Uffizio, mentre negli anni a venire il nipote don Pietro ed il pronipote don Nazareno sarebbero divenuti officiali, avvocati e prelati della curia romana.
 
Don Giuseppe era un canonista, docente all’archiginnasio della Sapienza e maestro di camera del cardinal Angelo Mai quando questi era segretario di "Propaganda Fide". Dopo il 1842, Angelo Mai iniziò a viaggiare per le sue ricerche storico-filologiche ma Mons. Patrizi, particolarmente cagionevole di salute, non potè accompagnarlo. Il primo marzo 1842, quindi, Mons. Patrizi ottenne il nuovo incarico di vicario generale di Porto-Santa Rufina, chiamato dal nuovo Cardinale, Carlo Maria Pedicini, anche lui ex segretario di Propaganda Fide. 
 
Mons. Patrizi abitava a Roma, poiché la Diocesi non aveva ancora le strutture per ospitare la Curia. Da vicario generale, fu la cassa di risonanza delle richieste da parte dei fedeli portuensi, come nel caso di tal Vincenzo Fedeli, un contadino di Santa Marinella, del quale Mons. Patrizi curò il ricovero presso l’ospedale di Civitavecchia, venendogli in aiuto con uno scudo e cinquanta baiocchi.
 
Dopo la morte del cardinal Pedicini, nel 1844 Mons. Giuseppe fu immediatamente riconfermato nella sua funzione di vicario generale dal nuovo vescovo, il cardinale Vincenzo Macchi, Segretario del Sant’Uffizio. Con il cardinal Macchi si sarebbe dovuta intraprendere un’azione significativa di rilancio della Diocesi, soprattutto riguardo alla questione del lavoro minorile, cosiddetto dei “monelli”, ma i risultati non furono pienamente soddisfacienti.
 
Due anni dopo, nel dicembre 1846 Mons. Giuseppe Patrizi improvvisamente morì. Mons. Jannuccelli, di Subiaco, scrisse di lui: “Civitella è stata ancora illustrata recentemente da monsignor Giuseppe Patrizi, fornito di pronto e perspicace ingegno e di gran copia di dottrina. Era egli laureato in teologia e nelle leggi, ed esercitava molto lodevolmente l’officio di vicario generale nella diocesi di Porto e Santa Rufina; ma una morte immatura troncò le belle speranze che la badia avea su di lui fondate” .

Le sorti della Diocesi esigevano chiaramente un’amministrazione ed un governo sul posto e non fuori sede. Dal pontificato di Pio IX si procedette ad un risanamento della zona, che durò circa un secolo. Alla fine dell’Ottocento, il cardinal Oreglia di Santo Stefano, riconoscendo la necessità di una residenza nel territorio diocesano, decise di costruire un palazzetto per il vescovo prospiciente la Chiesa collegiata di Santa Maria Assunta a Castelnuovo di Porto, attuale canonica parrocchiale. 
 
E' solo con il Cardinale Eugenio Tisserant di v.m. che nel 1950 si ebbe finalmente una nuova e degna Cattedrale presso la borgata de La Storta, ed una complessiva rivalutazione della Diocesi, cosa che non poteva risolversi nel solo titolo cardinalizio ma doveva avere mezzi e luoghi per un governo pastorale vivo, come a partire da quegli anni è poi avvenuto, a partire dalla scelta del Vescovo Diego Bona di risiedere stabilmente in Diocesi e, infine, di edificare la nuova Curia Diocesana accanto alla Cattedrale nel 1991.
 
Davide Bracale