Un cuore che arde. Questa immagine riferita ai discepoli di Emmaus parla di un’esperienza decisiva per la vita. Fa riferimento all’incontro con Gesù, il Cristo che ha rivelato il volto e la volontà del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: l’amore e la fraternità. Coloro che di questo comandamento fanno la ragione della propria esistenza possono arrivare a preferire la parola di vita eterna di Gesù alla vita stessa.
Costoro sono i martiri, i testimoni di una speranza che non si spegne ma che continua ad ardere. La storia del cristianesimo conosce queste donne e questi uomini fin dall’inizio della sua storia. E se quelli lontani nel tempo sono spesso onorati con uno spiritualismo stuccante, quelli vicini negli anni ci riportano alla concreta realtà della morte per il Vangelo.
Negli ultimi decenni è stata la testimonianza di un vescovo a infondere vigore al culto dei martiri con il dono della sua vita per la sua gente, quella più povera e abbattuta dai potenti. Oscar Romero. Un uomo che ha saputo modulare la sua vita in ascolto del grido degli ultimi, in una continua conversione al messaggio evangelico. Come pastore di San Salvador si è opposto al potere corrotto dello stato di El Salvador, colpevole di schiacciare la gente indifesa. Quel potere lo ha assassinato il 24 marzo 1980 mentre celebrava il sacrificio eucaristico. La sua storia ha spinto i giovani animatori delle missioni ha chiedere di diffondere il suo esempio. La Chiesa italiana ha risposto al loro desiderio istituendo nel 1992 la Giornata dei missionari martiri nel giorno della sua uccisione.
Nel 2018 papa Francesco lo ha proclamato santo. La lotta ingaggiata dal vescovo Romero contro gli interessi dei latifondisti che soggiogavano la popolazione riceve oggi una più ampia comprensione nel magistero papale di Francesco capace di esprimere la connessione del tutto, di farci intendere che le sorti del creato e delle creature sono vincolate l’una all’altra. I crimini contro l’ambiente hanno sempre conseguenze nefaste sulle popolazioni più povere e i crimini contro gli ultimi della terra hanno sempre ripercussioni distruttive sulla casa comune.
L’ecologia integrale ci mostra che il destino comune dell’umanità e della natura nasce nella libertà del cuore umano: lode alla creazione e al suo creatore o peccato contro l’opera delle sue mani. Da questa prospettiva è possibile scorgere l’opportunità delle iniziative proposte per la 32ma edizione delle Giornata dei martiri missionari nella diocesi di Porto-Santa Rufina, che sono state organizzate dalla collaborazione del Centro missionario diocesano, dei Missionari comboniani, di Terra e missione e del Movimento Laudato si’.
Si tratta di una via crucis e una mostra ispirate dalla testimonianza di padre Ezechiele Ramin, religioso comboniano, ucciso come il vescovo Oscar per la scelta preferenziale dei più fragili; due uomini di pace accomunati dal rifiuto della violenza nella lotta di protesta. A 32 anni, il 24 luglio 1985, padre “Lele” – così chiamato da tutti – viene assassinato in Brasile a Cacoal perché difendeva il popolo Surui e i piccoli proprietari terrieri contro i soprusi dei latifondisti.
La Via Crucis “Martiri della Terra”, che prende spunto dalla storia di Ramin, sarà proposta il 22 marzo alle 19.30 all’interno del Giardino Laudato Si’ della parrocchia della Natività di Maria Santissima, in via Santi Martiri di Selva Candida 7 nel territorio del Comune di Roma. Per ogni stazione della Via Crucis verrà ricordato uno dei martiri dell’America Latina e uno dei diritti violati in Amazzonia, tanto delle persone quanto dell’ambiente, come deforestazione e sfruttamento petrolifero. La preghiera sarà guidata dal parroco don Federico Tartaglia, delegato vescovile per le missioni, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; parteciperanno i fratelli di Ezechiele Ramin e suor Giovanna Dugo, destinataria di diverse lettere del missionario durante gli anni in Amazzonia.
In una del 1985 padre Ezechiele scrive: «La vita è bella e sono contento di donarla. Voglio che sappiate questo. Un bacio e un abbraccio + il sorriso del disegno. Lele.». Parole e immagini sono state i linguaggi di padre Ramin. Poesie, carboncini e foto custodiscono la storia della sua fedeltà al Vangelo e alle persone verso cui ha sentito fino in fondo la responsabilità pastorale.
Dodici dei suoi quadri fanno parte della mostra “Passione Amazzonia” (curata da Fabiano Ramin, padre Alberto Parise, Anna Moccia e Géraldine Schwarz) che sarà proposta dal 18 al 23 alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium (dove si terrà un convegno sui martiri della giustizia sociale di cui si parla in pagina) e dal 24 al 31 nella parrocchia di Selva Candida. «Il percorso della mostra – spiega la presentazione – si sviluppa alternando pannelli raffiguranti scene di vita quotidiana dei popoli indigeni a pannelli che rappresentano la Passione di Cristo.
Attraverso brevi meditazioni audio e testimonianze scritte, viene proposta una lettura dell’incontro con l’umanità e il creato nell’Amazzonia che, a partire dal contatto con la “densità” della realtà, permette di arrivare a una visione che ne coglie la “trasparenza”, la presenza del Risorto nella storia di questa terra. È un invito ad andare oltre, a cogliere la trasfigurazione della realtà e il suo significato più profondo, che solo uno sguardo e un’esperienza di fede rendono accessibile». È la visione illuminata dal cuore che arde per il Vangelo.