Il corpo, la fede, la tecnologia

di Luca Peyron
Avvenire.it, 16 agosto 2023


Ricordate l’albero della vita, quello posto al centro di Eden? Vi è qualcuno, più di uno, che tenta nuovamente di mettervi mano. Nuovamente l’umano è attraversato dalla tentazione di essere immortale da solo, senza Dio, senza un Dio. Ed eleva questo suo tentativo a spiritualità, talora desumendone gli assunti perfino dalla spiritualità cristiana. È la tentazione transumanista, che vede nell’innesto tra essere umano e macchina, o tra macchina ed essere umano, la frontiera dell’umanità nuova, una promessa tecnica di immortalità possibile.

Tocca alla nuova Eva, che abbiamo celebrato nel giorno dell’Assunta, segnare ancora una volta la strada del ritorno al cuore di Dio. Il dogma dell’assunzione, come ogni dogma nella Chiesa, presidia la fede, dei semplici e non solo, ma è anche sorgente inesauribile di riflessione e di ispirazione per interpretare il tempo presente, il tratto della storia che siamo chiamati ad abitare. Nell’assunzione di Maria ritroviamo la divinità di Cristo declinata nella finitezza creaturale di Maria che è quella di ciascuno di noi, che è quella della storia nel suo insieme capace di diventare dunque profezia, promessa, opportunità o tragicamente sconfitta.

La donna che viene assunta in Cielo è la cifra secondo la quale non vi può essere alcuna spiritualità cristiana che non tenga ben presente il corpo con le sue istanze, debolezze, fragilità e grandezza. Nello stesso tempo essa è la cifra secondo la qualche nessuna corporeità ha davvero senso se non è orientata a un fine ultimo e ultimativo che non sia squisitamente spirituale, trascendente e mistico.

Nella condizione digitale e macchinica che abitiamo, l’assunzione di Maria ci dona e nuovamente rivela una verità necessaria: non è la tecnica che donerà immortalità al corpo ma solamente l’apertura del corpo all’essere abitato dallo Spirito, nella fede, che può garantire tale immortalità e, alla fine dei tempi, una qualche forma di incorruttibilità che sarà compimento e coronamento alla nostra aspirazione alla relazione totalizzante con Dio e con gli altri.

In altre parole, una spiritualità cyborg che auspica che il corpo sia innestato nella macchina, o viceversa, al fine di raggiungere una ulteriore dimensione umana, una evoluzione che avvicini l’umano al divino, sconfiggendo la morte, non è cristianamente accettabile. Non perché la meta sia sbagliata ma perché il modo di raggiungerla è incoerente e la meta stessa – così come proposta dalla tecnica – è falsa. Non vi è dubbio che la tecnica sia una piena espressione dell’umano e del suo specifico e, come tale, sia un dono particolare che la nostra natura ha ricevuto, sino a poter affermare che specialmente nella tecnica l’essere umano si dimostra gigante, figlio prediletto del Padre.

Con la tecnica l’umano deve combattere per avere una vita migliore, per prendersi cura del corpo, guarirlo, curarlo. Tuttavia esiste una questione fondamentale che non può essere annullata. Maria è assunta in cielo perché ha terminato il corso della sua vita terrena. Questo transito è, per quanto possa sembrare paradossale, l’inizio dell’immortalità anche corporea, pur nelle diverse tempistiche rispetto all’Assunta. Il nostro desiderio di immortalità non è una illusione, una tentazione, un esercizio dialettico o poetico. È un desiderio sano e santo, che non è perseguibile però in qualunque modo: per ciascuno di noi deve passare dalla morte. Quindi perché dovremmo preferire la via di Maria a quella della tecnica? Perché attraverso la morte si apre la comunione con Dio e con coloro che ci hanno preceduti. Attraverso la tecnica, ammesso che un giorno mantenga ciò che promette – fatto per nulla scontato, e in ogni caso non sappiamo a quale prezzo –, non si apre nulla di nuovo: permane semplicemente l’attuale. Con i suoi dolori, le sue ingiustizie, le sue assenze. Le sue presenze ma in forme velate, analogiche, simboliche, anche sacramentali ma del tutto imparagonabili al vedere faccia a faccia.

L’unico che sconfigge l’angelo della morte è il sangue dell’Agnello da cui Maria ha tratto ogni sua delizia. E noi con lei, in questo passaggio tra tempo ed eternità. Pur non comprendendo tutto, ma sapendo di poterlo custodire nel nostro cuore affinché porti frutto.