Non a caso il primo incontro de “La città si parla” ha avuto a tema il lavoro. Il percorso di formazione socio-politica organizzato nella parrocchia del Sacro Cuore di Ladispoli ha scelto come prima tappa un’esperienza vincolante per la qualità della dignità umana e della vita sociale. Il 10 marzo il vescovo Gianrico Ruzza ha sviluppato la questione osservandola con la lente del Vangelo e avvicinandola con il contributo offerto da papa Francesco in Evangelii Gaudium, nell’udienza per il 70° anniversario delle Acli, nel discorso ai lavoratori a Cagliari nel 2013 e quello a Genova nel 2017.
Tra gli elementi caratterizzanti la crisi del mondo lavorativo il pastore ha indicato: la stabilizzazione dello status di precarietà, la forma della flessibilità, il ricambio e la rigenerazione delle risorse. Tutto questo in un contesto sociale ancora incapace di governare una situazione aggravata da depressione morale e sociale, inerzia e abulia dei giovani, lentezza nell’assimilazione dei nuovi sistemi di comunicazione. Tempi e modalità di un cambiamento che normalizzi l’offerta lavorativa dipendono in massima parte dalla forma del sistema economico: oggi segnato da uno squilibrio del rapporto profitto/dignità umana dove per la tutela del primo termine si può sacrificare tutto. Ma, lo sviluppo del Terzo settore dice pure quanto e come stia mutando la configurazione del lavoro in rapporto alla produttività.
«Il desiderio – ha sottolineato il vescovo – è la trasformazione da un’economia che vive nell’idolatria del profitto e della legge del mercato ad un’economia che rispetta le esigenze dei suoi agenti: Stato, persone, società civile, mercato, in un equilibrio attento e fecondo. Non è un’utopia, ma una possibilità su cui lavorare». D’altronde, nuove forme del lavoro come lo smart working interrogano osservatori e responsabili sull’evoluzione del rapporto lavorativo, che non è più pensabile con le caratteristiche della subordinazione. C’è infatti da ragionare sulla distinzione tra il tempo del lavoro e il tempo della festa e tra lo spazio del lavoro e lo spazio della casa. La Chiesa prende a cuore il lavoro a partire dal valore riconosciuto in esso dal messaggio evangelico e dalla vita stessa di Gesù.
«L’idea di travaglio e fatica – ha sottolineato il vescovo riferendosi alla seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi – recuperano il senso di partecipazione alla creazione: occupazione vuol dire partecipare all’edificazione del Regno dei Cieli; disoccupazione vuol dire condanna ad una condizione non dignitosa della vita». Per questo «l’affermazione di papa Francesco “l’obiettivo non deve essere più reddito per tutti, ma più lavoro per tutti, perché senza lavoro non ci sarà la dignità per tutti” è rivoluzionaria perché mostra l’esigenza del lavoro non come un dato monetario, ma come un dato personale e vocazionale».
Nelle maglie del tessuto democratico il lavoro consolida l’appartenenza civica dell’uomo al bene comune, del quale partecipa con l’opera delle sue mani «per un’integrazione tra la dimensione spirituale e la dimensione fisico/materiale dell’individuo, pensato come creatura pensante e “elaborante” dal Creatore». Da qui il Vescovo ha tracciato alcune necessità per la nuova cultura del lavoro. Affettività, vocazione coniugale e parentale, riumanizzazione delle relazioni sul posto di lavoro, armonizzazione nello sviluppo integrale della persona. Sono alcune delle urgenze di cui si deve tener conto considerando tuttavia che «Il mondo del sociale non è nemico dell’economia e dello sviluppo, bensì dell’aggressività del sistema e di tutte le forme di inequità sociale che ci vengono messe dinanzi agli occhi».
Di certo, la questione giovanile pone sfide ulteriori, rispetto ad esse il Vescovo ha registrato alcune “fatiche” nell’inserimento delle nuove generazioni in un sistema professionale che sembra non offrire loro spazi. A partire dall’incertezza sul da farsi e dalla poca conoscenza delle opportunità. Per seguire con l’esclusione dei lavori considerati “insoddisfacenti” ma di cui c’è enorme bisogno e alla scarsissima attenzione alla formazione permanente e all’aggiornamento professionale. È poi da segnalare il difficile rapporto tra formazione scolastica e passaggio all’ambito lavorativo che si lega alla solitudine nel momento dell’inserimento e a tutele assicurative e pensionistiche pressoché inesistenti.
Sono alcune delle emergenze che attendono risposte convincenti «perché i nostri giovani, che già sono in apnea, chiedono interventi chiari e autorevoli da parte degli adulti. La comunità cristiana intende sollecitare la società civile e il mondo politico a farsi protagonisti di risposte esaustive e chiarificatrici». L’apostolato della Chiesa nell’ambito lavorativo si configura nella particolare pastorale sociale e del lavoro, che ha bisogno di nuovo vigore e attenzione perché sia espressione di mediazione, confronto, cura per le ferite, rispetto per la diversità. «Ripensare il lavoro – ha concluso il Vescovo – vuol dire ripensare la vita come incentrata sulla fatica e sulla propria partecipazione al sacrificio nella società: non vuol dire immolarsi, bensì stare dentro il cammino della storia, sentendosene protagonisti ciascuno per la propria parte e partecipando con la propria offerta. Sto dicendo che il mio lavoro ben svolto, con amore e competenza è partecipazione “nella società” al sacrificio del Signore Gesù, che mi chiede di essere “segno” del Suo Amore e della Sua offerta».
Simone Ciampanella
(21/03/2023)