Un uomo in cammino verso la fede
Il grande regista Pietro Germi è sepolto nel piccolo cimitero di Castel di Guido, accanto alla sua prima moglie Anna Bancio. Pietro Germi volle che fossero incise sulla sua tomba le parole, prese dalla liturgia di Pentecoste: «Vieni, Spirito Creatore. Vieni, Santo Spirito. Vieni, Padre dei poveri. Vieni, luce dei cuori».
«Germi non sa di essere profondamente cristiano, e dire che qui va all’osso del cristianesimo». È il giudizio inaspettato e molto lusinghiero con cui don Zeno Saltini (1900-1981) il leggendario prete di Carpi e fondatore di Nomadelfia salutò la proiezione in anteprima (presente tra gli altri Vittorio De Sica), il 19 ottobre 1950, nel bel mezzo del giubileo pacelliano, del film Il cammino della speranza di Pietro Germi (1914-1974). La pellicola, tratta dal romanzo Cuore negli abissi di Nino Di Maria, narra le disavventure di un gruppo di minatori siciliani nel tragico esodo con i familiari verso la Francia. Un giudizio e una stima che porterà il fondatore di Nomadelfia a intrecciare, da quella data, una lunga amicizia fatta anche di lettere e di biglietti d’auguri con il maestro del neorealismo italiano tra il 1950 e il 1969. Un giudizio, quello di don Zeno, che ci fa tornare con la mente oggi – a cento anni dalla nascita del grande cineasta genovese, avvenuta il 14 settembre del 1914 – alle tante pellicole in cui è presente, a volte sottotraccia, il suo retroterra cattolico da L’uomo di paglia e Il Ferroviere a L’immorale. Pellicole in cui i protagonisti sono quasi sempre dei poveri cristi, dei falliti caduti in un baratro di contraddizioni.
A testimonianza di tutto questo è ancora oggi il ricordo di Carlo Rustichelli, il musicista e compositore italiano autore delle più indovinate colonne sonore dei film di Germi e vero tramite dell’amicizia tra l’artista genovese e il prete “ribelle” di Carpi (per il quale scrisse il famoso Inno di Nomadelfia): «Lui era convinto di essere miscredente ma, verso la fine della sua vita, ho capito che non era vero. Anche nel suo modo di narrare e lavorare alle sceneggiature, ho scoperto solo alla fine che seguiva un binario spirituale, umano in senso religioso, decisamente monoteista. Avvertiva l’esistenza di qualcosa di superiore e ne L’immorale con Tognazzi, ad esempio, ciò si percepì: fu per me una sorpresa». E forse non è un caso che lo stesso Germi ammise che proprio in un film come Il cammino della speranza di aver avuto come riferimento ideale «i temi fondamentali della morale cristiana». E sarà lo stesso regista a spiegare in un’intervista del 1949 alla “Rivista del Cinematografo” i suoi punti di incontro con il cristianesimo: «Il cinema italiano, in quanto meno viziato degli altri da conformismo ipocrita, in quanto più degli altri fermentante di problemi morali, in quanto più degli altri capace di una spoglia ed umile attenzione verso gli umili e i sofferenti è senza dubbio tra i più adatti ad esprimere non convenzionalmente i valori del cristianesimo». E rilevante sarà in occasione del referendum del 1946, il suo giudizio su come considera veramente la religione, lontana dai fariseismi di un certo cattolicesimo forgiato sul «Dio dei preti e di certi democristi…».
Probabilmente tutto questo aiuta a spiegare il cemento su cui si plasmò l’amicizia molto intima con un prete “fuori dai canoni tradizionali” come don Zeno Saltini. Tra i due subentreranno, nel corso degli anni, non solo stima ma un costante rapporto epistolare dove affiorerà il consenso del sacerdote emiliano per l’attenzione di Germi al cristianesimo delle Beatitudini, agli umili, ai dimenticati presenti in molte sue pellicole o la sua ammirazione – come racconterà in una lettera – per Francesco d’Assisi. Ma non solo. Germi confiderà all’amico di aver realizzato nel 1944 una sceneggiatura mai utilizzata dal titolo Vita di Gesù.
La scoperta fu fatta, quasi per caso nel 2004, consultando l’archivio di Nomadelfia e sfogliando questo carteggio dallo storico del cinema Marco Vanelli. «Quello che colpisce di questo soggetto – racconta il critico e direttore della rivista “Cabiria” – è la prospettiva con cui viene raccontata la vita di Gesù con gli occhi di Giuda. Il personaggio per come viene qui presentato è un discepolo desideroso di amare il Nazareno, ma incapace di riconoscerlo come Messia».
L’epistolario fa inoltre emergere anche aspetti particolari come l’invito di Germi ai “nomadelfi “per un impegno concreto al rinnovamento della società italiana o la richiesta di don Zeno, quasi un “tormento” per il regista di realizzare un documentario dedicato a Nomadelfia, sulla falsariga de Il cammino della speranza. Il rapporto fra il sacerdote e l’artista genovese continuerà per anni. Ne sono testimonianza anche il sostegno economico elargito da Germi a Nomadelfia ma anche i tanti biglietti o piccoli scritti. Come quello del 22 gennaio 1962 in cui il sempre schivo Germi scriverà all’amico per giustificare la sua assenza in occasione del ritorno di don Zeno a celebrare Messa dopo 8 anni: «Ti sono comunque vicino con tutto il mio cuore di miscredente».
Ma l’anima sotterraneamente religiosa di Germi, di un uomo sulla soglia del sacro affiorerà ancora in un’intervista rilasciata a Gideon Bachmann nel 1966 in cui il cineasta genovese affermerà di credere in un modo del tutto personale a una sua «idea di Spirito Santo» e metterà in guardia dai rischi di «indifferenza verso il fatto religioso»; rilevante in quel colloquio saranno le parole spese da Germi per il clero italiano da lui considerato «cemento sociale» per molte regioni italiane e la sua ammirazione per «papa Giovanni XXIII». Tutto questo forse ci aiuta a capire la scelta dell’artista genovese a partecipare al film di Ermanno Olmi su Angelo Giuseppe Roncalli E venne un uomo (1965) in cui vestirà i panni del padre del Papa Buono, Giovanni Battista Roncalli. «In Germi vive sottotraccia una contrastata spiritualità – riflette il critico cinematografico Vanelli – attestata, ad esempio, dal personaggio da lui interpretato nel film L’uomo di paglia dove di fronte all’edicola di una Madonna non riesce a farsi il segno della croce ma porta la mano destra all’altezza della fronte e poi si aggiusta il cappello. Anche qui non vuole conformarsi alla prassi ufficiale ecclesiale: c’è sempre un uomo che si dichiarava miscredente ma che insegnava le preghiere ai figli. E di tutto questo ho trovato conferma e riscontro nei ricordi della figlia Marialinda». E aggiunge un particolare inedito ai più: «Certamente singolare è stata anche la sua amicizia con un altro sacerdote e parroco a Roma della chiesa di San Lorenzo in Lucina come don Piero Pintus con il quale spesso si è confrontato sui temi della fede e della morale».
Fonte: "Pietro Germi a Nomadelfia" pubblicato dal giornale della CEI l’AVVENIRE-
Foto originali e ricerca bibliografica di Franco Leggeri
Pietro Germi (Genova, 14 settembre 1914 – Roma, 5 dicembre 1974) è stato un regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico e televisivo italiano. Dopo essersi dedicato prevalentemente a pellicole di stampo drammatico e dalla forte critica sociale e politica[1], nella fase della piena maturità cominciò ad interessarsi alla commedia, realizzando film che, pur conservando una certa attenzione per le tematiche dei suoi lavori precedenti, assumevano spiccati toni satirici e cinicamente umoristici, che lo hanno portato ad essere considerato uno dei più importanti esponenti della commedia all'italiana: il termine stesso fu ispirato da un suo film, Divorzio all'italiana[2], che fu una delle pellicole più importanti di tale filone artistico e gli valse il Prix de la meilleure comédie alla 15ª edizione del Festival di Cannes[3] e il Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 1963. Al 2022 è l'unico italiano, assieme ai co-sceneggiatori Ennio De Concini e Alfredo Giannetti, ad essersi aggiudicato quest'ultimo riconoscimento.