«Un breve riassunto di quello che vorrei condividere con voi è simbolicamente contenuto in questo adattatore che sto usando per collegare il mio computer al proiettore, è un dispositivo dotato di porte di tutti i tipi. Il problema nel dialogo intergenerazionale è questo, immaginiamo che il computer sia simbolicamente il contenuto del messaggio di fede: ciascuno di noi ha il suo adattatore, ciascuno di noi ha un modo diverso per raggiungere lo stesso contenuto». Così padre Paolo Benanti ha iniziato il suo intervento all’incontro formativo del clero di Porto-Santa Rufina e di Civitavecchia-Tarquinia riunito con il vescovo Gianrico Ruzza l'11 gennaio nella parrocchia della Santissima Trinità a Cerveteri.
Al relatore, docente di filosofia morale presso la Pontifica università Gregoriana, è stata affidata una riflessione sui linguaggi e i metodi comunicativi capaci di esprimere e trasmettere in maniera esplicita e significativa il contenuto della fede alle giovani generazioni. Nell’intervento hanno fatto da guida le parole rivolte ai giovani da papa Francesco nel Convegno ecclesiale di Firenze, mutuate dall’apostolo Paolo nella prima lettera a Timoteo: «che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire». Il religioso ha tenuto a precisare la sua prospettiva di fondo, quella di chi vuole contemplare il bello della creazione di Dio. Più che una dichiarazione, un invito da leggere in dialogo con la citazione del numero 243 di Evangelii gaudium proiettata sullo schermo: l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana.
«Cosa intendiamo quando parliamo di giovani?» si chiede Benanti. Dall’avvento della società industrializzata e tecnologizzata abbiamo iniziato ad osservare persone che biologicamente si potevano riprodurre ma socialmente non avevano i mezzi per farlo, è nata così la categoria dell’adolescente, con una flessibilità temporale legata al momento in cui il giovane diventerà adulto, che, secondo alcuni studi, consiste nella condizione di avere uno stipendio, dei figli e una casa propria. Tuttavia, ha spiegato l’esperto «Quando parliamo di giovani non parliamo di una categoria anagrafica ma di un modo di capire e vedere il mondo, di un mondo di possibilità e di un mondo di scelte fattibili e non fattibili assolutamente differenti».
Per approcciare la questione di giovani, digitale e fede, risulta necessario prendere consapevolezza del fatto che sebbene tutti siamo stati giovani portiamo con noi differenti caratteristiche generazionali e precomprensioni legate al momento in cui lo siamo stati. Dall’epoca dei “baby boomer”, i nati tra gli anni dal 1945 al 1964, i giovani «acquisiscono una consapevolezza sociale che li fa percepire differenti dai loro genitori per il modo di vestire, per la musica che ascoltano, per gli interessi culturali e per i valori che animano il loro orizzonte di senso» arrivando alla contestazione tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso. Nella generazione X, quella dei nati tra il 1965 e il 1984, cresce una mancanza di ottimismo nel futuro, con sfiducia nei valori tradizionali, e si configura un rapporto complesso con la religione e con il dogmatismo. Si passa poi alla generazione Y quella dei “millenials”, nati tra il 1985 e il 1994, non preparata alle asprezze della vita anche se attenta alle regole.
Arriviamo dunque alla generazione Z, quella dei centennials, immersi nel “digital age”, per i quali la domanda di Amleto (essere o non essere?, To be or not to be in inglese) diventa «To bit or not to bit», espressione attraverso cui Benanti sintetizza l’esperienza di “esistenza digitale” dei ragazzi. Con i “centennials”, che hanno tante identità quanti sono i loro account su internet, siamo nella frontiera dell’evangelizzazione. Una frontiera in cui i giovani e la società recepiscono il fatto della vita nella dimensione del funzionare non dell’esistere. Questa frontiera è aperta all’opera dell’evangelizzazione.
Ad esempio, parole come “salvezza” o “memoria” assumono nella comprensione dei giovani un immediato significato tecnologico. Come accaduto con il telescopio e microscopio sviluppati a seguito della rivoluzione scientifica del Seicento, il computer e internet, come recenti innovazioni tecnologiche, diventano il macroscopio, la “lente” attraverso cui i giovani conoscono la realtà e ne hanno esperienza. Dal quadro d’insieme illustrato, il relatore ha proseguito offrendo dei percorsi di approfondimento ai sacerdoti. L’era digitale (digital age) porta un cambiamento di direzione della conoscenza, ad esempio sono i nipoti che insegnano ai nonni come utilizzare il tablet. Questo fenomeno, che prende il nome di “reverse mentoring”, pone una riflessione sul ministero sacerdotale dei “presbiteri”, “gli anziani”, all’interno della comunità ecclesiale.
Ma, per quanto la tecnologia sia pervasiva, internet non permette di “far sentire l’odore dei limoni”. La vita digitale non ha la possibilità di estendersi su tutti gli aspetti dell’umanità: in queste pieghe si apre la possibilità di proporre occasioni di esperienza del messaggio evangelico. In un’epoca in cui i testi sono pensati solo come documenti trasmissibili, la Bibbia reclama l’esperienza di essere letta da un’assemblea in un contesto di celebrazione. Ampio è poi lo spazio missionario e di annuncio nel contesto familiare per una generazione che sperimenta la crisi delle famiglie. Sono sfide che si tramutano in opportunità per la Chiesa, la quale, avendo esperienza di cambiamenti d’epoca, rispetto ad aggregazioni sociali più recenti, può fare la differenza, accompagnando l’umanità con il messaggio di cui è portatrice.
Il cammino sulla frontiera richiede però di essere adulti significativi, che siano usciti dall’adolescenza: il Vangelo è la scelta di chi è diventato adulto. Bisogna poi ripensare la forma della trasmissione della fede, prediligendo la narrazione all’argomentazione e raccogliendo le differenti dimensioni pastorali in un’azione che si rivolga alla persona nella sua integralità. Nello sfondo dell’annuncio e dell’evangelizzazione va tenuta presente la grande difficoltà decisoria dei giovani, acuita dalle infinite possibilità davanti a cui oggi sono posti: più abbiamo opzioni meno riusciamo a fare delle scelte. Un disagio dovuto anche all’incapacità della generazione precedente di offrire a quella dei ragazzi di oggi risposte convincenti sul senso dell’esistere. «Oggi si vive ogni scelta come un dramma» ha commentato lo studioso: un’immagine seria e approfondita di questa fatica è la serie animata Strappare lungo i bordi del fumettista Zerocalcare.
La “paralisi” davanti alla scelta ha nel fondo la questione se valga la pena vivere, che, nella prospettiva di fede può essere letta come «il dramma dell’assenza di Dio, perché il Dio del Natale, quello che ci dice che vale la pena di vivere è la decisione, è l’atto che poi illumina tutte le scelte». Quello che possiamo testimoniare è che «posso vivere senza paura di perdere perché il bene ha già vinto perché la tomba del mattino di Pasqua è vuota», questo, ha concluso Benanti è il «nucleo fondate che può dissetare l’esistenza dei giovani».
Simone Ciampanella