«Quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando riconosciamo la sua presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato». Inizia così il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale che si celebra il 24 ottobre. Le due parole del tema di quest’anno, “Testimoni e profeti”, accompagneranno il mese missionario di ottobre . Il pontefice focalizza nel testo la sua attenzione sulla relazione di Gesù con i suoi discepoli, ovvero la sua umanità, il mistero dell’Incarnazione, nel suo Vangelo e nella sua Pasqua, mostrandoci «fino a che punto Dio ama la nostra umanità e fa proprie le nostre gioie e le nostre sofferenze, i nostri desideri e le nostre angosce ».
Il riferimento alla costituzione pastorale “Gaudium et spes” del Concilio Vaticano II ricorda ai cristiani di rimanere immersi nel mondo portando la buona novella: «Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui viviamo e il suo bisogno di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci parte attiva di questa missione: “Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli” (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi estraneo o lontano rispetto a questo amore di compassione ». Come spesso accade al Papa e anche a noi, in poche parole riusciamo a dire cose di una tale magnitudine che finiamo per non accorgercene più. Come una bambina di cinque anni ha ricordato a chi scrive. Alla domanda su chi fosse Gesù lei ha risposto: «Gesù è amore ». Senza catechismo aveva compreso la storia del tutto. L’amore assoluto si immagina a partire solo da Gesù. E la natura di questo amore assoluto e universale non può che essere il cuore della vita e della missione cristiana. Che diventano sinonimi. “Discepolimissionari”.
Non si può amare Cristo e non essere spinti dal suo amore verso ogni essere vivente. La chiamata a partecipare a questo amore è dunque una chiamata missionaria. Non c’è possibilità di dividere e distinguere, come facciamo così spesso all’interno del tessuto ecclesiale. Accaparrandoci e gestendo carismi e talenti, che alla fine disperdono la potenza del tutto. La santa più bambina, l’aveva anch’ella compreso: nella Chiesa l’unica vocazione e l’unico carisma è l’Amore. Non a caso Santa Teresa di Lisieux è patrona delle missioni, pur non avendo mai messo piede fuori dal monastero. Il suo era un amore non distinto, ma assoluto. Se l’assoluto che è Dio si è rivelato nella vita particolare di un uomo, tutto in questa vita è di-mostrazione dell’amore di Dio, ed è in questa vita che si devono trovare tutte le ragioni del nostro agire.
La forza dell’amore di Cristo è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno ed è l’unica forza che ci libera dalle nostre piccole cerchie dentro le quali soffoca il Vangelo, come ci ricorda fastidiosamente il Papa: «C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico bensì esistenziale. Sempre, ma specialmente in questi tempi di pandemia, è importante aumentare la capacità quotidiana di allargare la nostra cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non li sentiremmo parte del “mio mondo di interessi”, benché siano vicino a noi. Vivere la missione è avventurarsi a coltivare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e credere con Lui che chi mi sta accanto è pure mio fratello e mia sorella. Che il suo amore di compassione risvegli anche il nostro cuore e ci renda tutti discepoli missionari».
Federico Tartaglia, direttore Centro missionario