Il racconto del padre di una bambina battezzata assieme al figlio di un’altra famiglia dal vescovo Gino Reali la scorsa domenica, dedicata alla Misericordia, nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo all’Olgiata-Cerquetta a Roma.
La strada che ci separa dalla nostra chiesa, non è più la solita. Appare tutto addormentato da un anno, la domenica mattina. La temperatura inusuale di una primavera che stenta a decollare, rispecchia l’animo di ognuno, in una mescolanza di sentimenti contraddittori. Paura e speranza, insicurezza e slancio. Varcata la soglia, la solita sensazione di trovarsi a casa, malgrado tutto. Ma è la casa pronta per la festa, luminosa e attenta ai piccoli dettagli. L’attesa si fa solida, la puoi toccare. Il vescovo Gino Reali ci aspetta alla porta, e ci mette a nostro agio con uno sguardo di dolcezza, che buca la mascherina chirurgica: «Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?»
La domenica della Misericordia e il suo significato più profondo, sono letteralmente radicati nella mia vita. Coincidono con il senso della mia fede, con il mio primo viaggio lontano da casa, con il primo incontro con quella città che quindici anni dopo mi avrebbe accolto, a mia insaputa. E, dallo scorso 11 aprile, coincidono con il giorno in cui Benedetta, la primogenita mia e di Roberta, è stata accolta dalla Chiesa e dalla nostra comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo assieme ad Ascanio Marco Aurelio, figlio di Luca e Giulia.
«Il Battesimo», rispondiamo emozionati alla domanda del vescovo. Il passo affaticato e la voce consumata da una vita di predica appaiono insignificanti dettagli al cospetto dell’immutata autorevolezza di un autentico uomo di Chiesa. Le letture hanno un tono iniziale di rinascita e coesione: «Esattamente come la vostra comunità parrocchiale – commenta il vescovo –, esempio da imitare di coesione e misericordia, e di aiuto verso il prossimo. In un momento caratterizzato da un isolamento forzato, la vostra comunità ha dimostrato di essere unita e di porgere una carezza a chi è più in difficoltà». Il Vangelo ha risuonato con la carica evocativa di un’epifania: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto».
Commentando l’episodio dell’incredulità di Tommaso il presule invita la comunità a chiedere a Dio un «supplemento di fiducia» mettendosi nelle sue mani per cogliere la sua presenza nelle nostre vite: «Questo dono e questo impegno lo affidiamo a questi due bambini e alle loro famiglie e in loro, dicevo già prima all’inizio della celebrazione, vediamo un cammino che si realizza attraverso l’esperienza di comunione.
Il Signore attraverso la fede, attraverso le virtù teologali e le altre virtù non ci porta e non ci chiede un cammino da solitari, ma ci porta dentro una comunità». E «la comunità ecclesiale», continua, «e la realizzazione che viene fatta nel Battesimo» con l’impegno a mantenere viva «la comunione che deve essere custodita come un dono prezioso che realizziamo giorno dopo giorno». Dopo l’omelia, davanti al fonte battesimale, il vescovo si avvicina e ci mette in guardia: «attenti a quella catenina, è pericolosa», ci sussurra con l’atteggiamento amorevole di un padre. Benedetta, un po’ nervosa dall’inizio della celebrazione, appare ora finalmente più tranquilla, mentre gioca infilandosi in bocca il ciondolo legato al suo vestitino.
«Siete genitori alla prima esperienza e si vede» ci confida con tono scherzoso, invitando più volte l’assemblea a pregare per le giovani famiglie che hanno deciso nel giorno della Misericordia di presentare a Dio i loro figli. Il canto finale si innalza forte dopo la benedizione, in un clima di festa che per quell’ora a settimana ci fa dimenticare che fuori da quelle mura ogni cosa non appare più come prima.
Luigi De Martino genitore, parrocchia dei Santi Pietro e Paolo