«La grande gioia dopo il dolore»

C’è un pezzo di Iraq a Selva Candida. Oltre cinquant’anni fa il quartiere alla periferia nordovest di Roma ha iniziato a crescere come comunità grazie alla presenza delle suore Caldee figlie di Maria Immacolata, provenienti dal paese del Medio Oriente. Lazio Sette ha incontrato la superiora suor Luigina Sako, sorella del cardinale Louis Raphaël I Sako patriarca di Babilonia dei Caldei, per ascoltarne il racconto del viaggio apostolico di papa Francesco nel suo Paese.

Cosa ha pensato quanto ha visto papa Francesco nella piana di Ur?

Mi sono commossa nel vedere il Papa visitare il luogo dove è nata la nostra fede. L’ho visto come un padre Abramo del XXI secolo che torna nella sua terra per dare speranza a tutto un popolo, per dirgli Dio è con voi. L’incontro interreligioso nella piana di Ur indica ai membri delle religioni abramitiche la possibilità di sentirsi come un’unica famiglia. Ci aiuta ad essere fratelli, a riconoscerci figli di uno stesso padre. Significa dire che non è possibile giustificare la violenza in nome della fede.

L’incontro con il grande ayatollah Al-Sistani si inserisce in questa direzione?

Il patriarca Sako ha lavorato tanto perché fosse possibile e così favorire una relazione con i musulmani sciiti dopo quella già avviata con la parte sunnita di Al-Azhar. Gli sciiti sono anche la grande maggioranza del sud dell’Iraq. Al-Sistani ha parlato in proposito dell’incontro con un fratello. È un segno di un Islam che vuole fare pace dentro di sé e con noi. Quando Francesco ha attraversato Najaf per raggiungere la casa della guida islamica, i bambini, i ragazzi, le donne e gli uomini, tutti musulmani, lo hanno accolto con gioia nelle strade.

È dai giovani che nasce la speranza?

Ragazzi e giovani hanno conosciuto solo guerre. Nelle proteste di ottobre i giovani scesi in piazza, molti dei quali morti, gridavano di essere iracheni prima delle loro appartenenze religiose. Ancora oggi sui nostri documenti c’è indicato di quale religione siamo. La strada per la pace si costruisce a partire dall’educazione trasmessa dalla famiglia dove si insegna la relazione con gli altri, dove s’impara a riconoscere in chi è diverso per storia e religione un amico o un nemico. La formazione continua poi nella scuola con insegnanti che sappiano coltivare la cultura dell’incontro. E infine lo Stato ha il compito di garantire i diritti e i doveri, il rispetto delle persone.

Tra le tappe del viaggio c’è stata Mosul, la sua città natale.

Mosul è tutta distrutta oggi, la città più cristiana dell’Iraq. Nel quartiere antico dove è stato il Papa ci sono le chiese dei diversi antichi riti cristiani presenti in Iraq e altrettante moschee. Al tempo della mia giovinezza la situazione era ben diversa da quella che il mondo ha conosciuto per decenni. Durante le rispettive feste religiose ci scambiavamo dei dolci tra cristiani e musulmani. Ricordo il suono delle campane assieme al canto dai minareti. Le relazioni erano normali di convivenza. Con alcune compagne musulmane andavamo in chiesa davanti alla Vergine prima di sostenere un esame a scuola. C’era, e c’è, un grande rispetto per Maria, molti musulmani le chiedono la grazia per avere figli o per qualcuno che è malato.

Quando sono iniziate le difficoltà?

La situazione è mutata dalla guerra dell’Iraq nel 2003. È iniziato un periodo di lunga e grande sofferenza culminato con l’arrivo del Daesh. I terroristi hanno preso Mosul con la connivenza di chi li ha aiutati a distruggere la città e a mandare via i cristiani. Come accaduto nelle altre zone occupate il Daesh ha usato le chiese, tra cui quella dedicata alla Madonna di cui abbiamo visto le rovine nella visita del Papa, per fare le esecuzioni capitali e per addestrare le milizie. Nel 2014 due mie consorelle sono state rapite con due ragazze universitarie e un bambino accolti nell’orfanotrofio diocesano che gestivamo. Nei quasi venti giorni di prigionia hanno lottato con la loro determinazione a rischio della vita per difendere i tre orfani. Voglio condividere un racconto di suor Utur, una delle due religiose. Dopo due giorni senza mangiare lei ha chiesto a una guardia se avesse dei figli e se li avesse mai potuti lasciare senza cibo. Lui ha domandato ai capi cosa fare. La risposta: non dare assolutamente nulla. Di nascosto poi la guardia le ha passato un piatto di riso che hanno razionato per dei giorni ai ragazzi mentre loro digiunavano.

Il pellegrinaggio del Papa nella sua terra riesce a lenire ferite come questa?

Molti avevano sconsigliato al Papa di andare in Iraq, forse perché la sua presenza avrebbe acceso un riflettore su alcuni aspetti. Tutti hanno riconosciuto in lui il coraggio di compiere il viaggio tanto desiderato da Giovanni Paolo II. Ma, non si tratta solo di coraggio come ha spiegato. Lui ascolta, si consiglia e soprattutto prega e poi decide. E gli effetti si sono visti, la sua presenza è stata una gioia per tutti. Non solo a parole. La croce che Francesco ha scoperto a Mosul è stata realizzata da un artigiano musulmano che ha voluto inserire tutti i simboli della città, ci sono le chiese, le moschee, la piana di Ninive. Anche le sedie usate dal Papa a Erbil e Qaraqosh sono state realizzate da artigiani musulmani, le hanno fatte gratuitamente e la hanno donate. Un pittore ha disegnato il minareto pendente dalla moschea di al-Nuri, ora distrutta, e il campanile della chiesa di Al-Saa’a, la Chiesa dell’orologio dei padri domenicani anche lei danneggiata, nell’atto di tendersi un abbraccio. Questa immagine bellissima rende l’idea della bellezza di questo viaggio, quella di un padre che è venuto a dire a dei figli siete nel mio cuore. In Iraq ha trovato un popolo unito che desidera costruire assieme la pace

Simone Ciampanella

 

(Da Lazio Sette, domenica 14 marzo 2021)