Distrutta la Cattedrale di Notre Dame
Un tragico incendio scoppiato ieri, 15 aprile, alle 18.50 ha distrutto la cattedrale di Notre Dame a Parigi, un simbolo della civiltà europea. Messaggi di partecipazione e solidarietà da tutto il mondo. Crollati guglia e gran parte del tetto, si salveranno forse soltanto le strutture dell'edificio. Nessuna certezza sulle cause del disastro, anche se tutti appaiono convinti che possa essersi trattato di un qualche guasto elettrico all'impianto temporaneo, creato per i lavori di ristrutturazione. Ma non si possono escludere altre ipotesi, visto che da tempo le chiese in Francia sono nel mirino di vandali e profanatori. E il mese scorso è stato appiccato un incendio alla chiesa di san Sulpizio a Parigi, la seconda più grande dopo Notre Dame.
Esprimiamo anche noi il nostro dolore e siamo vicini a tutti i cattolici di Parigi e di Francia con la nostra preghiera.
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Il commento
LA TRAGEDIA DI NOTRE DAME
Pietre morte, tornate a Dio
La Nuova Bussola Quotidiana, 16-04-2019
Andrea Zambrano
Il problema non è ricostruire una chiesa, ma riedificarla viva: serve il cemento di un popolo che ama Dio. C'è quel popolo? Con quale anima riedificherà la sua Notre dame mentre in Francia e in Europa si abbandona Cristo e sorgono moschee? Le chiese non sono più fatte per pregare: si chiudono, si vendono, si profanano e il demonio vi prende possesso. Risparmiamo le banalità, tornare a Dio. Subito: popoli, nazioni, famiglie. E' l'unica strada per spegnere le fiamme di un'Europa che ha scelto di darsi fuoco.
Il problema non sarà ricostruire i muri. Con le tecniche odierne a disposizione, il computer è in grado di ricostruire perfettamente, in ogni piega, in ogni singolo millimetro quella che era la Cattedrale di Notre Dame. Potremmo ricostruirne altre 10 di Notre dame, in Francia, in Cina in Cambogia. L’ansia moderna è quella di ricostruire com’era prima, perché a farci paura è la presenza di un vuoto. Dobbiamo riempirlo quel vuoto. Ma non sappiamo con che cosa.
Ricostruire subito non sarà un problema: sarà un problema invece – e questo è il vero dramma, la vera tragedia di un’Europa votata al suo suicidio – ricostruire quelle mura, quei legni e quegli affreschi che hanno retto per 900 anni cementando una civiltà che oggi definiamo medievale con quel disprezzo che proprio lì vicino, sulla rive gauche, ha iniziato a diffondersi per tutto il Vecchio continente nel nome della modernità. Il dramma sono quelle pietre che hanno visto e ci hanno protetto per tutti questi secoli, reggendo all’urto della storia e cementando un’Europa che da molto tempo ha voltato le spalle alla sua Signora.
Quelle pietre che hanno segnato l’unione di un popolo cristiano che oggi – semplicemente - non c’è più. Crollato sotto i colpi del meticciato relativista, ha smesso di essere tale quando questo uomo europeo ha iniziato a pensare di fare a meno di Dio, confidando soltanto nella sua fragile certezza. Ignorando gli avvertimenti che con amore di madre proprio in Francia sono stati dispensati a piene mani; e barattando con idoli di facile consumo i santi, i grandi santi della Francia. Dove siete? Dove sei François? E Bernadette? Dove siete tanti Luigi, dove sei Jean Marie, Giovanna, Teresina…? Salvate la Francia.
Quelle pietre erano state cementate da un amore che portava a Dio. Ecco perché interrogarsi sulla chiesa simbolo dell’Europa che non c’è più, significa inevitabilmente interrogarsi su Dio, sulla sua cacciata dal suolo. Non cadiamo nel tranello di chi dice che questo era un simbolo della città e che come pietosamente ha detto il presidente Macron “una parte di noi va in fiamme”.
Ricostruire non sarà un problema, ma non si potrà riedificare, perché per questo serve quel cemento indispensabile dato da un popolo che amava Dio e che per esso edificava bellezza col gusto, il bisogno e il sapore dell’eterno. Perché eterna doveva sembrare ai nostri occhi Notre Dame, quello era il suo compito, garantire l’eternità del messaggio che annunciava e la vita in Cristo che prometteva. L’abbiamo distrutta. Abbiamo distrutto l’eterna felicità che pure ci aspetterebbe a braccia aperte.
Oggi quel popolo c’è? Con quale anima sarà in grado di riedificare la sua Notre dame? Con lo stesso spirito dei padri che l’hanno tirata su nel XII secolo? Senza fede si ricostruiscono pietre morte: "Le nostre ossa - dice Ezechiele - sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti". Ma quelle pietre, come le ossa aride, possono ancora rivivere.
Notre Dame era ormai solo un simbolo storico-artistico che però concedeva a 12 milioni di turisti l’anno di avere un contatto – anche se breve, superficiale, estemporaneo – con quel divino che nella loro vita non c’era già più da tempo. “Non resterà più nulla”, hanno detto le autorità. Perché il nulla è l’espressione magniloquente della superbia dell’uomo. Che oggi, se vuole ricostruire quel tempio deve tornare immediatamente a Dio, alla sua maestà, a rimetterlo con timore e fede al centro della propria vita.
Cosa che non fa più da tempo: oggi le chiese si chiudono, si vendono, si riadattano, si profanano, si occupano, si violano, si condividono con le altre fedi, si barattano con i parcheggi e i musei. Oggi l’umanità si commuove guardando le immagini della guglia che crolla sbriciolata e non si accorge che la pianta incandescente di Notre Dame disegna dall'alto una immensa croce infuocata.
Ma di che cosa ha ancora bisogno per accorgersi che a crollare e ardere è tutta la nostra fragilità senza l’autore della vita che lì dentro ha la sua casa? Eppure, le chiese messe sotto i piedi della malvagità umana non fanno notizia. Non lo hanno fatto fino ad oggi. Non c’è una sola chiesa viva se non la riempi col sudore della preghiera, con sacrifici degni, sguardi oranti e ore, ore e ore e secoli di adorazione e sacramenti. Senza tutto questo le chiese perdono la loro anima, il cemento che le tiene in piedi da millenni. Intanto ad essere erette sono le moschee, che in Francia stanno sorgendo come funghi. Alte, possenti, ricche, mentre le nostre chiese vanno in fumo.
Distruggere in due ore un tetto che ha retto per 900 anni non può che essere un’opera demoniaca, di un demonio che è entrato in azione all’inizio della Settimana santa, nel sacro di un luogo dove sono custodite e venerate le reliquie della Santa Croce, con la stessa ferocia con la quale in Italia bruciò la cappella della Sindone e con un unico obiettivo: distruggere. Distruggere ciò che in natura è entrato in suo possesso.
Prima lo riconosciamo, prima ammettiamo che non è stata una tragica fatalità, ma un ammonimento, prima asciugheremo le lacrime. Risparmiamo la banale tristezza, le condoglianze di circostanza, le frasettine sul simbolo della cristianità che va in fumo, perché di quella cristianità nessuno ha saputo cosa farsene oppure far partire le campagne laicoclericali sulle campane che devono suonare all’unisono, perché quelle campane sono state silenziate dall’indifferenza e dal credo moderno del relativismo. Risparmiamo lo choc, gli emozionalismi, gli ossequi delle circostanze. Tornare a Dio, subito. Senza tentennamenti, pronti al martirio: nazioni, popoli, famiglie. Solo così riusciremo a spegnere quelle fiamme.