Una storia che continua

A metà strada tra il mare di Cerveteri e il lago di Bracciano, sulla strada provinciale Aurelia-Sasso-Manziana, i casali presenti tra le colline raccontano una cultura della terra ancora viva. Qui la bellezza della campagna romana si è incontrata con l’opera di donne e uomini arrivati negli anni Cinquanta a seguito della riforma agraria. Persone piene di speranza giunsero nel borgo di Sambuco e attorno alla cappella della Natività di Maria costruirono assieme un nuovo futuro. La cappella con l’edificio di cui fa parte fu costruita nel 1930 dalla nobile famiglia romana Patrizi Naro Montoro.

Espropriata dall’Ente Maremma e passata di proprietà all’Arsial, è stata ceduta alla parrocchia di San Filippo Neri nel 2015. Fin dalla sua fondazione la struttura ha mantenuto la funzione di luogo di culto sussidiario della parrocchia.

Ma cedimenti strutturali hanno richiesto il recupero dell’intero fabbricato, reso possibile grazie ai fondi 8xmille alla Chiesa cattolica.

Domenica 17 febbraio tra l’affetto di tante persone e la musica della banda di Castel Giuliano, la chiesa è stata riaperta dal vescovo Reali con la benedizione e la Messa celebrata assieme al parroco Juan Carlos Schaab e al vicario padre Cesar Bertolacci, dei Miles Christi cui è affidata la parrocchia di Bracciano.

La data scelta aveva sollevato perplessità sulla tenuta del tempo, ma «il Signore e sua Madre ci hanno sonoramente smentiti donandoci una giornata così luminosa, un sole così caldo che ci fanno vedere oltre la primavera», ha detto nell’omelia monsignor Reali, il quale ha invitato «ad avere maggiore fiducia e a non dimenticare che in ogni nostro progetto, in ogni nostro lavoro, tanto più se si tratta di un lavoro di recupero di un edificio sacro, Dio si impegna direttamente e ci chiede di riconoscerlo come primo direttore».

A servizio di questo «direttore» una squadra affiatata: l’architetto Genco, l’ingegnere Marcello Leoni, Roberto Ambrosetti con gli operai dell’impresa Edilar, coordinati dall’economo diocesano Egildo Spada e dal geometra Gianluigi Saddi dell’ufficio tecnico di Porto-Santa Rufina.

In questo «piccolo gioiello – ha continuato il vescovo – i nostri padri riascoltavano l’impegno dell’obbedienza di Maria al progetto di Dio e, giorno dopo giorno, imparavano a dire il proprio sì, nonostante la fatica e la povertà che contrassegnavano la loro storia quotidiana». Questa è «la grazia che qui dobbiamo saper far rivivere, e rivivrà se ci sarà l’impegno generoso di tanti per accogliere fratelli e sorelle che cercano nuovi rapporti con Gesù».

Monsignor Reali ha sottolineato infine l’importanza di un’alleanza tra tutti i responsabili del bene comune per favorire relazioni sane e formare cittadini consapevoli. Invito subito raccolto da Claudia Marini, assessore alla cultura di Bracciano, presente a nome del sindaco Armando Tondinelli.

L’amministratrice, ha condiviso, nel suo saluto la personale gioia per «la bellezza di una cerimonia in cui una comunità si raduna attorno a un luogo che riconosce come simbolo della propria identità, dove saranno coltivati e, sono sicura, trasmessi ai giovani i valori che rendono grande la cultura italiana in uno scambio tra proposta di fede e proposta culturale», perché «dove c’è senso di appartenenza e proposte culturali diminuisce il livello della malavita».

Dentro e fuori la cappella bambini, giovani e anziani assiepati con attenzione per seguire la cerimonia. La miglior testimonianza di quanto espresso dall’assessore. «Un momento tanto desiderato per tutti gli abitanti di questa porzione della nostra parrocchia di Castel Giuliano», ha detto padre Juan Carlos, «l’inaugurazione dà nuovo impulso allo spirito di condivisione e alla gioia di ritrovarsi con tanti amici nel luogo dell’incontro con il Signore e della fraternità tra le famiglie».

Marina, una delle abitanti del Sambuco, parla di un luogo caro, uno spazio familiare, «questa cappella è stata per tutti noi un punto di aggregazione dove siamo cresciuti, abbiamo vissuto con amicizia e siamo rimasti sempre uniti». Lei, come molti qui, ha trasmesso questo patrimonio di cultura e umanità a sua figlia Gessica, che parla della cappella con le stesse identiche parole, immaginando l’ampio parco esterno pieno di iniziative culturali e sociali. È Giuliana ad aver insegnato questo senso di appartenenza, la cultura della terra e l’umanità nei rapporti alle due donne, sua figlia e sua nipote, con loro all’inaugurazione.

Parla con gli occhi Giuliana e con il sorriso sullo sfondo del tramonto sembra raccogliere la felicità di tutta una generazione per un cammino di coraggio e lavoro ora consegnato a figli e nipoti attorno alla cappella dove tutto è iniziato.

 

Il restauro grazie ai fondi dell’8xmille

Opere radicali di consolidamento I l restauro della cappella della Natività della Vergine, finanziato dai fondi dell’8xmille destinati dalla Conferenza episcopale italiana all’edilizia di culto, è stato di circa 300mila euro. L’edificio che contiene la cappella ha caratteristiche architettoniche e stilistiche similari a quelle dei casali circostanti. A causa di cedimenti strutturali sulle fondazioni, sulle murature e sulla copertura, si è reso necessario il recupero dell’intero fabbricato. 

Con la supervisione della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio sono state eseguite opere radicali di consolidamento. I lavori hanno interessato il miglioramento sismico della struttura intervenendo sulla fondazione con la posa di micropali, adottando anche soluzioni per evitare la risalita dell’umidità. È stata effettuata la placcatura con doppia armatura delle murature e realizzata una copertura lignea a capriata.

Sono stati completamente rifatti tutti gli impianti: elettrico e di allarme, idrico, termico-sanitario e per la depurazione biologica. Anche per le finiture interne ed esterne sono stato eseguite opere radicali: dall’intonacatura alle pavimentazioni, con serramenti dotati di dispositivi per la sicurezza. Nella scelta dei materiali utilizzati si è tenuto conto del contesto della campagna romana: il cotto per il pavimento a terra, il travertino classico per le finiture e il legno per le coperture, per gli arredi e per i poli liturgici della cappella.

 

La riforma agraria.
Quando tradizioni differenti creano un unico patrimonio

Una legge approvata nel 1950 in Parlamento ha avviato la più importante rivoluzione socio–antropologica dal dopo guerra a oggi: la riforma agraria. Come per le altre aree del Paese interessate da questa esperienza anche la Campagna Romana subì un cambiamento radicale segnato dalla redistribuzione più equa della terra, fino ad allora in possesso di latifondisti (enti o famiglie nobili).

Attraverso il Ministero dell’agricoltura, l’esecuzione di quanto approvato in Parlamento fu affidato ad alcuni enti territoriali. Il territorio dell’Agro romano compreso tra il Mar Tirreno e la via Flaminia, fu affidato all’Ente Maremma, ente per la colonizzazione della maremma tosco–laziale e del territorio del Fucino.

L’ente iniziò ad operare in quella complessa azione di bonifica avviata negli anni Venti del Novecento e in parte già dai suoi primi tempi del secolo scorso. I terreni improduttivi erano stati risanati, canali per l’acqua e nuove vie di comunicazione si intrecciavano su aree umide colpite dalla malaria. La divisione delle terre attuata dall’Ente richiese poi nuove infrastrutture e servizi per favorire lo sviluppo della comunità nei nuovi borghi. Spacci, scuole, centri ricreativi e chiese. Alcune strutture furono costruite ex–novo altre come nel caso di Sambuco furono acquisite dalla grande proprietà nobiliare.

Con la possibilità di nuovi spazi per l’agricoltura arrivarono migranti dal Lazio meridionale e da altre regioni del Centro Italia, come Abruzzo, Marche e Umbria. Gente con storie e tradizioni differenti si ritrovò assieme e dovette imparare a convivere: non fu semplice. I nuovi arrivati temevano di perdere la propria identità. Gli italiani di una regione non si riconoscevano quasi per niente in quelli di un’altra. Probabilmente si guardavano con gli stessi occhi con cui oggi vediamo i tanti migranti arrivare in Europa, in cerca di riscatto dalla propria povertà. La stessa ragione che spinse quei coloni ad arrivare nella nuova terra da lavorare.

All’opera di “riconoscimento” tra le persone fu determinante il contributo della Chiesa, chiamata nel nuovo contesto a creare relazioni oltre la propria provenienza. Dalla celebrazione della Messa, alla pastorale, parroci coraggiosi e gente disponibile a mettersi insieme riuscirono a porre in dialogo le differenze. Nella parrocchia si pregava assieme, ci si conosceva, si socializzava, ci si scambiavano le idee e si ragionava su progetti da condividere. Nasceva un nuovo immaginario collettivo con riferimenti a cui tutti potevano attingere e a cui ognuno poteva contribuire con la propria singolarità. La comunità iniziava a costruire la sua nuova identità, consegnando al futuro un patrimonio culturale comune in cui sono cresciuti figli e nipoti.

Il grazie per la visita del cardinale

 

Un biglietto di ringraziamento datato 29 marzo 1955 registra la qualità della relazione tra gli abitanti del Sambuco e la Chiesa diocesana. Salvatore Passarelli si rivolge al cardinale Tisserant con queste parole: «Eminenza reverendissima, a nome di tutti gli assegnatari del Sambuco vorrei dimostrarle tutta la nostra riconoscenza e la nostra gioia provata per la sua venuta fino al Sambuco. Non ci sognavamo neppure tutto questo e siamo rimasti veramente commossi nel vederla fra noi contadini. Non sono capace di manifestarle tutto quello che abbiamo provato però vorrei almeno chiederle ancora una volta qualche altro giorno di gioia. L’at-tendiamo ancora fra noi e le esprimiamo tutto il nostro affetto».

Simone Ciampanella

foto Filippo Lentini

 

(da Lazio Sette, 24 febbraio 2019)