Quella comunità dove Gesù si mette in gioco con gli altri

La comunità» è il titolo del ritiro spirituale tenuto dalla biblista Anna Maria Corallo lo scorso 14 aprile nella parrocchia di San Francesco d’Assisi a Marina di Cerveteri. Divisi in gruppi di lavoro i partecipanti hanno indicato quali fossero gli elementi che caratterizzano una comunità che funziona e quelli che invece denotano una che non funziona. Accoglienza, ricchezza della relazione, libertà, spiritualità, tolleranza e confronto, sono stati indicati tra i primi. Poca comunicazione, egoismo, maschere, divisione, giudizio, non mettersi in gioco, sono stati invece segnalati tra i secondi. Un esempio di comunità, con le sue difficoltà e le sue risorse, viene mostrato nel primo giorno dopo il sabato, quando Maria di Magdala ha avuto l’apparizione di Gesù Risorto. In questo contesto viene posto in evidenza come la comunità dei seguaci di Cristo sia costruita sulla paura. Perché i discepoli stanno chiusi nella paura? La paura è più certa, sembrerebbe quasi un collante migliore dell’amore. I discepoli non vogliono credere; non gli è bastata la testimonianza di Maria di Magdala. L’evento della tomba vuota è la novità ma resta la paura dei Giudei, il timore di fare la stessa fine del Maestro.

Ma poi accade la visita di Gesù che entra nel cenacolo chiuso e coinvolge i suoi pronunciando il saluto «Pace a voi»: è la comunità diventata luogo abitato dalla presenza del Signore. Lui tradito e abbandonato ritorna in questa comunità, sta nel mezzo, come tra le due croci o tra la folla e la peccatrice da lapidare: si mette in gioco e vuole che anche gli altri facciano lo stesso.

Ma la qualità di una comunità si riconosce anche nella capacità di riconoscere attraverso le piaghe di Gesù quelle degli altri, cioè accogliere gli altri nel loro limite. Gesù di Nazareth è capace di soffrire perché è capace di amare, di provare sentimenti profondi, e i discepoli vedendolo piagato e ferito lo riconoscono. Perciò il primo punto che definisce l’esistenza di una comunità è che al centro ci sia Gesù, che cerca sempre la relazione, chiedendo a tutti di viverla. Per questo ci vuole pazienza con noi stessi e con gli altri. Il cristiano è invitato ad annunciare questa presenza agli altri. La comunità è investita dal Risorto che include, abbraccia, accoglie, fa ricominciare, dunque è anche il luogo del perdono, l’accoglienza verso gli altri e verso sé stessi. Di qui il senso comunitario della riconciliazione, in cui i membri della comunità diventano essi stessi strumenti di perdono, riconciliati con gli altri.

Ognuno si deve sentire responsabile di quello che succede; cercare di sostenere, cercare di conciliare. «Dio percorre delle strade che non sono le nostre, anche davanti a relazioni scollate, fallimenti, silenzi, attraverso la pedagogia dell’attesa, non il tutto e subito, per educarci al desiderio; la sapienza dell’attesa », spiega Corallo. La presenza di Gesù nella comunità, la sua centralità si mostra allora nella capacità di coglierlo nell’inevidenza: «saremo beati se non avremo la prova provata» come dice Cristo nell’incontro con Tommaso. Allora in una crescita fatta insieme «lo potremo vedere nei gesti dei fratelli e nelle piaghe della comunità », conclude la biblista, mostrando una comunità compiuta nell’amore.


Giuseppe Mele

(23/04/2018)