Una città che ricorda la sua storia. Una comunità che trasmette la sua tradizione. La processione di San Michele Arcangelo è tutto questo. E così l’8 maggio Cerveteri si trasforma nuovamente nella pagina di un racconto che le persone rileggono con affetto da oltre mille anni.
Siamo alla metà del secolo VIII. La diocesi è molto diversa da quella che conosciamo oggi. Un territorio sterminato per la maggior parte governato dalla natura con poche vie di comunicazione. Solo alcuni centri di potere segnano la presenza dell’uomo. Tra questi, Cerveteri è fra i più importanti. Assumerne il controllo fa gola a molti per la sua posizione strategica. I saraceni prendono di mira la città e tentano di conquistarla. Partono da Ostia e da Civitavecchia ma nella vasta campagna romana scende una nebbia fittissima e non riescono più a orientarsi.
Nel frattempo in città cresce la paura e la campana, come avviene in questi casi, suona per avvertire gli abitanti dell’imminente pericolo. Un’arma a doppio taglio però. I suoi rintocchi diventano una guida per i pirati che stanno per raggiungere le porte. Immediatamente, con grande meraviglia del campanaro, la campana smette di suonare. Gli aggressori smarriscono nuovamente la direzione. Decidono di abbandonare l’impresa e fanno ritorno verso le loro navi. Non c’è dubbio per i cervetrani: «Ci ha protetto San Michele». Il popolo è certo che l’arcangelo ha difeso un luogo già a lui dedicato, lasciando come segno della sua presenza l’impronta della mano sulla campana.
Una tradizione avvincente che le generazioni si trasmettono di anno in anno. Senza soluzione di continuità. Proprio come accade a quei bambini che lunedì scorso hanno camminato in processione insieme ai genitori o ai nonni. Ancora ignari di cosa stiano facendo. Ma proprio così l’eredità culturale e religiosa di una comunità si trasmette. Attraverso gesti e simboli vivi che convocano tutti perché riescono a narrare lo specifico di un gruppo di persone, di una città intera.
Con i parroci della città il vescovo Reali prende parte a questa grande devozione che sfila nelle strade ceretane. Dalla chiesa parrocchiale della Santissima Trinità, l’ultima costruita, alla chiesa di Santa Maria maggiore, la più antica. Un fiume di gente che desidera continuare a narrare il ricordo delle sue origini: l’unità e la fraternità garantite dal patrono difensore della città.
Nella chiesa di Santa Maria le parole del vescovo sintetizzano l’immagine di popolo che la tradizionale processione mostra così viva e coinvolgente. L’invito è quello di preservare il cuore di questa celebrazione. È questo centro, spiega il presule, ciò che mantiene unite le persone e che le rende riconoscibili le une alle altre nello sguardo del fratello. Ognuno deve sentirsi coinvolto nella storia della città. Tutti devono attingere al patrimonio comune dell’amicizia e della solidarietà che costituiscono l’identità. L’augurio allora è proprio quello di essere custodi consapevoli della processione di San Michele Arcangelo e di ciò che tramanda. Ed essere appassionati difensori della storia comune perché in essa si può ritrovare la chiave del vivere bene insieme e del saper essere vicini alle persone più fragili.
Simone Ciampanella
(12/05/2017)