Tutti diversi ma con gli stessi bisogni

Quando un anno fa è nato il nostro quarto figlio, Francesco, mio marito ed io abbiamo dovuto fare i conti con una realtà finora sconosciuta nella nostra famiglia: la sindrome di Down. Durante la degenza in ospedale, con una sorta di lettera che è divenuta un post su Facebook, ho voluto presentare il mio bambino agli amici, soprattutto per evitare domande e curiosità in un momento in cui stavo ancora riflettendo su come parlarne ai fratellini. Quel post è invece andato ben oltre le mie aspettative e la mia cerchia di amicizie: è stato condiviso circa duemila volte, in tutta Italia. Moltissime persone mi hanno ringraziata e scritto privatamente, raccontandomi esperienze simili, ma anche molto diverse, accumunate forse da un unico filo conduttore: dove noi pensiamo ci sia un problema, un dolore, la croce, vi sono invece inaspettate occasioni di gioia e risurrezione.

Durante questi mesi ho realizzato pian piano che la sua vita meravigliosa non poteva rimanere chiusa sotto la campana di vetro delle visite, dei controlli, delle terapie per stare al passo con i coetanei, come una lampada che splenda sotto il moggio, ma essere messa in evidenza in tutti i modi possibili. Il confronto con altri genitori di figli, cosiddetti "speciali", mi ha incoraggiata e dato alcuni spunti per attuare la mia idea, ossia quella di trasformare la festa per il suo primo compleanno, il 25 marzo, in un vero e proprio evento di integrazione e sensibilizzazione, non solo nei riguardi della sindrome di Down ma di tutte le diverse abilità. Non solo, per l’occasione ho pensato di raccogliere in una pubblicazione alcune delle lettere ricevute da amici reali e virtuali, che si sono fatti compagni di strada all’inizio di quest’avventura.

Il mio pragmatico sposo non credeva che avremmo trovato il tempo di organizzare tutto e, in effetti, non possiamo prenderci meriti che non sono totalmente nostri: abbiamo toccato con mano come la Provvidenza di Dio riesca a fare grandi le cose semplici. In pochi giorni tutto ha concorso a rendere memorabile un sabato pomeriggio altrimenti qualunque: la sala polivalente della parrocchia Sacro Cuore di Gesù a Ladispoli, concessa con generosità dal parroco don Gianni Righetti e gremita di amici, l’addobbo semplice e simpatico, il buffet arricchito da dolci e salati preparati un po’ da tutti, il truccabimbi originalissimo di un’amica artista, l’animazione dei ragazzi del clan e del branco di lupetti del Gruppo Scout Ladispoli 2 e, infine, il dono reciproco di giochi, libri e peluches tra tutti i bambini.

Ma la parte centrale dell’incontro è stata la proiezione di alcuni filmati significativi, editi in occasione delle Giornate mondiali per la sindrome di Down (Cara futura mamma, 2014; Tu come mi vedi, 2016; Bisogni speciali? Bisogni umani! 2017), intervallata dalle testimonianze di tre persone che, come diceva Giovanni Paolo II, stanno facendo della loro vita un capolavoro e sono venute a unire le loro voci alla nostra. Nell’ordine si è trattato di Emanuela Vicentini, madre di Sophie - una bambina che vive in una condizione di ritardo mentale grave di patogenesi sconosciuta - la quale con parole semplici ci ha ricordato che un’esistenza, per essere degna di questo nome, non deve per forza essere connotata dall’efficientismo e dall’utilitarismo perché, anzi, proprio di fronte al limite della disabilità si riconosce che l’unico vero progetto di vita al quale tutti siamo stati chiamati è un progetto d’amore. Patricia Vargas, violinista e insegnante di musica presso alcune scuole del territorio di Ladispoli, ha riportato l’esperienza di un’orchestra improvvisata in un reparto pediatrico ospedaliero, icona di come tutti possano concorrere a rendere melodiosa un’esistenza apparentemente invalidante, nonché sfida a superare la nostra (in)capacità di scorgere l’anima, quella sì speciale, che risplende in ciascuno di noi, al di là dei limiti o degli impedimenti fisici.

Infine Stefano Pescosolido, venuto a rappresentare l’esperienza di “Fede e Luce”, Comunità presente nella vicina Palidoro, che può sinteticamente definirsi un “cammino” di persone molto diverse fra loro (di ogni età e ceto, con e senza disabilità) che si fanno prossime le une alle altre, senza distinzione fra chi dà e chi riceve, perché tutti danno e ricevono allo stesso tempo durante i loro incontri, semplicemente stando insieme.

Le riflessioni hanno toccato il cuore, trovando la sintesi nella frase finale “tutti diversi ma con gli stessi bisogni” (composta dai lupetti Scout con tante lettere colorate), che tra l’altro richiamava il tema dell’ultima Giornata mondiale per la sindrome di Down, celebrata il 21 marzo. Infatti ricevere un’istruzione adeguata, trovare un lavoro, andare a vivere da soli, uscire con gli amici, praticare sport, esercitare pienamente i propri diritti di cittadino e, soprattutto amare ed essere amati, sono solo alcune delle necessità che accomunano tutti gli esseri umani, senza distinzione per chi nasce con la Trisomia 21. Il fatto che questi ultimi possano aver bisogno di un sostegno, che qualche volta significa assistenza vera e propria, non cambia la natura di quelle esigenze, cioè non rende "speciali" dei bisogni semplicemente "umani".

Il soffio delle candeline non è stato poi solo di Francesco, ma anche di Salvo, un ragazzo con la Sdd che ha compiuto 42 anni e di Irene, mamma del piccolo Christopher, anch’egli trisomico, tutti e tre nati proprio in quello stesso giorno. L’ultima grazia della giornata è stata il piccolo dono da parte nostra ai presenti: il libretto, ultimato in extremis, “Lettere a Francesco”.

Un’esperienza positiva insomma, che ci ha fatto capire quanto ci sia bisogno di parlare della disabilità per renderla meno distante e temuta e, specialmente, che la nostra presenza sulla terra trae senso non dal fare ma nell’essere e, soprattutto, nell’amare, il piano su cui non esistono limiti.

Emanuela Bartolini

(13/08/2017)