La Liturgia delle Ore

 

 

La sezione liturgica del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), all’interno del paragrafo dedicato al «Quando celebrare?», dedica un certo spazio all’«Ufficio divino», oggi chiamato «Liturgia delle Ore» (LdO). La LdO è parte integrante del Culto divino della Chiesa, non una semplice appendice dei sacramenti. È sacra Liturgia in senso vero e proprio. Nella LdO, come in quella sacramentale (in particolare la Liturgia Eucaristica, di cui l’Ufficio è come il prolungamento), si incrociano due dinamiche: «dall’alto» e «dal basso».

Considerata «dall’alto», la LdO è stata portata sulla terra dal Verbo, quando si è incarnato per redimerci. Perciò l’Ufficio divino si definisce come «l’inno che si canta in Cielo per tutta l’eternità», introdotto «nell’esilio terreno» dal Verbo incarnato (cf. Pio XII, Mediator Dei: EE 6/565; ugualmente: Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium [SC], n. 83). Possiamo cantare le lodi di Dio perché Dio stesso ci abilita a ciò e ci insegna come farlo. In questo primo significato, la LdO rappresenta la riproduzione, operata dalla Chiesa pellegrinante e militante, del canto degli spiriti celesti e dei beati, che formano la Chiesa gloriosa del Cielo. È per questa ragione che il luogo in cui i monaci, i frati e i canonici si raccolgono per recitare l’Ufficio ha assunto il nome di «coro»: esso vuole riprodurre visibilmente gli ordini angelici e i cori dei santi, che incessantemente lodano la maestà di Dio (cf. Is 6,1-4; Ap 5,6-14). Pertanto, il coro è strutturato in forma circolare non per favorire il guardarsi gli uni gli altri mentre si celebra la LdO, bensì per rappresentare l’«affacciarsi del Cielo sulla terra» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 35) che avviene quando si celebra il Culto divino.

In secondo luogo, la LdO rispecchia una dinamica che «dal basso» va verso «l’alto»: è il movimento con cui la Chiesa terrena loda, adora, ringrazia il suo Signore e gli chiede favori, lungo l’intero arco del giorno. In ogni momento riceviamo benefici dal Signore, perciò è giusto che lo ringraziamo per essi ad ogni ora del giorno. È per questo che san Tommaso d’Aquino ritiene la preghiera un atto che, appartenendo alla virtù di religione, fa capo alla virtù della giustizia (cf. S. Th. II-II, 80, 1; 83, 3). Col «Prefazio» della S. Messa, possiamo dire che «è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza» lodare il Signore in ogni momento del giorno.

Cristo per primo ha dato l’esempio di preghiera incessante, giorno e notte (cf. Mt 14,23; Mc 1,35; Eb 5,7). Il Signore ha poi raccomandato di pregare sempre, senza stancarsi mai (cf. Lc 18,1). Fedele alle parole e all’esempio del suo Fondatore (cf. 1Ts 5,17; Ef 6,18), sin dall’epoca apostolica la Chiesa ha sviluppato la propria preghiera quotidiana secondo un ritmo ordinato che coprisse l’intera giornata, assumendo in forma nuova le pratiche liturgiche del tempio di Gerusalemme.

È certo che le due ore canoniche principali (Lodi e Vespri) sono sorte anche in relazione ai due sacrifici quotidiani del tempio: il mattutino e il vespertino. Anche le preghiere di Terza, Sesta e Nona corrispondono ad altrettanti momenti di orazione della prassi giudaica. Nel giorno di Pentecoste, gli apostoli erano riuniti in preghiera all’Ora Terza (cf. At 2,15). San Pietro ebbe la visione della tovaglia che scendeva dal cielo, mentre era in preghiera su una terrazza verso l’Ora Sesta (cf. At 10,9). In altra occasione, Pietro e Giovanni salivano al tempio a pregare all’Ora Nona (cf. At 3,1). E non dimentichiamo che Paolo e Sila, chiusi in carcere, pregavano cantando inni a Dio verso la mezzanotte (cf. At 16,25).

Non stupisce, allora, che già a fine I secolo, il Papa san Clemente potesse ricordare: «Dobbiamo fare con ordine tutto ciò che il Signore ci comandò di compiere nei tempi fissati. Egli ci prescrisse di fare le offerte e le liturgie e non a caso o senz’ordine, ma in circostanze e ore stabilite» (Ai Corinzi, XL, 1-2). La Didachè (cf. VIII, 2) raccomanda di recitare il Padre Nostro tre volte al giorno, cosa che attualmente la Chiesa fa alle Lodi, ai Vespri e nella S. Messa. Tertulliano così interpreta tale tradizione antica: «Noi preghiamo, come minimo, non meno di tre volte al giorno, dato che siamo debitori dei Tre: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (De oratione, XXV, 5). In Occidente, il grande ordinatore dell’Ufficio divino è stato san Benedetto da Norcia, che ha perfezionato l’uso precedente della Chiesa di Roma.

Da quanto detto, emergono almeno due considerazioni fondamentali. La prima è che la LdO, poiché essenzialmente cristocentrica, è profondamente ecclesiale. Ciò implica che, in quanto Culto pubblico della Chiesa, la LdO è sottratta all’arbitrio del singolo ed è normata dalla gerarchia ecclesiastica. Inoltre, essa rappresenta una lettura ecclesiale della Sacra Scrittura, perché i salmi e le letture bibliche sono interpretate dai testi dei Padri, dei Dottori e dei Concili, nonché dalle orazioni liturgiche composte dalla Chiesa stessa (cf. CCC, 1177).

In quanto Culto pubblico, la LdO ha anche una componente visibile e non solo una interiore. Essa è l’unione di preghiera e gesti. Se è vero che «la mente deve concordare con la voce» (cf. CCC, 1176), è anche vero che il Culto non si celebra solo con la mente, ma anche col corpo (cf. S. Th., II-II, 81, 7). Perciò la Liturgia prevede canti, dizioni verbali, gesti, inchini, prostrazioni, genuflessioni, incensazioni, paramenti, ecc. Ciò si applica anche all’Ufficio divino. Inoltre, il carattere ecclesiale della LdO fa sì che per sua natura essa «è destinata a diventare la preghiera di tutto il popolo di Dio» (CCC, 1175). In questo senso, se resta vero che l’Ufficio appartiene soprattutto ai sacri ministri ed ai religiosi – e ad essi la Chiesa in particolare lo affida – esso coinvolge sempre tutta la Chiesa: i fedeli laici (per quanto ad essi è possibile parteciparvi), le anime del Purgatorio, i beati e gli angeli nelle loro diverse schiere. Cantando le lodi di Dio, la Chiesa terrena si unisce a quella celeste e si prepara a raggiungerla. Così, la LdO «è veramente la voce della Sposa stessa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera di Cristo, con il suo Corpo, al Padre» (SC, n. 84, cit. in CCC, 1174).

 

* Don Mauro Gagliardi è Professore ordinario presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, Professore incaricato presso l’Università Europea di Roma, Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice e della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

fonte: Zenit.org, 13/06/2012
http://www.zenit.org/article-31179?l=italian

(14/06/2012)

di di d. Mauro Gagliardi *