"Noi apparteniamo a lui ed egli appartiene a noi"

* Cardinale Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka)

 

 

Cari sacerdoti,


Il Decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale "Presbyterorum Ordinis", introduce l'ufficio del sacerdote con queste parole: "I presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo maestro, sacerdote e re; essi partecipano al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo". Perciò, cari sacerdoti, ricevendo oggi il sigillo dello Spirito Santo e l'unzione con il sacro crisma per divenire sacerdoti del Signore, che è Sommo Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek, è importante che voi riflettiate sul valore e la dignità dei doni che ricevete e sulla sfide della missione a cui siete chiamati a rispondere negli anni a venire.

Il triplice ufficio di maestro, sacerdote e re, che sono le componenti della stessa missione di Gesù, da oggi in avanti vi appartiene. E come affermava la citazione del Decreto "Presbyterorum Ordinis", ponendo le nostre mani su di voi, venite costituiti al servizio della Chiesa per realizzare nel vostro tempo e nel vostro ambiente la medesima triplice missione di Cristo. Dovete perciò sempre ricordare che ciò che ricevete non è in realtà la vostra personale missione, ma la missione di Cristo. Tale convinzione, da una parte deve darvi un forte senso di fiducia e dall'altra deve farvi pronti ad accettare umilmente ogni genere di sofferenza come una via propria del Signore per compiere la sua missione in voi e attraverso di voi.

 


Chiamata alla comunione con Cristo

La sfida più importante che la vostra missione vi impone, sarà quella di rimanere intimamente e profondamente uniti con il Signore. Anzi, dovrà essere la vostra quotidiana scelta basilare: la vostra opzione fondamentale, per così dire. Il Signore non vuole tanto che voi facciate grandi cose o addirittura dei miracoli, quanto di lasciare che Egli faccia ciò che desidera con la vostra vita. Il Vangelo dichiara chiaramente che è stato il Signore a scegliere i suoi discepoli, non loro hanno scelto lui,  per farli "pescatori di uomini" (Mc. 1,17). Le sue parole sono chiare - "kai poieso humas genesthai halieis anthropon" - "Io vi farò diventare pescatori di uomini". E' sempre il Signore a essere il protagonista nel farci diventare quello che lui vuole, non quello che vogliamo noi. Notate l'uso del tempo futuro "poieso": l'accento sta in ciò che egli farà, non ciò che gli apostoli faranno. Tutto quello che egli richiede dai suoi apostoli è di rimanere fermamente uniti a lui o ancorati in lui: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv. 15,5).

Pertanto, il segreto della nostra fecondità sacerdotale, fecondità non mondana ma in Dio, sussiste solo nella misura in cui siamo uniti a lui. Le parole greche "koris emou ou dunasthe poiein ouden" sono vitali qui: la traduzione letterale sarebbe "senza di me non avete il potere di fare nulla". E' bene notare il doppio negativo: "non avete il potere" e "di fare nulla". Scrisse al riguardo l'Arcivescovo Fulton Sheen: "il sacerdote non appartiene a se stesso, ma a Cristo. Non si deve mai preoccupare di sapere chi è, non è di se stesso. E' di Cristo" ("Quei preti misteriosi", Edizioni San Paolo, 2005, p. 221). Le parole di Gesù "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti" (Gv. 15, 16) confermano la nostra stretta identità con Gesù come sacerdoti ed è secondo tutta la telogia vocazionale delle Scritture.

In una parola, noi apparteniamo a lui ed egli appartiene a noi. Perciò, miei cari sacerdoti, il compito più importante che vi attende è di crescere in comunione con Gesù il Signore ogni giorno. Lasciate che sia lui a farvi crescere e fate tutto ciò che a lui piace. Il che significa che dovrete amarlo smisuratamente come la vostra opzione più importante nella vita. San Giovanni Battista ci ha indicato la direzione: "Lui deve crescere; io, invece, diminuire" (Gv. 3,30). In questo modo, il presbitero non è soltanto un uomo di Dio, ma è la visibile manifestazione di Gesù - l'alter Christus - almeno, questo è ciò che deve diventare.

Come affermò San Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars: "Se dovessi incontrare un sacerdote e un angelo, saluterei prima il sacerdote e poi l'angelo. Quest'ultimo è l'amico di Dio, ma il sacerdote tiene il suo posto" (Il piccolo catechismo del Curato d'Ars, Tan Books and Publishers, 1951, p. 36). San Paolo, scrivendo ai Galati, spiega la sua intima relazione con il Signore come una coesistenza: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal. 2, 20). Come pure che egli portava sul suo corpo "le stigmate di Gesù" (Gal. 6, 17). Tanto grande era la sua intimità con il Signore.

 


Egli prende possesso di noi

Cari sacerdoti, come tali è vero che dovrete fare molte cose, avrete molti obiettivi da raggiungere, ma nessuno di questi sarà così importante come lo è il compito primario che il Signore vi ha assegnato: "stare con lui" (Mc. 3,14). Sì, dal mattino alla sera, in ogni momento della vostra giornata e con gioia, dovrete sentire un grande desiderio di stare con lui, di piacere a lui, di parlare e condividere i vostri pesi con lui, e lasciare che lui prenda possesso della vostra vita facendone un libro su cui tutti possano leggere di lui.

Papa Benedetto XVI vede nell'imposizione stessa delle mani da parte del vescovo sugli ordinandi, "la presa di possesso" di Cristo sulla persona. Scrive il Papa: "Al centro dell'ordinazione presbiterale vi è l'antichissimo rito dell'imposizione delle mani, con le quali egli ha preso possesso di me dicendomi: 'tu appartieni a me'. Tuttavia, oltre a questo, disse anche: 'tu sei sotto la protezione delle mie mani. Sei sotto la protezione del mio cuore. Sei al sicuro nel palmo delle mie mani, ed è proprio così che sei nell'immensità del mio amore. Rimani nelle mie mani, e dammi le tue'. Ricordiamoci poi che le nostre mani sono state unte con olio, che è il segno dello Spirito Santo sotto il suo potere. Perché le mani? La mano dell'uomo è lo strumento dell'azione umana, è il simbolo della capacità umana di affrontare il mondo, appunto 'tenendolo in mano'" (Sacerdoti di Gesù Cristo", Edizioni Family, Oxford, 2009, p. 12).

Il significato dell'unzione che riceviamo alla nostra ordinazione, è in effetti l'appartenenza a Dio. Nell'antichità, l'eletto del Signore veniva unto versando una giara di olio prezioso sul suo capo, che scendeva sulla sua barba e su tutto il corpo (cfr. Sal. 133,2) ma oggi viene effuso sulle vostre mani per significare questa appartenenza. Appartenere a Cristo vuol dire anche essere totalmente identificati con lui perfino sulla croce. Diceva San Josè Maria, il fondatore dell'Opus Dei: "essere sacerdoti è essere sempre in croce" (The Forge, Scepter, Londra, 1988, n. 882). Un'appartenenza che non ha né lunghezza né larghezza. E' illimitata ed infinita. E' lo spazio che il Signore dispone perché lo amiamo e lo serviamo" (cfr. Ef. 3,17-19).

 


Preghiera e lavoro

L'antica regola monastica aveva il duplice aspetto della santificazione del giorno - ora et labora - prega e lavora, il contenuto stesso della vita consacrata. Il Vangelo ci mostra che Gesù stesso operava così intensamente che non trovava nemmeno il tempo per mangiare (cfr. Mc. 3,20). Ma trascorreva una considerevole quantità di tempo nella preghiera: quaranta giorni di preghiera e digiuno (cfr. Mt. 4,1-11) prima della sua vita pubblica; una notte di preghiera prima di scegliere gli apostoli (cfr. Mc. 3,13); preghiera nel momento della Trasfigurazione (cfr. Mc. 9,2-8); preghiera alla risurrezione di Lazzaro (cfr. Gv. 11,41-42) e al giardino del Getsemani prima di subire la sua Passione (Mt. 26,36ss.) e finalmente la preghiera sacerdotale di Gesù (cfr. Gv. 17).

In Gesù troviamo dunque un perfetto equilibrio tra lavoro e preghiera, e ciò deve valere anche per la nostra vita sacerdotale. Un lavoro senza preghiera è solo un grande rumore incentrato sull'ego senza alcun significato interiore e potenza trasformativa, forse buono in sé ma privo di senso, e la preghiera senza lavoro è avere ideali ma nessuna realizzazione. Nel caso di un sacerdote, il lavoro è sempre contemplativo ed ha una dimensione divina e santificante. La sua fatica quotidiana diventa un sacrificio gradito a Dio se è profumata di preghiera. Anzi, la sua crocifissione si compie con molte preghiere, come quelle del giardino del Getsemani, e con le sette parole conclusive del Signore "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Gesù è il sacerdote la cui vita è divenuta un'offerta gradita a Dio "con molte preghiere e lacrime" sulla croce del Calvario, come ci insegna la Lettera agli Ebrei. Per lui la croce, per quanto dolorosa, non rappresentava solo un compito che doveva adempiere, ma che abbracciò con amore e nell'orazione.

Soprattutto il sacerdote, miei cari, nell'imitare Cristo nelle sue funzioni sacerdotali, deve tendere alla santificazione della vita e del mondo attorno a lui. Leggiamo nella "Pastores dabo vobis": "I sacerdoti vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con efficacia l'intero genere umano. Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è proprio, agisce a nome e nella persona di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e di tutto il popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di Colui del quale è rappresentante" (Pastores Dabo Vobis n. 20).

In altre parole, i presbiteri santificano il mondo attorno a sé lasciando che la propria vita sia completamente assunta e spesa per "dare a Dio un'umana natura". Come Maria, il cui "fiat" divenne il mezzo col quale Dio è entrato nella storia mediante Cristo e ha redento l'umanità. Così, anche il "sì" sacerdotale è il mezzo attraverso il quale si compie l'opera di santificazione del mondo. Il sacerdote diventa il locus della missione santificante di Dio. Lascia che la sua vita divenga l'altare sul quale il sacrificio redentivo di Cristo continua a celebrarsi. E' l'Eucaristia che si traduce in tutte le concrete scelte di vita di un sacerdote.

Scrive Papa Benedetto nella "Sacramentum Caritatis" al n. 80: "La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. Il seme di una tale spiritualità si trova già nelle parole che il vescovo pronuncia nella liturgia dell'Ordinazione: 'ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore".

Perciò, cari sacerdoti, raccogliete insieme tutti i sacrifici che fate nel compiere la vostra missione di istruire, santificare e governare nell'imitazione di Cristo, e uniteli all'Eucaristia e ai sacramenti che celebrate ogni giorno, perché la vostra vita sia gradita a Dio e voi diventiate il soggetto dell'azione redentrice - la storia miracolosa che Egli vuole scrivere perché la vostra gente la legga - e sperimentiate "l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità" (Ef. 3, 18) dell'amore di Dio per loro.

Che Dio vi benedica e vi sia d'aiuto nel momento in cui cominciate il cammino della vostra vita sulle orme di Gesù, vostro vero Pastore, Sacerdote e Profeta. Amen.

 


+ Malcolm Card. Ranjith
Arcivescovo di Colombo

21 aprile 2012, Ordinazioni Sacerdotali nella Cattedrale di Santa Lucia a Colombo.

 

 

 

 

 

fonte: Sito dell'Arcidiocesi di Colombo, 21/04/2012
http://www.archdioceseofcolombo.com/inner.php?news_id=59

trad. it. a cura di D. Giorgio Rizzieri

 

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(29/04/2012)

di del Card. Malcolm Ranjith *