Liturgia, opera della Trinità

 

 

 

 

 

 

Liturgia, opera della Trinità

 

 

Il Padre

"Nella liturgia il Padre è riconosciuto e adorato come la sorgente e il termine di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza"

di mons. Nicola Bux

Senza la mediazione del Figlio non avremmo conosciuto il Padre e non avremmo ricevuto lo Spirito che ci permette di riconoscere il Figlio come Signore e di adorare in lui il Padre. Il Padre ha compiuto tale scelta di renderci capaci di tutto ciò, ossia di adottarci come figli, prima della creazione del mondo (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 1077). La capacità di operare come singoli e come membri di un popolo scelto e consacrato si chiama “liturgia”: a ragione definita opera del mistero delle tre Persone. L’azione trinitaria, cioè, è il prototipo dell’azione sacra o liturgica.

Ma, visto l’attivismo ecclesiastico e liturgico che ha portato ad adottare termini come “attore” e “operatore” persino nella sacra liturgia, dobbiamo definire, a scanso di equivoci, la natura di questa azione. L’azione sacra della liturgia è essenzialmente una “benedizione”, termine a tutti noto, ma non nel suo vero significato. Lo fa l’articolo seguente del Catechismo che conviene riportare per intero: «Benedire è un’azione divina che dà la vita e di cui il Padre è la sorgente. La sua benedizione è insieme parola e dono (“bene-dictio” – “eu-logía”). Riferito all’uomo, questo termine significherà l’adorazione e la consegna di sé al proprio Creatore nell’azione di grazie» (CCC, 1078).

Dunque, la liturgia è benedizione divina, parola e dono, e adorazione umana, ossia azione di grazie (eucaristia) e offerta. Non c’è tutta la santa Messa in questa definizione? Nessuno può omettere di definire così la sacra liturgia, ossia sacramento. L’adorazione non è altro che la stessa liturgia. Ogni tentativo di scindere le due cose va contro la fede e la verità cattolica.

Non si sostiene oggi che l’uomo adora Dio con tutto il suo essere? Vuol dire con l’anima e col corpo. Perciò nella Bibbia tutta «l’opera di Dio è benedizione» (cf. CCC, 1079-1081): è la dimensione cosmica che innerva la Sacra Scrittura dalla Genesi all’Apocalisse e parimenti la liturgia. Se benedire vuol dire adorare, la benedizione o adorazione nella Scrittura è documentata dalla prostrazione e dal piegare fisicamente le ginocchia e metafisicamente il cuore. Solo il diavolo non si inginocchia, perché – dicono i Padri del deserto – non ha le ginocchia. Così san Paolo vede dinanzi a Gesù la consonanza tra storia sacra e il cosmo: ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e sottoterra.

Conseguenza concreta: il gesto dell’inginocchiarsi deve tornare ad essere primario nel rito della Messa, nell’andamento, ispirazione e sapore del canto sacro, nella suppellettile sacra: una chiesa senza inginocchiatoi non è una chiesa cattolica. Perché prostrarsi? Perché la benedizione divina si manifesta in specie con «la presenza di Dio nel tempio» (CCC, 1081): dinanzi alla Sua presenza, il primo e fondamentale gesto è l’adorazione. Non si dica che il tempio è stato abolito, in quanto Gesù lo ha purificato sostituendolo col suo corpo in cui abita corporalmente la sua divinità: così la presenza divina è ora quella del Corpo di Cristo e massimamente coincide col SS. Sacramento. Si badi che fin qui abbiamo parlato di cose rivelate dal Signore stesso nella Sacra Scrittura. In Introduzione allo spirito della liturgia, Joseph Ratzinger ha mostrato quanto abbia nociuto nella riforma liturgica aver reciso il legame tra tempio giudaico e chiesa cristiana: lo vediamo oggi nelle nuove chiese, proprio mentre a livello ecumenico si dialoga con gli ebrei. Se il corpo di Cristo è costituito dall’edificio spirituale dei suoi membri (cf. 1Pt 2,5), si deve sapere che dove la Chiesa si raduna per i Misteri nasce uno “spazio santo”.

Ora, si può comprendere quanto afferma con chiarezza il Catechismo: «Nella liturgia della Chiesa, la benedizione divina è pienamente rivelata e comunicata: il Padre è riconosciuto e adorato come la sorgente e il termine di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza; nel suo Verbo incarnato, morto e risorto per noi, egli ci colma delle sue benedizioni, e per suo mezzo effonde nei nostri cuori il dono che racchiude tutti i doni: lo Spirito Santo» (CCC, 1082).

Così ne esce ulteriormente definita la duplice dimensione della liturgia della Chiesa: per un verso è benedizione del Padre con l’adorazione, la lode e l’azione di grazie; per l’altro, offerta al Padre di sé e dei propri doni e implorazione dello Spirito affinché ridondi sul mondo intero. Tutto però passa per la mediazione sacerdotale ovvero dall’offerta e «per la comunione alla morte e alla risurrezione di Cristo Sacerdote e per la potenza dello Spirito» (CCC, 1083).

Se la risurrezione di Cristo non fosse storicamente accaduta e non avesse originalmente “riempito” la storia imprimendole la direzione finale, i sacramenti non avrebbero nessuna efficacia e verrebbe meno il fine per cui sono amministrati: la nostra risurrezione alla fine della vita e della storia dell’umanità. Ad un’impostazione esegetica demitizzante segue normalmente una teologia ridotta a simbolismo; ma il pensiero cattolico, con l’Apostolo, parla della «potenza della sua risurrezione»: alle apparizioni del Risorto, non solo seguì il kerigma e la fede dei discepoli, ma lo sprigionarsi della potenza della risurrezione nei sacramenti. Così, la verità della risurrezione corporale di Cristo è decisiva per l’efficacia dei sacramenti, la loro incidenza reale sulla trasformazione dell’essere umano.

Il mistero pasquale, proprio perché ha visto passare il Figlio dalla morte alla vita, così vede passare i figli di Dio. Perciò è chiamato pasquale, per questo passaggio avvenuto grazie al sacrificio del Figlio di Dio. Ecco perché il Sacrificio eucaristico è il centro di gravità di tutti i sacramenti (cf. CCC, 1113), come la Pasqua lo è dell’anno liturgico.

Il piano divino di salvezza è uno: riportare gli uomini e le cose, quelle del cielo e quelle della terra sotto la signoria di Cristo. L’opera prima delle tre Persone mira a ricondurre l’essere umano alla sua originaria natura perché sia restaurata in lui quell’immagine che è stata sfigurata dal peccato.

 

fonte: Zenit.org, 08/02/2012
http://www.zenit.org/article-29499?l=italian

 

 

Il Figlio

"Nella sacra liturgia, Cristo, nella potenza dello Spirito Santo, significa e realizza il Mistero pasquale della sua Passione, Morte di Croce e Risurrezione"

 

di p. Uwe Michel Lang

Nella seconda parte della sezione sulla liturgia come opera della SS.ma Trinità, dedicata a Dio Figlio, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta gli elementi essenziali della dottrina sacramentale. Cristo, risorto e glorificato, effondendo lo Spirito Santo nel suo Corpo che è la Chiesa, agisce ora nei sacramenti e attraverso di essi comunica la sua grazia. Il Catechismo ricorda la definizione classica dei sacramenti, che sono: 1) «segni sensibili (parole e azioni)»; 2) istituiti da Cristo; 3) che «realizzano in modo efficace la grazia che significano» (n. 1084).

Nella celebrazione dei sacramenti, cioè nella sacra liturgia, Cristo, nella potenza dello Spirito Santo, significa e realizza il Mistero pasquale della sua Passione, Morte di Croce e Risurrezione. Tale Mistero non consiste semplicemente in una serie di accadimenti del remoto passato (anche se non si può prescindere dalla storicità di quegli avvenimenti!), ma entra nella dimensione dell’eternità, perché l’«attore» – ossia Colui che ha agito e patito in quegli eventi – è stato il Verbo incarnato. Per questo, il Mistero pasquale di Cristo «abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente» (n. 1085) per mezzo dei sacramenti che egli stesso ha affidato alla sua Chiesa, soprattutto il Sacrificio eucaristico.

Questo dono singolare è stato dato prima agli Apostoli, quando il Risorto, nella forza dello Spirito Santo, ha conferito loro il proprio potere di santificazione. Gli Apostoli hanno a loro volta conferito tale potere ai loro successori, i Vescovi, e in questo modo i beni della salvezza vengono trasmessi e attualizzati nella vita sacramentale del popolo di Dio fino alla parusia, quando il Signore viene nella gloria per compiere il Regno di Dio. Così la successione apostolica assicura che nella celebrazione dei sacramenti, i fedeli siano immersi nella comunione con Cristo, che li benedice con il dono del suo amore salvifico, soprattutto nell’Eucaristia dove offre se stesso sotto le apparenze del pane e del vino.

La partecipazione sacramentale alla vita di Cristo ha una forma specifica, data nel «rito», che l’allora cardinale Ratzinger nel 2004 spiegò come «la forma di celebrazione e di preghiera che matura nella fede e nella vita della Chiesa». Il rito – ovvero la famiglia dei riti che provengono dalle Chiese di origine apostolica – «è forma condensata della Tradizione vivente […] rendendo così sperimentabile, allo stesso tempo, la comunione tra le generazioni, la comunione con coloro che pregano prima di noi e dopo di noi. Così il rito è come un dono fatto alla Chiesa, una forma vivente di parádosis [tradizione]» (30giorni, nr. 12 – 2004).

Riferendosi all’insegnamento della Costituzione conciliare sulla sacra liturgia, il Catechismo ricorda i vari modi della presenza di Cristo nelle azioni liturgiche. In primo luogo, il Signore è presente nel Sacrificio eucaristico nella persona del ministro ordinato, perché «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti» [Concilio di Trento], e soprattutto sotto le specie eucaristiche. Inoltre, Cristo è presente con la sua virtù nei sacramenti, nella sua parola quando viene proclamata la Sacra Scrittura e infine quando i membri della Chiesa, Sposa amatissima di Cristo, sono congregati nel suo nome per la preghiera e la lode (cf. n. 1088; Sacrosanctum Concilium, n. 7). Così, nella liturgia terrestre, si realizza la doppia finalità di tutto il culto divino, cioè la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo (cf. n. 1089).

Infatti, la celebrazione terrestre, sia nello splendore di una delle grandi cattedrali che nei luoghi più semplici però dignitosi, partecipa della liturgia celeste della nuova Gerusalemme e fa pregustare la futura gloria alla presenza del Dio vivente. Questo dinamismo conferisce alla liturgia la sua grandezza, evita alla singola comunità di richiudersi in se stessa e la apre all’assemblea dei santi della città celeste, come evocato nella lettera agli Ebrei: «Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (Eb 12, 22-24).

Sembra opportuno, dunque, concludere queste brevi riflessioni con le felici parole del beato cardinale Ildefonso Schuster, che ha descritto la liturgia come «un poema sacro, al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra».


fonte: Zenit.org, 22/02/2012
http://www.zenit.org/article-29655?l=italian

 

 

Lo Spirito Santo

 

"L’opera dello Spirito Santo nella liturgia, santificandoci, ci sigilla nella relazione d’amore della Trinità che è il cuore della Chiesa"

 

di Paul Gunter, O.S.B. 

La liturgia, o opera pubblica eseguita in nome del popolo, è la nostra partecipazione alla preghiera di Cristo verso il Padre nello Spirito Santo. La sua celebrazione ci immerge nella vita divina di Dio, come espresso dalla Prefazio Comune IV: “Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva, per Cristo nostro Signore”. Di conseguenza, la liturgia esisteva prima che noi avessimo mai potuto partecipare ad essa, perché è iniziata nella Santissima Trinità, e Cristo, che nella sua vita terrena ci ha mostrato l’esempio di come adorare il Padre, ha concesso a coloro che credono, i mezzi per lasciar trasformare le loro vite dalla celebrazione della liturgia, che comunica la vita della Trinità a noi.

L’opera dello Spirito Santo nella liturgia, santificandoci, ci sigilla nella relazione d’amore della Trinità che è il cuore della Chiesa. È lo Spirito Santo che ispira la fede e suscita la nostra cooperazione. È questa cooperazione genuina, indicativa del nostro desiderio di Dio, che fa diventare la liturgia un’opera comune della Trinità e della Chiesa (CCC 1091-1092).

Prima della missione salvifica di Cristo nel mondo poteva iniziare, lo Spirito Santo aveva posto le basi per ricevere Cristo, portando a compimento le promesse dell’Antica Alleanza, il cui racconto delle meraviglie di Dio, forma, nient’altro che la spina dorsale della nostra liturgia, di quanto fece per la liturgia della casa di Israele. Dall’Antico Testamento, con la sua vasta raccolta di letteratura insieme con la bellezza dei salmi, dove sarebbe la celebrazione della Chiesa dell’Avvento senza il profeta Isaia? E la liturgia nella serata di Giovedì Santo, senza la proclamazione del rituale Pasquale in Esodo 12? Inoltre, come la Veglia pasquale evidenzierebbe, come fa così straordinariamente, l’armonia del Vecchio e del Nuovo Testamento senza il racconto della traversata del Mar Rosso, con il suo cantico, in Esodo 14-15? (CCC 1093-1095) Le grandi feste dell’anno liturgico rivelano l’intrinseco rapporto delle liturgie ebraica e cristiana come si può vedere nella celebrazione della Pasqua, “Pasqua della storia, tesa verso il futuro, presso gli ebrei; presso i cristiani, Pasqua compiuta nella morte e nella risurrezione di Cristo, anche se ancora in attesa della definitiva consumazione” (CCC 1096).

Mentre, nella liturgia della Nuova Alleanza, l’assemblea deve essere preparata al suo incontro con Cristo e la sua Chiesa, questa preparazione, in primo luogo, non è una ricezione intellettuale di verità teologiche, ma un affare interiore del cuore, in cui la conversione si esprime al meglio e il convincimento verso una vita in unione con la volontà del Padre viene più vividamente riconosciuta. Questa disponibilità, o docilità verso lo Spirito Santo, è il presupposto per le grazie ricevute durante la celebrazione stessa e per i loro successivi affetti ed effetti (CCC 1097-1098).

La connessione tra Spirito Santo e la Chiesa manifesta Cristo e la sua opera salvifica nella liturgia. Specialmente nella Messa, la liturgia è “Memoriale del mistero della salvezza”, mentre lo Spirito Santo è la “memoria viva della Chiesa” a causa del suo ricordare del mistero di Cristo. Il primo modo in cui lo Spirito Santo ricorda il senso dell’evento della salvezza, è vivificando la Parola di Dio proclamata nella liturgia affinché possa diventare un progetto di vita per coloro che la ascoltano. Sacrosanctum Concilium 24 spiega che la vitalità della Sacra Scrittura mette sia i ministri che i fedeli in relazione viva con Cristo (CCC 1099-1101).

“Massima è l’importanza della Sacra Scrittura nel celebrare la liturgia. Da essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni” (SC 24).

L’assemblea liturgica, quindi, non è tanto una collezione di diversi temperamenti, quanto una comunione nella fede. La proclamazione liturgica chiede una “risposta della fede”, indicativa sia di “adesione ed impegno” e fortificata dallo Spirito Santo che infonde nei membri dell’assemblea “la memoria delle opere meravigliose di Dio”, attraverso un’anamnesi sviluppata. In quel momento l’azione di grazie verso Dio per tutto quello che ha fatto sfocia naturalmente nella lode di Dio o dossologia (CCC 1102-1103).

Nelle celebrazioni del Mistero Pasquale, il Mistero Pasquale non viene ripetuto. Sono le celebrazioni che si ripetono. Ad ogni celebrazione, è l’effusione dello Spirito Santo che rende questo specifico mistero presente. L’Epiclesi è l’invocazione dello Spirito Santo e, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo nella Santissima Eucaristia con disposizioni corrette, i fedeli stessi diventano pure un’offerta viva a Dio, desiderosi nella loro speranza della loro eredità celeste e testimoniando la vita dello Spirito Santo, al di là della celebrazione liturgica stessa. In quel momento “il frutto dello Spirito nella liturgia è inseparabilmente comunione con la Santissima Trinità e comunione fraterna” (CCC 1104-1109). Come abate Alcuin Deutsch di Collegeville scrisse nel 1926 nella sua prefazione alla traduzione inglese di Virgil Michel de La pieté de l’Église di Lambert Beauduin, “la liturgia è l’espressione, in modo solenne e pubblico, delle credenze, amori, aspirazioni, speranze e timori dei fedeli nei riguardi di Dio. [...] È il prodotto di un’esperienza emozionante, che pulsa con la vita e il calore del fuoco dello Spirito Santo, delle cui stesse parole è piena, e sotto la cui ispirazione è nata. Come nient’altro ha il potere di scuotere l’anima, di vivificarla, e darle interesse per le cose di Dio”. (p. IV)

fonte: Zenit.org, 97/03/2012
http://www.zenit.org/article-29817?l=italian

 

(07/03/2012)

di di N. Bux - U.M. Lang - P. Gunter