Il nuovo movimento liturgico voluto da Papa Benedetto

 

Presentiamo una interessante intervista a S.E. Mons, Atanasio Schneider pubblicata sul sito di Paix Liturgique in tre parti

 

 

Sulla Comunione
Intervista con Mons. Schneider - prima parte

La riforma della riforma promossa dal Sommo Pontefice è un'opera che progredisce lentamente non avendo per ora riscontrato il supporto necessario nella gerarchia episcopale. Nonostante questo, alcuni prelati si sono gettati con entusiasmo e ubbidienza nella promozione del nuovo movimento liturgico voluto da Papa Benedetto.
Siamo lieti di proporvi questa settimana la prima parte di un'incontro esclusivo con uno di questi, S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan, autore del libro “Dominus Est, Riflessioni di un Vescovo dell'Asia centrale sulla sacra Comunione”, pubblicato nel 2008 dalla Libreria Editrice Vaticana.

 

Eccellenza, innanzitutto, può presentarci l'ordine religioso al quale appartiene: i Canonici regolari della Santa Croce detti anche Canonici di Coimbra?

ATHANASIUS SCHNEIDER: Furono Don Tello e San Teotoneo, il primo santo del Portogallo, a creare l'ordine nel 1131 a Coimbra. Lo fondarono con altri dieci religiosi, scegliendo di seguire la regola di Sant'Agostino e mettendosi sotto la doppia protezione della Santa Croce e dell'Immacolata Concezione. L'ordine conobbe una crescita rapida.
Portoghese di nascita, anche Sant'Antonio da Padova, prima di passare ai francescani, appartenne all'ordine. Nel 1834 il governo portoghese chiuse gli ordini religiosi. Per la Chiesa, però, un'ordine si estingue soltanto 100 anni dopo la morte del suo ultimo membro. Dopo il Concilio Vaticano II, fu il Primate di Portogallo a chiedere di rilanciare l'ordine. Il rilancio venne approvato nel 1979 da un decreto della Santa Sede, firmato dall’allora arcivescovo Augustin Mayer, Segretario della Congregazione per i Religiosi.
L'ordine è dedicato alla venerazione della Santa Croce e degli angeli, in stretto legame con l'opera perseguita dall'Opus Angelorum. Nato nel 1949 in Austria, l'Opus Angelorum ha dato vita nel 1961 alla Confraternità degli Santi Angeli Custodi con la vocazione di raggrupare i “fratelli della Croce”. La fondatrice dell'Opus Angelorum, umile madre di famiglia austriaca, Gabrielle Bitterlich, voleva portare un aiuto spirituale ai sacerdoti e partecipare all'espiazione per i sacerdoti mediante la pratica dell'Adorazione eucaristica.
L'Opus Angelorum è stato oggetto di vari interventi della Santa Sede per chiarirne il funzionamento ed è diventato alla fine, nel 2007, il terz'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce.
L'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce conta 80 sacerdoti per 140 membri ed è presente in Europa, America e Asia.
Nell’ordine la Messa si celebra secondo il Novus Ordo, però versus Deum e dando la comunione nel modo tradizionale, quello che il Santo Padre ha riportato nelle sue cerimonie: Comunione in bocca data ai fedeli inginocchiati. In questo si perpetua anche la memoria della fondatrice dell'Opus Angelorum che soffriva molto per la generalizzazione della comunione nella mano.

 

E' stato questo rispetto particolare per l'Eucaristia, Eccellenza, ad averla spinta ad unirsi all'ordine?

SCHNEIDER: Si. Dovete sapere che per dodici anni, i primi della mia vita, ho vissuto sotto la tirannia del comunismo sovietico. Sono cresciuto nell'amore di Gesù Eucaristia grazie a mia madre che era una “donna eucaristica”. Una di quelle pie donne che custodivano l'Ostia consacrata per evitare che venissero commessi dei sacrilegi quando i sacerdoti venivano arrestati o messi sotto indagine dalle autorità.
Quindi, quando siamo arrivati in Germania nel 1973, sono rimasto scioccato nel vedere come si faceva la comunione in chiesa. Mi ricordo di avere detto a mia madre, vedendo per la prima volta la comunione data in mano: “Mamma, ma è come quando distribuiscono le caramelle a scuola!”
Più tardi, quando ho creduto di avere la vocazione sacerdotale, ho cercato una via che consentisse anche a me di poter essere custode di Gesù Ostia, a mio modo. La Providenza ha voluto che fosse proprio negli anni del rilancio dei Canonici della Santa Croce...

 

Sin dalla sua elezione, avvenuta in pieno anno eucaristico, Benedetto XVI ha riaffermato spesso la presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Eucaristia. Ha anche ripreso, a partire dalla festa del Corpus Domini del 2008 l'uso di dare la comunione sulla lingua a fedeli inginocchiati. Colpiti da quest'esempio papale, numerosi sacerdoti, spesso tra i più giovani, cominciano a dubitare dei meriti della comunione generalizzata in mano, ritenuta per altro da alcuni come uno dei danni maggiori della riforma liturgica.
Il suo libro, Dominus Est, affronta precisamente questo tema. Secondo Lei, possiamo dire, come S.E. Mons. Malcolm Ranjith nella prefazione del suo libro, che la comunione in mano ha favorito una perdita di fede, sia dei fedeli che dei chierici, nella presenza reale di Cristo e, di conseguenza, una mancanza di rispetto nei confronti del Santissimo Sacramento? Ci riferiamo allo spostamento dei tabernacoli negli angoli bui delle chiese, ai fedeli che non si genuflettono più davanti al Santissimo Sacramento, alle comunioni sacrileghe, ecc.

SCHNEIDER: Vorrei innanzitutto dire che penso che si possa prendere la comunione con grande riverenza anche ricevendo l'Eucaristia nella mano. Nella sua forma più diffusa e generalizzata, però, dove la sacralità sembra venire dimenticata sia dal ministro che dal fedele, devo ammettere che la comunione in mano contribuisce a un indebolimento della fede e della venerazione del Signore eucaristico. E in questo senso sono in pieno accordo con le osservazioni di S.E. Mons. Malcolm Ranjith.
Alcune cose lo fanno capire:
- Non c'è nessuna garanzia della protezione di Nostro Signore nei suoi frammenti più piccoli. Io soffro della perdita dei frammenti dell'Eucaristia, ormai assai diffusa a causa della pratica quasi generalizzata della comunione in mano. E' possibile, mi dico, una tale trascuratezza, che con il tempo conduce ad una diminuzione e persino ad una mancanza di fede nella transustanziazione?
- La comunione in mano favorisce fortemente il furto delle specie eucaristiche. Si commettono così dei sacrilegi veri che non dovremmo mai permettere.
- Lo spostamento del tabernacolo, inoltre, non aiuta la centralità dell'Eucaristia, anche a scopo educativo: deve sempre essere visibile il luogo centrale dove si ripara Nostro Signore Gesù Cristo.

 

Nonostante sia stato consentito solo da un apposito indulto all'inizio, il modo di comunicarsi in mano è divenuto una norma, quasi un dogma, nella maggioranza delle diocesi. Come mai una tale evoluzione?

SCHNEIDER: Questa situazione si è imposta con tutte le caratteristiche di una moda ed ho inoltre il sospetto che la sua diffusione sia dovuta anche ad una vera e propria strategia. La consuetudine della comunione nella mano si è diffusa con l’effetto di una valanga. Mi domando: siamo così insensibili da non riconoscere più la sublime sacralità delle specie eucaristiche, Gesù vivente tra noi con la Sua maestà Divina?

 

Per il momento pochissimi prelati hanno deciso di imitare il Santo Padre e di dare la comunione nel modo tradizionale. Di conseguenza numerosi preti esitano a seguire il Papa. Secondo Lei, si tratta delle solite resistenze conservatrici (non si toccano gli “avanzi” di Vaticano II) o, ciò che sarebbe quasi peggio, di un disinteresse per l'argomento?

SCHNEIDER: Non possiamo giudicare le intenzioni, ma un'osservazione esterna ci lascia pensare che ci sia una reticenza o, almeno, un disinteresse per il modo più sacro e più sicuro di ricevere la comunione. Si ha l'impressione che una parte dei pastori nella Chiesa faccia finta di non vedere quello che porta avanti il Sommo Pontefice: un magistero eucaristico-pratico.

 

Lettera di Paix Liturgique n. 13, 14/09/2010
http://www.paixliturgique.it/aff_lettre.asp?LET_N_ID=623

 

 

 

 


Sull'arricchimento reciproco delle due forme del Rito Romano
Intervista con Mons. Schneider - seconda parte

 

Ecco la seconda parte dell'incontro che abbiamo avuto con S. E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda (Kazakistan). Dopo la prima parte, dedicata all'Eucaristia, ci soffermiamo in questa pubblicazione sull'arricchimento mutuo tra le due forme del rito romano, così come auspicato dal Santo Padre nella sua lettera ai vescovi del 7 luglio 2007. S.E. Mons. Schneider ci propone in particolare una riflessione inedita sul rafforzamento nella liturgia moderna, ma secondo una logica tradizionale, del ruolo del diacono, del lettore e dell'accolito. A questo riguardo ci piace sottolineare che, proprio nel periodo in cui abbiamo avuto la fortuna di poterlo intervistare, S. E. Mons. Athanasius Schneider stava per conferire gli ordini minori, secondo la forma straordinaria della liturgia romana, ad alcuni seminaristi dell'Istituto del Cristo Re.

 

Nel Motu Proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI ha formulato un invito all'arricchimento reciproco delle due forme dell'unico rito romano: per Lei, che celebra senza difficoltà nella forma straordinaria, quali sono gli aspetti nei quali quest'arricchimento mutuo potrebbe manifestarsi con maggior frutto?

SCHNEIDER: Dobbiamo prendere sul serio il Papa. Non possiamo continuare a fare come se Lui non avesse detto questa frase. Anzi, come se non l'avesse scritta. Ovviamente, anche senza cambiare i messali, c'è modo di avvicinare le due forme.

La prima cosa potrebbe essere quella di celebrare versus Deum a partire dall'Offertorio, così com'è previsto dalle rubriche del Novus ordo. L'ordo Missae di Paolo VI indica chiaramente che per due volte il celebrante si deve rivolgere verso il popolo. Una volta al momento dell'”Orate fratres” e poi quando il sacerdote dice “Ecce Agnus Dei” per la comunione dei fedeli. Che cosa significa questo se non che il sacerdote dovrebbe essere rivolto all'altare durante l'Offertorio e il Canone? Nel settembre 2000, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato una risposta relativa ad un “quaesitum” sull'orientamento del sacerdote durante la messa. Spiegando che “che la posizione versus populum sembra la piú conveniente nella misura in cui rende piú facile la comunicazione”, ricordava che “sarebbe un grave errore supporre che l’azione sacrificale sia orientata principalmente alla comunità. Se il prete celebra versus populum, cosa legittima e spesso consigliata, il suo atteggiamento spirituale deve sempre essere rivolto versus Deum per Iesum Christum, in rappresentanza dell’intera Chiesa.”
Mi pare che oggi questa risposta, che consiglia la celebrazione verso il popolo, potrebbe venire adattata alla nuova realtà creata del Motu Proprio Summorum Pontificum con la raccomandazione di celebrare ad orientem a partire dall'Offertorio.

In merito alla comunione, poi, la Santa Sede potrebbe pubblicare un'altra raccomandazione universale per ricordare ciò che viene previsto dall'Ordinamento generale del Messale romano nel suo articolo 160: “I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.” Si nota che la prima forma di comunione menzionata dal testo ufficiale della Chiesa commentando il Novus Ordo è quella in ginocchio ...
Sarebbe inoltre opportuno limitare l'uso dei cosiddetti ministri laici dell'Eucaristia ai soli casi di assenza del sacerdote e del diacono.

Un altro aspetto che potrebbe arricchire il Novus Ordo sarebbe che le letture della Sacra Bibbia vengano sempre fatte da un uomo in abito liturgico, e non da donne o uomini in vesti civili. Questo perchè la proclamazione della lettura si svolge nel presbiterio, un luogo che dai tempi apostolici era riservato al sacerdote e ai ministri ordinati, incluso i chierici degli ordini minori. Solo in mancanza di quest'ultimi un fedele laico maschio poteva supplire loro. Il servizio presso l’altare, sia del lettore, sia dell’accolito, non è un esercizio del sacerdozio comune, ma è contenuto nell’esercizio dell’ordine sacro, specificamente in quello del diaconato. Per questa ragione, almeno a partire dal III secolo, la Chiesa Romana ha voluto gli ordini minori come una specie di introduzione ai vari compiti concreti che in qualche modo sono contenuti nell’esercizio del diaconato, per esempio vigilare il santuario e chiamare i fedeli alla liturgia (ostiariato), leggere la parola di Dio nella liturgia (lettorato), espellere gli spiriti maligni (esorcistato), portare la luce e servire all’altare (accolitato). Per questo si può meglio vedere la ragione per la quale la Chiesa finora ha riservato il conferimento degli ordini minori o dell’istituzione di lettore e accolito ai soli fedeli laici maschi.

Di conseguenza consideriamo che un'altra possibilità offerta dall'avvicinamento delle due forme liturgiche sia quella di tornare alla sana tradizione che riserva il coro ai soli uomini: diaconi, accoliti, lettori e chierichetti devono essere maschi. Non possiamo lamentare il crollo delle vocazioni se i ragazzi non sono più portati al servizio dell'altare.
Infine, la preghiera dei fedeli deve essere riservata ai soli diaconi, accoliti o lettori in veste liturgica. Penso però che sia più consono alla bimilenaria tradizione della Chiesa, occidentale come orientale, che la preghiera universale o dei fedeli sia proclamata o meglio cantata solo dal diacono, giacchè la preghiera universale si chiamava anche oratio diaconalis. Quindi, in assenza del diacono, analogamente alla proclamazione del vangelo, la preghiera universale dovrebbe venire detta dal sacerdote stesso. Il nome preghiera dei fedeli non significa che sia proclamata da parte dei fedeli laici, questo è un errore storico e liturgico. Significa invece che questa preghiera si faceva all’inizio della liturgia dei fedeli dopo l'uscita dei catecumeni. Il diacono o il sacerdote offriva alla maestà Divina con le suppliche solenni le intenzioni di tutta la chiesa, cioè di tutti i fedeli, ed è proprio per questo che si chiamava anche preghiera dei fedeli.

 

E per il Vetus Ordo? In che modo potrebbe venire arricchito dall'avvicinamento con la forma ordinaria del rito romano?

SCHNEIDER: Direi che lo spirito che anima gli ultimi punti relativi al Novus Ordo si può applicare alla forma straordinaria. Le letture sacre dovrebbero essere sempre rese accessibili ai fedeli, cioè lette nella lingua locale e non soltanto in latino, fatta qualche eccezione particolare. Le letture potrebbero essere fatte, anche in questo caso, da un lettore ordinato o istituito o comunque da un fedele laico maschio in veste liturgica.

Anche l'introduzione di alcuni dei prefazi del Novus Ordo sarebbe una cosa bella e utile, così come l'introduzione dei nuovi santi nel calendario liturgico tradizionale.

 

Lettera di Paix Liturgique n. 14, 02/10/2010
http://www.paixliturgique.it/aff_lettre.asp?LET_N_ID=630

 

 


 
 
Visto da Karaganda
Intervista con Mons. Schneider - terza ed ultima parte

 

Ecco l'ultima parte dell'intervista esclusiva rilasciata per la nostra lettera da S.E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan. In questa occasione, Sua Eccellenza ci fa condividere il suo sguardo di cristiano d'Oriente sui temi dell'Offertorio tradizionale, della formazione dei sacerdoti e dell'inculturazione della fede cattolica nei paesi dell'Asia centrale.

 

Nel settembre 2001, in un saluto alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato il fatto che: “Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia”. Possiamo considerare che l'Offertorio tridentino sia una di queste preghiere? O dobbiamo considerare, piuttosto, che la sua sparizione sia uno dei punti positivi della riforma liturgica, così come sostengono ancora oggi numerosi modernisti (vedere SE Mons. Pierre Raffin, Vescovo di Metz che in un'intervista del 2003 – in “Enquête sur L'Esprit de la Liturgie” – si dichiarava “felice della soppressione delle preghiere d'offertorio delle quali posso dimostrare il carattere eteroclito”)?

SCHNEIDER: In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l'Offertorio è sempre stato legato all'attuazione del sacrificio del Golgota. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrifico della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un'anticipazione simbolica”.

L'Offertorio richiama tutti i sacrifici dell'Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. E' una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l'Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.

Così come per Sant'Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell'Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l'Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza.

 

Per una miglior pratica della liturgia, non è forse giunto il momento rivedere la formazione nei seminari? Pensando alla Francia potremmo citare l'insegnamento del latino, che pur rimanendo la lingua sacra della Chiesa non viene quasi più praticato, e anche l'approccio alla celebrazione della forma ordinaria, che spesso è lasciato all'ispirazione personale. Per non parlare della possibilità di scoprire la liturgia tradizionale, cosa rarissimamente offerta ai seminaristi. Senza giudicare i suoi fratelli francesi, può dirci, Eccellenza, qual'è la situazione nel seminario di Karaganda, unico seminario cattolico nell'Asia Centrale?

SCHNEIDER: In realtà, la situazione dell'insegnamento del latino nei seminari è grave in tutto il mondo, non soltanto in Francia. E' una cosa che succede contro ogni volontà della Chiesa e del Santo Padre ma anche del Concilio Vaticano II. La Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” prevedeva in termini chiari che: “L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.” Nella sua esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del febbraio 2007, Papa Benedetto XVI chiedeva “che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia”.

I sacerdoti devono essere padroni della lingua latina. Credo che in tutti i seminari dovrebbe venire celebrata e insegnata la Santa Messa (rito ordinario) in latino e anche periodicamente nella forma straordinaria. Questo gioverebbe molto alla dignità stessa della liturgia.

A Karaganda, abbiamo una quindicina di seminaristi (per una popolazione di 150.000 cattolici nel paese) e proviamo a fare modo che nella formazione il latino sia un elemento importante.

 

Nei paesi dove il cattolicesimo è soltanto una religione minoritaria, se non addirittura marginale, come succede nel Kazakistan (il 2% della popolazione), l'uso della lingua volgare e della liturgia moderna è stato spesso presentato come un aiuto per “l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone, e, nelle stesso tempo, l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa” secondo la definizione dell'inculturazione data da Giovanni Paolo II nell'enciclica Slavorum Apostoli (VI, 21). In merito alla sua esperienza, Eccellenza, può dirci se la liturgia romana in latino e gregoriano – e non importa che sia nella forma ordinaria o straordinaria – possa o no rappresentare un ostacolo per l'inculturazione del cattolicesimo in Asia?

SCHNEIDER: Si deve tenere presente che il contesto dell'Asia centrale è molto diverso da quello europeo. Non si può fare a meno di ricordare i 70 anni di regime sovietico, così come si deve considerare oggi il peso della presenza musulmana. Inoltre sono ancora presenti l'elemento slavo ortodosso e la dimensione bizantina. Dunque, siamo culturalmente ben lontani dal mondo latino.

Celebrare la liturgia totalmente in lingua latina, nel nostro contesto specifico, sarebbe difficile da realizzare. Si potrebbe però immaginare di usare una lingua slava come lingua liturgica e poi gradualmente introdurre l’uso del latino per qualche parte della liturgia.

Ci sono due precedenti storici:

- Nel IX secolo, sulla scia dell'azione dei santi Cirillo e Metodio, la Chiesa autorizzò l'uso della lingua slava in Dalmazia e Boemia e Moravia, disposizione che resisterà fino al concilio Vaticano II nel caso della Dalmazia, l'attuale Croazia.

- Nel 1949, Papa Pio XII fece pubblicare un indulto che concedeva ai sacerdoti della Cina di celebrare la messa in cinese, tranne il Canone che doveva rimanere in latino.

Questi due precedenti storici sono noti in Kazakistan (il paese ha una frontiera in comune con la Cina) e potrebbero essere fonti d'ispirazione per una disposizione da parte della Santa Sede a favore dell'uso della lingua russa nella forma straordinaria del Rito Romano. ■


Lettera 15, 19/10/2010
http://www.paixliturgique.it/aff_lettre.asp?LET_N_ID=636

 

 

(03/02/2012)