La croce, l'altare ed il modo giusto di pregare

 

 

Nella basilica di San Pietro in Vaticano e nelle basiliche pontificie di Roma (un tempo chiamate "basiliche patriarcali"), è entrata recentemente in vigore la norma di installare una croce al centro di ogni altare maggiore o altare mobile. Non si specifica il tipo e la dimensione della croce. In genere, la norma è stata ben applicata: una grande croce con il Gesù crocifisso installata di fronte al celebrante, in modo che egli sia in grado di osservarlo. Tale norma, che regola una realtà che dovrebbe essere scontata, può invece sorprendere. Da molti anni infatti a Roma era invalsa la cattiva abitudine di spostare la croce all'angolo dell'altare, così da non "disturbare", facilitando una liturgia più "televisiva", soprattutto per le Messe papali.
 
La croce è il punto focale della salvezza e dell'azione liturgica, deve armonizzarsi in stile e proporzione con l'altare e mai essere piccola. La croce deve disturbare! Il sacerdote non può guardarla "di sfuggita"! Talvolta si obietta che la croce crea una barriera tra il clero e il popolo, qualcosa di simile a una iconostasis (quella parete di icone nelle chiese di rito orientale che separa la navata dal presbiterio). Ma è un argomento specioso, visto che neanche l'enorme croce nella Basilica di San Pietro impedisce di vedere l'altare. Dopo tutto, sono pochissime quelle chiese in cui i fedeli stanno immediatamente dinanzi all'altare; è più comune che vedano l'altare da una prospettiva laterale, guardando il celebrante al di là della croce. Inoltre, più in alto sta la croce, meno probabile sarà che ostacoli la vista alla gente, divenendo per tutti un forte richiamo spirituale (se è veramente posta in alto). Infine, si obietta ancora che una croce d'altare crea un raddoppio di crocifissi, nel caso in cui una croce sia già sospesa sopra l'altare o dietro all'altare. Ma la croce sull'altare con Gesù crocifisso sta davanti al sacerdote, mentre i fedeli guardano la croce sopra l'altare.
 
Non c'è dubbio che ci saranno dei contrasti nelle commissioni liturgiche quando i parroci, scegliendo di seguire la tradizione romana, cominceranno a tirar fuori dagli armadi le croci d'altare. Prevedendo reazioni affrettate nelle future polemiche, vorremmo definire il contesto più ampio del dibattito. Ci sono diverse pratiche liturgiche che sono scomparse da secoli, ma se non si studiano attentamente quei rituali, potrebbe benissimo succedere che perfino la più bella delle direttive liturgiche si ridurrebbe a formalismo insignificante.
 
L'azione sacrificale dell'Eucaristia ha luogo sull'altare all'interno di una continua corrente di preghiera: dalla orazione sui doni, attraverso la Preghiera Eucaristica, fino al Padre Nostro. A questo riguardo, l'azione eucaristica è notevolmente diversa dalla Liturgia della Parola che la precede. L'ambone, di per sé, non è un luogo di preghiera; l'orazione d'ingresso è più appropriata alla sede del celebrante. Nell'usus antiquior, il sacerdote sta sempre in piedi all'altare e quasi sempre in preghiera! Le preghiere silenziose non sono né private né semplici riempitivi (horror vacui= paura del vuoto), piuttosto fanno dell'altare un luogo di incessante preghiera.
 
Una volta riconosciuto questo aspetto, si comprende che il sacerdote assume sull'altare un atteggiamento o forma mentis ben diversi da ogni altro evento quotidiano. Qui sta, innanzitutto, come uno che prega. Tutti i cristiani riconoscono questa postura orante ben distinta, nella quale il sacerdote alza le mani e gli occhi. Alzare gli occhi e le mani al cielo sono gesti che risalgono alla primitiva preghiera cristiana, la stessa che praticava Gesù nella tradizione ebraica. Anche lo stare in piedi fa parte di tale tradizione, è la postura fondamentale per pregare; come pure il levare gli occhi e le mani stando in ginocchio, si ritrova nella primitiva cristianità. Fin dal Medio Evo però, questa postura per l'orazione, con mani e occhi levati in alto, si è alquanto affievolita. Attualmente, soltanto il sacerdote alza le mani (e gli occhi solo per brevissimi attimi) in quanto legge le preghiere. Guarda verso l'alto, ad esempio, nel Canone Romano al momento della consacrazione, pronunciando le parole: "et elevatis oculis in coelum". Pertanto, Gesù inaugura l'Eucaristia "alzando gli occhi al cielo".
 
Anche nell'ordo novus, la rubrica a questo punto recita: "Il celebrante alza gli occhi". Ma dove esattamente il sacerdote deve guardare, al soffitto della chiesa? Per cui, quando il celebrante, a quel punto della preghiera, ha il dovere di guardare verso l'alto, invece che fissare uno spazio vuoto, lo rivolge al punto focale più naturale: la grande croce sull'altare maggiore.
 
Ovviamente, la croce sull'altare dinanzi al sacerdote non serve solo per isolati momenti, ma ha uno scopo più generale: egli sta in piedi all'altare in incessante preghiera verso Dio, guardando fisso il Figlio di Dio, attraverso il quale indirizza ogni sua invocazione e ogni sua parola di lode.
 
Per il fatto che Dio è creatore, il mondo non è caotico, ma un universo divinamente plasmato e provvidenzialmente ordinato. Esiste un "lassù" e un "quaggiù", o in termini scritturistici, il cielo è il suo trono e la terra sgabello ai suoi piedi. Già i primi Padri della Chiesa osservavano che i cristiani stanno eretti nel pregare da libere creature di Dio, tenendo alta la testa e guardando in alto verso Colui che guarda in basso verso di loro dal suo trono celeste. Pregare è conversare con Dio. Non è educato non guardare la persona con cui stiamo dialogando. L'atto di guardare in alto quando preghiamo è, perciò, espressione dell'intera teologia della creazione sia del Vecchio che del Nuovo Testamento.
 
L'uomo peccatore tenta di nascondersi da Dio, come Adamo ed Eva si nascondevano dietro ai cespugli. L'uomo redento, invece, non abbassa più la testa per la vergogna, libero e felice egli può guardare Dio in faccia, e osare dire: "Padre Nostro, che sei nei cieli". Egli osa perché Gesù Cristo è veramente Dio in sostanza, lui solo può dire "Padre", mentre noi, mediante la grazia, possiamo godere della stessa relazione, invitati così a questo atto di filiale fiducia. Noi siamo solo creature, ma i battezzati sono creature privilegiate perché, uomini e donne, siamo in Cristo gli amati figli e figlie dello stesso Padre celeste.
 
Era proprio questo che la Chiesa primitiva voleva manifestare con la postura orante che aveva adottato. Quando parliamo con Dio nella preghiera, abbracciamo la nostra identità filiale. Ma dal momento che nello spazio fisico della chiesa, lo sguardo verso il trono di Dio era bloccato dalle pareti, si fece di tutto per aprire una via virtuale di visione del cielo. L'abside venne spesso dipinta o arricchita di mosaici, riservando una zona del dipinto al cielo stellato. Ciò spalancò il soffitto della chiesa verso il cielo.
 
I sacerdoti e i fedeli, pregando, potevano così alzare lo sguardo verso l'abside e vedere il cielo, per così dire. Lo sguardo dei fedeli non era più incentrato sull'altare e sul celebrante, ma al di sopra di essi. L'edificio stesso della chiesa doveva sempre essere "orientato" ad oriente a questa arte celeste così luminosamente dipinta. L'orientamento geografico verso oriente, in quanto tale, era di secondaria importanza.
 
Fu chiaro fin dall'inizio che la preghiera cristiana non era diretta solo verso Dio, ma al Padre celeste attraverso Gesù Cristo. E' precisamente in questo contesto che la croce diventa il punto focale. Perciò, nella Chiesa primitiva non soltanto il cielo ma anche la croce veniva dipinta sull'abside, o per lo meno collocata in un punto elevato dell'abside. Nessuno quindi, pregando, poteva fare a meno di guardare la croce. L'esempio più eloquente di tale disposizione lo abbiamo nell'abside della chiesa di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna, risalente al VI secolo.
 
La consuetudine della Chiesa di porre sull'altare una croce elevata, cosa normale fino a qualche decennio fa, era ben fondata sia liturgicamente che teologicamente. Anche dopo il Concilio Vaticano II, non vi era alcuna buona ragione di relegare i crocifissi agli altari laterali usati sempre più raramente. L'altare è il luogo della preghiera: la croce ne fa parte, tanto più quando è all'altare maggiore. E' il luogo in cui si alzano le mani, la mente e gli occhi per "guardare colui che hanno trafitto". Lì, il cielo si aprì allorquando le tenebre coprirono la terra: il Sole di Giustizia sulla croce fu innalzato al centro della terra, trasformando le nostre tenebre in luce.
 
Nella miriade di pubblicazioni sulla postura della preghiera, raramente si trovano riferimenti alle mani alzate. Gli autori ritengono sempre che la prima postura dei "normali" credenti, quando pregano, sia quella di congiungere le mani. In effetti, tenere le mani giunte è una pratica antica di parecchi secoli. Eppure, si tace sempre che la "vera" postura di preghiera (ancor oggi) è quella del sacerdote quando celebra la Messa. Ogni volta che egli dice: "Preghiamo", alza le braccia appena inizia a recitare l'orazione. Nella Chiesa primitiva e in quella medievale, quando il sacerdote annunciava: "Preghiamo", l'assemblea si alzava in piedi e levava in alto le braccia. Nei tempi moderni, invece, le posture di preghiera di celebrante e fedeli divergono; infatti, essi si inginocchiano o rimangono in piedi congiungendo le mani. Così la primitiva postura cristiana di preghiera, mani e occhi rivolti al cielo, è stata completamente dimenticata, e non la si capisce nemmeno più come gesto di preghiera, anzi la si considera un rituale di origine oscura riservato ai sacerdoti .
 
Tale grande divergenza e discontinuità della pratica non aiuta i fedeli a capire il significato delle mani alzate del sacerdote e cosa ha a che fare questo con la preghiera, soprattutto quando l'assemblea non usa tale postura. Gli stessi sacerdoti sembrano non avere alcuna idea del perché fanno quello che fanno, dal momento che ognuno lo fa in modo diverso. Attualmente, non c'è una pratica concorde sulla postura di preghiera. A me pare che qui manchi qualcosa. Dopo tutto, la fede cristiana, a motivo dell'Incarnazione, ha un rapporto molto più stretto e più consapevole con il corpo di qualsiasi altra religione. La preghiera non è mera interiorità, ma si deve incarnare in particolari posture.
 
La cosa più importante a tale riguardo è quella che abbiamo trattato a proposito dell'alzare lo sguardo. I primi cristiani sottolineavano in modo esplicito che l'uomo non è come gli animali che camminano a quattro zampe; l'uomo sta in posizione eretta e, in un certo senso, si avvicina al cielo con la struttura del proprio corpo. L'uomo può riconoscere Dio e parlargli, ecco perché sta eretto, alza le braccia e gli occhi al cielo. Chiunque prega dovrebbe adottare questa postura, non solo il prete.
 
I cristiani assunsero quella comune postura di preghiera dalla tarda antichità, rimarcando ancora più fortemente la sua continuità. Anche per essi Dio era in cielo. Naturalmente, per loro c'era un solo Dio che ha creato il cielo e la terra. Ma l'accettazione dei cristiani di tale postura di preghiera, che era comune sia agli ebrei che ai pagani, è stata assoluta. Per essi era importante alzare gli occhi e le mani, perché Dio ha il suo trono in cielo.
 
Ancora più importante è un'altra pratica che i cristiani adottarono dall'antichità: la purificazione delle mani. Lavare le mani e il viso prima del rituale di preghiera, non è un'invenzione dei musulmani. I credenti islamici la adottarono nel VII secolo basandosi sulle pratiche degli oranti cristiani. I cristiani infatti si lavavano almeno le mani prima di pregare. Sul sagrato delle chiese c'era una fontana d'acqua proprio per tale scopo. Nell'atrio di San Pietro a Roma, c'era la famosa fontana di pietra a forma di pino. Su un sarcofago ravennate è raffigurato il catino per l'acqua delle abluzioni: un cantharus (catino profondo) adornato di pavoni.
 
Il lavacro determinava un atteggiamento di purità ed integrità nella preghiera. Le mani dovevano essere pure proprio perché venivano alzate al cielo durante l'orazione. Il credente voleva essere visto da Dio, per cui chi pregava, mostrava le sue mani monde come segno che non erano macchiate di sangue. Per i cristiani, le mani monde erano l'espressione che si entrava alla presenza di Dio con una coscienza pura. "Chi ha mani innocenti e cuore puro" (Salmo 24,4) può salire la montagna del Signore, recitava un salmo cantato da coloro che si recavano pellegrini al tempio di Gerusalemme.
 
Ciò spiega questa postura di preghiera nella Chiesa primitiva: si tenevano le mani relativamente vicine al volto con le palme verso l'esterno, come è ancora in uso oggi nel rito domenicano. Era come dire: "Ecco, o Dio, guarda le mie mani! Non vi sono tracce di sangue né d'ingiustizia su di esse. E solo così, io oso pregare e levare la mia voce fino a Te". San Giovanni Crisostomo diceva ai suoi fedeli che non era sufficiente alzare mani pure verso Dio, perché le mani devono essere anche rese sante con le opere di carità. Ecco perché sul sagrato della chiesa, non solo si andava alla fontana per lavarsi le mani, ma si coglieva l'occasione per fare l'elemosina ai poveri che stazionavano sul sagrato.
 
Il rituale dell'abluzione delle mani, un tempo praticato da tutti i fedeli, oggi lo compie soltanto il sacerdote prima della Preghiera Eucaristica. I fedeli laici non si lavano più le mani perché non le alzano più quando pregano. In sostituzione, si benedicono con l'acqua santa entrando in chiesa, facendo così memoria del proprio battesimo.
 
I rituali del passato mantengono il loro significato anche oggi. La preghiera cristiana presuppone "mani pure". Chi pecca contro il prossimo pecca anche contro Dio, e se rifiuta di riconciliarsi, non deve accostarsi all'altare di Dio. L'atto di fede non cancella automaticamente tutti i peccati passati e futuri. Le nostre azioni e comportamenti peccaminosi creano degli ostacoli sul nostro cammino verso Dio, e indeboliscono l'efficacia della nostra preghiera.

Il sacerdote fa memoria della propria inadeguatezza ogni volta che alza le mani. Questo gesto rituale deve provocare nel suo spirito un serio esame di coscienza: tu solo puoi alzare le mani in preghiera; ne sei degno? Hai fatto tutto ciò che è in tuo potere, con mani pure e trasparenza di spirito, per arrivare davanti a Dio e portargli i doni e le preghiere del popolo?

 

 

fonte: Homiletic & pastoral review, 01/01/2012
http://www.hprweb.com/2012/01/cross-altar-and-the-right-way-of-praying/

trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

 

(23/01/2012)

di di p. Stefan Heid