Il canto che riposa nel fondo delle cose

 

* Pontificia Università della Santa Croce - Roma

 

In una certa occasione qualcuno mi domandò se in cielo ci sarà la musica. Non era il momento di lunghi discorsi. Ci pensai un po’, poi risposi: «Senza dubbio; non si potrebbe immaginare lo splendore dell’assunzione della Vergine senza splendide musiche». Non è azzardato: schiere di angeli vanno incontro alla loro regina che giunge in corpo e anima. La musica è solenne; trabocca affetto, bellezza, allegria. Tutto è sublime. Alla fine, arriva. E il Figlio, che iniziò l’esser uomo in seno alla Trinità, accoglie sua madre.

Tale situazione deve avere dei punti di contatto con ciò che accade durante la celebrazione di una messa. Benedetto XVI spiega che la liturgia terrena è liturgia solo in quanto si unisce alla liturgia celeste. Così, per esempio, tutti i prefazi della messa si concludono sempre con l’invito a tutti a cantare il Sanctus insieme agli angeli. Il Papa spiega che in qualche modo, gli uomini chiedono di essere ammessi al coro celeste. E aggiunge, con un pizzico di humor, che il nostro canto deve esser tale che gli angeli lo possano ascoltare. Una volta entrati nel contesto, è facile rendersi conto che uno canta verso un «Tu», per adorare Dio.

Nell’udienza generale dello scorso 31 agosto, Benedetto XVI tornò a riferirsi alla bellezza. Sottolineava tra le capacità possedute dall’arte, quella di parlare: è una porta aperta sull’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno molto al di là del quotidiano. Segnalava inoltre alcune espressioni artistiche quali autentici percorsi verso Dio, la Suprema Bellezza. Anzi — dichiarava — sono un aiuto per crescere, nell’orazione, nella relazione con Lui. «Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza (...) Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio».

In altri contesti, facendo un passo avanti, il Papa ha spiegato le parole del Vaticano II riferite alla musica liturgica quale parte necessaria e integrante della liturgia solenne (cfr. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, 112). La musica, ha affermato Benedetto XVI è essa stessa liturgia.

Perché sostengo che le considerazioni sul piano liturgico rappresentano un passo in più? Non è vero che si può pregare in qualsiasi situazione? Senza dubbio. Però nella liturgia, l’Eucaristia significa che Dio ha risposto. L’Eucaristia, spiega il Papa, è Dio in quanto risposta, quale presenza che risponde. Nella liturgia, l’iniziativa della relazione dell’uomo con Dio non è dell’uomo, bensì dello stesso Dio. E inoltre l’uomo non è solo, ma con l’intera Chiesa, corpo di Cristo. L’orazione liturgica si realizza nel contesto della morte e risurrezione di Cristo, dell’amore che ha vinto la morte. La forza di questi termini fa presagire che la stessa musica liturgica possiede una propria specificità.

Attualmente la musica liturgica si propone in termini problematici. Il Papa spiega che la soluzione non si trova affrontando direttamente gli aspetti pratici. Ad esempio, è chiaro che molte volte gli incaricati della pastorale non si intendono con i musicisti e viceversa. Si tratta di un problema che è sempre esistito, e che sempre esisterà. Ma questo non è il lato fondamentale. Per trovare le soluzioni è necessario conoscere e comprendere l’essenza della liturgia. Avviamoci ad affrontarla in due punti.

Nella liturgia si attua la redenzione dell’uomo. L’uomo, dopo il peccato, si rende conto che non è in grado di tornare a Dio con le proprie forze. Dio stesso gli promette un redentore. Cristo, il Buon Pastore, viene a prenderci sulle sue spalle e portarci di ritorno a casa. Si incarna e accetta di venir crocifisso, per poi risorgere e salire al cielo. Nella messa, attualizzazione del sacrificio del Calvario, Cristo ci fa pregustare il suo ritorno glorioso, e ci assimila a sé. Cristo, con le sue braccia aperte, ci attrae verso di sé dalla croce.

Lì si congiungono la misericordia divina e la miseria umana. Con tale amore radicale, la morte stessa viene trasformata in resurrezione per amore e l’uomo è trasformato e salvato, innestato in Cristo. Data questa forte premessa, qual è il luogo e il ruolo della musica liturgica? La liturgia parla di tutto questo amore di Dio per l’uomo. Anzi, mette in atto tutto questo amore, perché Dio è il suo protagonista.

La bellezza della liturgia è lo splendore delle meraviglie che si stanno operando. Ma è Cristo stesso, risorto, il soggetto di tale bellezza, ed è Lui che ci permette di intravvedere ciò che sta accadendo. Nella esortazione apostolica Sacramentum caritatis, Benedetto XVI scrive: «La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra».

E qui entra in gioco, infine, la musica. Perché in ciò che Dio rivela all’uomo, nel suo tradursi in parole umane, una parte rimane indicibile che soltanto con il canto si può pronunciare e comprendere. In occasione di un concerto, non molto tempo fa, il Papa affermò: questi suoni «mi hanno fatto dimenticare il quotidiano e mi hanno trasportato nel mondo della musica che per Beethoven significava “una rivelazione più alta di ogni sapienza e filosofia”. La musica, di fatto, ha la capacità di rimandare, al di là di se stessa, al Creatore di ogni armonia, suscitando in noi risonanze che sono come un sintonizzarsi con la bellezza e la verità di Dio — con quella realtà che nessuna sapienza umana e nessuna filosofia possono mai esprimere». Si tratta di comprendere come si intrecciano gli elementi di cui sopra.

Il criterio fondamentale della musica liturgica non è il gusto personale. Nemmeno lo è il quanto possa una data musica contribuire a facilitare la preghiera. Il paragone, sebbene non diretto, è chiaro: le letture della messa non debbono esser sostituite da nessun libro di spiritualità, per quanto esso inviti alla preghiera. La preghiera con il libro di spiritualità avrà il suo contesto, come ciascuna musica ha il proprio. Il criterio si trova nella dinamica dell’incarnazione del Verbo.

Si tratta di un movimento in due fasi: Il Figlio di Dio si è incarnato. Il Verbo, la Parola, si è materializzato. Così si è avvicinato fino alla nostra realtà, fino ai nostri sensi. Così ha inaugurato l’essere uomo in Dio. Lungo questa linea scorre la realtà dei sacramenti.

La morte, la resurrezione e l’ascensione al cielo di Cristo possono esser considerate come una successiva spiritualizzazione. Andare incontro al Cristo risorto nella liturgia è una spiritualizzazione. Questo però deve essere ben compreso, perché Cristo non ha abbandonato il corpo. Perciò si tratta di una spiritualizzazione della carne. Nella nostra realtà corporale, il Verbo ci purifica, ci assume e ci fa figli di Dio: ci rende conformi al Lògos.

Questo doppio movimento si ha nella musica liturgica. Da una parte, i sacramenti verrebbero a trovarsi senza un luogo loro proprio se non si compiono in una liturgia che segue l’espansione del Verbo in una dimensione corporea e nell’ambito dei nostri sensi. Da ciò deriva la necessità di giungere alle sfere più profonde del comprendere e del rispondere, che si aprono nella musica. Il Verbo, la Parola si fa musica della fede quale incarnazione. Il legno e metallo si fanno suonare: materiali che, senza coscienza né libertà, vengono usati per produrre un suono ordinato, ricco di significato. È qui che — afferma il Papa — si deve scoprire il canto che riposa nel fondo delle cose, e tradurlo in musica della fede.

Inoltre, tale farsi musica della fede è già, in se stesso, la seconda parte del movimento, la spiritualizzazione della carne. Il Papa lo spiega in termini di integrazione. La musica adeguata deve integrare i sensi nell’intimità dello spirito. Per di più, tale integrazione non avviene nell’uomo stesso, se non nel movimento che lo innalza ulteriormente verso l’intimità del Verbo. Si giunge, in fine, a scoprire quale sia il luogo e il ruolo della musica liturgica.

«Rende libera la via ingombra verso il cuore, verso l’intimo del nostro essere, là dove questo viene a contatto diretto con l’essere del Creatore e del Redentore. Ovunque ciò si verifica, la musica diventa la strada che conduce a Gesù; la via per la quale Dio mostra la sua salvezza».

Nel contesto sacramentale, la musica è un codice che supera le parole e la pura razionalità. La musica liturgica apre a una maggiore intimità con Dio, amplia il vocabolario nell’unione con il sacrificio di Cristo. Con essa, il cuore dell’uomo si rende maggiormente capace di nutrirsi dei sentimenti del Cuore di Cristo, e portando con sé la creazione, si lascia introdurre nel dialogo della Trinità. Cosa c’è di meglio che il bello per parlare della bellezza dell’amore di Cristo in Croce? Chi meglio dello Spirito Santo, è in grado di conformare il bello, in modo che parli veramente di Cristo?

La liturgia non è un happening di buona fattura. La liturgia è una festa, perché la redenzione compiuta da Cristo ha dato una reale risposta alla morte. Capito questo, e che non si tratta di risolverla sulla base di un’abile psicologia o di volenterosi dilettanti, ciò che importa è il Mistero, soprattutto l’azione di Dio e la conseguente risposta l’uomo; solo allora si può parlare di conclusioni pratiche.

La musica liturgica deve servire a un messaggio che si realizza nel dialogo intimo — proprio della liturgia — che, in presenza della grazia, si realizza tra Dio e l’uomo. Se la liturgia terrena si realizza in unione con quella celeste, la musica stessa deve adeguarsi alle circostanze. La liturgia non si fa, ma si accoglie; lo stesso per la musica. In quanto festa, la liturgia si veste di splendore e richiede il potere trasfigurante dell’arte. Inoltre, il vero luogo di nascita dell’arte è la liturgia. Quando l’arte viene sottoposta alle leggi del mercato — come avviene con la musica pop — viene annullata in quanto arte.

È chiaro, quindi, che non tutta la musica è adatta. Una musica che si propone come liturgica deve esser purificata, come il cuore dell’uomo. La musica adatta deve essere docile e riportare l’uomo al contatto con Cristo, alla sua integrazione verso l’alto. Il salmo afferma psallite sapienter. Talvolta si traduce in cantare bene. Però allora: che cosa significa questo riferimento alla saggezza (sapienter) nel canto?

Il Papa lo spiega con l’affinità che esiste tra saggezza e musica. In ambedue l’uomo si coinvolge interamente, con tutte le dimensioni del suo essere. Dio ci interpella nella totalità del nostro essere, e l’espressione musicale fa parte della autentica risposta umana. Così, spiega il Papa, il cantar bene è entrato nella coscienza della Chiesa, quale esigenza a livello artistico, per adorare Dio. Le modalità espressive offerte dalla musica sono necessarie per la nostra risposta.

Da ciò il compito: com’è possibile giungere a una musica liturgica adeguata? Un esempio elementare: se una cultura non consente di presentarsi in società con un abbigliamento inadatto, tanto meno permetterà che il sacerdote salga a celebrare la messa con una patacca sul camice. Su questo non c’è dubbio. E, tanto più, la musica, che è liturgia, perché dovrebbe essere ammessa se è difettosa? Un atteggiamento simile non equivale a ridurre a priori le possibilità che Dio offre per unirsi a Lui, proprio nella convergenza tra la corrispondenza la grazia?

La traduzione in termini più immediati è multipla e merita un discorso a parte. Si può però portare qualche esempio. Supponiamo conosciuto il Magistero sulla musica liturgica e teniamo conto dei precedenti argomenti teologici. Che dire del compositore e dell’ascoltatore? Il compositore di musica liturgica deve essere in grado di assumere la responsabilità dell’ineffabile che la musica può contenere. Le grandi composizioni liturgiche sono una esegesi del Mistero rivelato.

Il punto di riferimento proposto da Ratzinger è la costruzione del Tempio in Israele: Dio comunicò a Mosè la forma che esso doveva avere e gli artisti lavorarono per riprodurre la volontà divina. La creatività è partecipazione alla creatività di Dio. L’implicazione è duplice. Da una parte, il compositore deve porsi in condizioni di sentire le indicazioni di Dio. Perciò conta su un aiuto insostituibile: la musica sacra nasce come un dono dello Spirito Santo. In secondo luogo, il compositore deve essere esperto. Senza professionalità non è possibile ascoltare fedelmente messaggio, e tanto meno trasmetterlo.

Per quanto si riferisce all’ascoltatore, è facile comprendere la grandezza del tesoro che la musica liturgica offre e, pertanto, come deve essere accolta e anche come deve intendersi la partecipazione attiva alla liturgia dal punto di vista della musica.

Musica liturgica non significa musica tediosa o semplicemente brutta. Musica liturgica non può significare musica banale o canzoni da falò. Tanto meno può significare musica propria di circoli esclusivi di eruditi. Oggi mancano modelli. Il Papa ha proposto delle vie per provare a incontrarli. Attualmente si sta lavorando. Sono necessari un po’ di pazienza, un po’ di fiducia, e molta preghiera.

 

 

fonte: L'Osservatore Romano, 08/12/2011
http://www.osservatoreromano.va/portal/dt?JSPTabContainer.setSelected=JSPTabContainer%2FDetail&last=false=&path=/news/cultura/2011/283q11-Il-canto-che-riposa-nel-fondo-delle-cose.html&title=Il canto che riposa  nel fondo delle cose&locale=it

 

 

(09/12/2011)

di di Ramón Saiz-Pardo Hurtado *