Chiarissimi Rettori, Rev.mo Padre Abate, Carissimi confratelli nel Sacerdozio, Cari e “preziosi” Architetti ed Artisti, Gentili convenuti tutti,
Sono lieto di essere qui tra voi, oggi, nella solare Solennità dell’Annunciazione del Signore, collocata all’esordio di primavera ed autentica primavera teologica. Ringrazio sentitamente il Coordinatore del Master, il Rev.do Prof. Uwe Michael Lang, per le cordiali parole di benvenuto e, soprattutto, per il prezioso lavoro profuso in questa opera. Desidero altresì esprimere la mia viva gratitudine a tutti voi, architetti e artisti del Master, che frequentate in quest’anno o che siete “ritornati oggi” in quella che, oltre ad essere un’esperienza accademica, vuole essere sempre più una dimora. La dimora è un luogo nel quale la memoria di se stessi, di quello che siamo, delle ragioni profonde che animano il nostro lavoro, è continuamente richiamata e sostenuta, soprattutto attraverso quella trama di relazioni buone che caratterizzano ogni movimento cristiano. Il modello supremo della Dimora, in questo senso, è l’Abbazia e, per analogia, la chiesa: luogo anche fisico nel quale l’uomo può essere ri-creato!
Con questo spirito abbiamo accolto l’appello del Santo Padre Benedetto XVI a partecipare, attivamente e con passione, a quel perenne rinnovamento nella fedeltà che, anche nella liturgia, nell’architettura e nell’arte sacra, sempre deve trovare spazio nella vita ecclesiale.
L’auspicio di tutti è che nei prossimi decenni possa progressivamente, ma costantemente, anche a livello istituzionale, essere tematizzata la cruciale questione dell’architettura e dell’arte sacra, senza pregiudizi o contrapposizioni, senza sterili nostalgie o pericolose fughe in avanti, perché possa aver luogo un vero e proprio rinnovamento di queste dimensioni cruciali della vita della Chiesa. Ogni autentico rinnovamento, nella Chiesa, non può che essere considerato alla luce dell’imprescindibile rinvigorimento della fede accolta, professata e vissuta. Ogni passo, ogni gesto di questo prezioso Pontificato pare inequivocabilmente votato a tale profondo rinnovamento!
Siamo qui riuniti, per volgere insieme lo sguardo a come l’Architettura e le Arti sacre siano chiamate a servire la Bellezza, e, quindi, come voi stessi, carissimi architetti ed artisti, siate chiamati a diventare, sempre più limpidamente, “ministri” della Bellezza e, conseguentemente, collaboratori della Salvezza di Cristo.
Direbbe san Paolo: «Adiutor gaudii vestrii» - «Collaboratore della vostra gioia» (2Cor 1,24), e quale gioia è più grande e profonda della Bellezza? Quale esperienza è gaudio più profondo di quella estetica? Quale rimanda più potentemente all’esperienza del soprannaturale, alla bellezza, che è Dio stesso?
Nostro Signore, Verbo incarnato, morto e risorto, raggiunge oggi gli uomini di ogni tempo e luogo attraverso le membra del Suo Corpo, che è la Chiesa, attraverso l’agire sacramentale e liturgico e, perciò, in modo unico, tramite i suoi sacerdoti.
Non intendo, con questo, delineare una mera subordinazione della vostra professione alla Missione ecclesiale, ma soltanto riconoscere, con voi e per voi, come l’andare a fondo dell’opera artistica, sia un divenire anzitutto “esperti” e, poi, ministri della Bellezza. È un incrementare la vostra stessa vita, associarvi alla “bellezza” più autentica, che è l’opera di Redenzione dell’umanità.
Afferma a tale riguardo San Tommaso d’Aquino che la santificazione dell’uomo, avendo come scopo e termine il bene eterno della deificazione dell’uomo, «è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra, la quale ha come termine un bene mutevole» [I,II q. 113, a.9]. La Liturgia, perciò, è l’Opus Dei per eminenza che dà il vero senso dell’eternità della persona.
Nello svolgere questo argomento, mi soffermerò, fondamentalmente, su tre punti: il concetto di bellezza, la novità che scaturisce dal Mistero dell’Incarnazione e le conseguenze che ne derivano per la costruzione dell’edificio sacro.
1. Il concetto di bellezza
In una concezione “laica” di bellezza, dalla quale siamo sempre, in qualche modo, contaminati, potrebbe sembrare quanto meno curioso il titolo dell’incontro odierno: “Ministri della Bellezza”. Come sarebbe possibile infatti concepire un arte “a servizio” della bellezza? Ad alcuni pensatori pare più razionale, piuttosto, pensare ad un arte che sia “artefice”, “creatrice” di bellezza o, come è avvenuto sempre più diffusamente nell’epoca contemporanea, lasciare che sia la scuola tecnica o addirittura la singola produzione artistica a definire che cosa è “bellezza”. In questi anni, infatti, è palese come quanto più il contenuto di una produzione umana risulta dipendente dall’estro dell’artista, dall’autoreferenzialità del suo pensiero, tanto più volentieri, a tale contenuto, si attribuisca il concetto di “bello”, anche qualora esso risulti, in se stesso, logicamente incomprensibile, irreale e, talvolta, esplicitamente negativo.
Questa idea “laica” appare, però, totalmente inadatta ad una concezione autenticamente umana di bellezza e sembra derivare dalla crescente disabitudine ed incapacità da parte dell’uomo di “ascoltare” la realtà ed il proprio cuore.
La bellezza, infatti, secondo la concezione di San Tommaso - una delle comprensioni più alte che l’animo umano abbia mai raggiunto di se stesso e della realtà tutta - costituisce uno dei cosiddetti “trascendentali”, cioè di quelle caratteristiche che sono proprie di ogni ente filosoficamente inteso, l’uno, il vero, il buono ed il bello, appunto, e che derivano dal fatto che il suo essere è “dato”, per partecipazione, da Colui che è lo Stesso Essere Sussistente, cioè da Dio. Secondo tale concezione, quindi, la bellezza di un ente risulta tanto più grande, quanto maggiore è la partecipazione di quell’ente all’Essere di Dio.
Questa è la bellezza: il venire da Dio ed a Lui condurre!
E l’uomo è, nell’universo, l’unico, eccetto gli esseri spirituali, che sia capace di riconoscere, in modo originario ed immediato, tale bellezza, e quindi l’unico a poter ringraziare, lodare e servire Colui al quale essa rimanda. E le realtà create rimandano il cuore dell’uomo al Creatore di tutte le cose, attraverso la gratuità, che la loro esistenza è, e, insieme, attraverso la loro bontà e verità, cioè attraverso il marchio che di Dio portano con sé e che fece scrivere a San Giovanni Apostolo: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3).
In questa concezione metafisica ed antropologica di bellezza, quindi, risulta “bello” ciò che “naturalmente” rimanda a Dio, cioè tutta la creazione, e, in modo eminente, l’uomo religioso, colui che, con la propria libertà, riconosce ed ama il suo Creatore. Sempre in questa concezione di bellezza, che mi sembra essere la più oggettiva ed universalmente sperimentabile, l’uomo che cerchi di rendere presente, col proprio lavoro, la bellezza contemplata, vi riuscirà nella misura in cui comprenderà, prima, e riprodurrà nella propria opera, poi, la stessa dinamica comunicativa della realtà creata.
Quanto detto circa la realtà della bellezza, oltre a mostrarne l’intimo legame con la verità e la bontà, ne salva anche l’assoluta oggettività: essa infatti non dipende più dall’arbitrio dell’uomo, secondo il pensiero idealista che considera i trascendentali come strutture dell’intelletto, ma dipende dallo stesso sguardo di Dio sulla Sua creazione: «e Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,25).
In secondo luogo, tale concezione salva anche la nostra soggettività, poiché le consente di uscire dal soffocante ripiegamento su se stessa e di svilupparsi nella libera adesione a ciò che realmente le corrisponde, e all’interno del quale soltanto essa può fiorire in modo prima inimmaginabile.
2. La novità del Mistero dell’Incarnazione
Ora, se quanto detto in estrema sintesi, corrisponde alla realtà “naturale” della bellezza, con l’Avvenimento Cristiano assistiamo al capovolgimento totale, paradossale, ma allo stesso tempo incredibilmente delicato ed armonioso, del concetto stesso di bellezza. Si tratta di quel Mistero che, nella Solennità odierna, la Chiesa ci invita a contemplare: «Angelus Domini nuntiavit Mariae, et concepit de Spiritu Sancto». La Beata Vergine Maria, offrendo il proprio incondizionato “sì” alla divina Volontà, concepì il Cielo nel suo grembo e, così, la Realtà vera ed eterna, alla quale tutta la creazione da sempre innalzava il proprio canto, in Maria, si è fatta presente alla maniera di tutte le realtà create; la Bellezza si è fatta carne: «Et Verbum caro factum est» (Gv 1,14).
Dio, l’Eterno Presente, si è fatto presente in un modo umanamente comprensibile, cioè materialmente osservabile e misurabile, ma, al contempo, in un modo che eccede ogni umana misura. Credo di poter dire che qualcosa di questo paradosso divino, sia riconducibile, da un punto di vista fenomenologico, ad un aspetto particolare del Mistero dell’Incarnazione: il Verbo di Dio, facendosi uomo, ha assunto, ha fatto “proprio” quanto c’è di più “divino” nell’universo, di più originario ed imprevedibile, cioè un’autentica libertà umana.
Nella libertà di un uomo, chiamato Gesù di Nazareth, duemila anni fa, ha cominciato ad essere presente ed operante l’Essere stesso di Dio, tanto che l’autore sacro ha potuto scrivere: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore» (1Gv 4,16) e, in un altro passo: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il Suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la Vita per Lui» (1Gv 4,9). Nel dialogo d’amore con il Signore Gesù, con Colui che è, al contempo, il figlio del falegname ed «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3), gli uomini hanno cominciato ad essere attirati dentro lo stesso dialogo d’amore di Dio.
Tutta la naturale bellezza dell’universo – adesso lo sappiamo – canta il Santissimo Nome di Gesù di Nazareth, e ciò che vi è di più “bello”, ora, è la realizzazione, in Cristo, della perfetta umanità, cioè della perfetta Comunione della creatura con il suo Creatore. Se, infatti, nelle realtà create, tra le quali spicca eminentemente l’uomo, ci è dato di contemplare il “bello” – qualcosa che viene da Dio e che a Lui conduce –, nella culla di Betlemme è offerta ai nostri occhi la stessa Bontà, la Verità, la Bellezza che il nostro cuore oppresso, talvolta, immaginava di potersi procurare da sé, ma di cui restava in definitiva privo.
Quindi, innanzitutto, quella Bellezza trascendente, che è Dio stesso, ed alla quale prima non si poteva fare che un indiretto riferimento – ogni umana definizione, infatti, si sarebbe automaticamente configurata come atto idolatrico –, è divenuta toccabile, udibile, visibile, cioè umanamente esperibile, in un uomo, in un volto: il Logos, per mezzo del Quale tutte le cose sono state fatte, si è dato a noi in un punto del tempo e dello spazio perché potessimo riconoscerlo con gli occhi della carne, ascoltarne l’amorevole invito e, nella Sua sequela, ritrovare noi stessi, la nostra vera identità, cioè la perfetta Comunione con Dio.
In secondo luogo, tale perfetta Comunione è stata realizzata «a caro prezzo» (1Cor 6,20), giungendo al suo culmine nell’obbedienza di Cristo «fino alla morte, e alla morte di Croce» (cfr. Fil 2,8). Se, infatti, l’unzione sacerdotale del Verbo di Dio è stata l’Incarnazione, il perfetto compimento di tale consacrazione-unzione è costituito dal Sacrificio della Croce, che consuma e trasforma, col fuoco dello Spirito, la carne assunta da Cristo.
Quella disarmata Bellezza accolta dai pastori di Betlemme, raggiunge il culmine nella Passione di Cristo, nella Sua morte violenta, nell’obbrobrio della Croce! Quanto vi era di più riluttante per l’uomo, cioè la morte, è diventato con Cristo la vera Bellezza, proprio per quell’inscindibilità del bello dal vero e dal buono, i quali, nell’Amore oblativo di Cristo, sono perfettamente compiuti.
Questa somma ed eterna Bellezza, che si è rivelata a noi nel Mistero della Croce, e che ci raggiunge, per dono dello Spirito, nella Risurrezione di Cristo, può essere riconosciuta e accolta dagli uomini, adesso, nella Santissima Eucaristia. In essa, Cristo ha affidato Se stesso e, quindi, i tesori della Salvezza, agli Apostoli ed ai loro successori.
In essa, il Signore Risorto è come crocifisso al nostro presente e, così, ci attira dentro il Suo futuro.
Tale divina attrazione, poi, quasi naturalmente, ci conduce ai piedi del confessionale, per consegnare le nostre resistenze ed il nostro peccato e ricevere in cambio la rigenerazione del Perdono.
Prosegue così, nella storia, quel circolo virtuoso, quella “scala di Giacobbe”, nella quale tutta la nostra personale esistenza, ogni nostro atto ed ogni circostanza, vengono abbracciati e trasformati. È la dinamica del vivo rapporto con Cristo, che la sacra Scrittura, ed in particolare i santi Vangeli, contengono e trasmettono, e del quale i Santi sono limpidi testimoni.
3. Conseguenze per la costruzione dell’edificio sacro
Dopo quanto abbiamo detto sulla novità del Mistero dell’Incarnazione, si comprende bene quale sia il compito del Sacerdozio ministeriale, e come la vostra missione possa contribuirvi.
Compito dei Sacerdoti è rendere presente la Bellezza che salva e offrirla agli uomini, dopo essere stati intimamente conquistati da essa e sacramentalmente trasformati. Ciò avviene, in modo eminente, nell’Eucaristia e nella Confessione sacramentale, nelle quali gli uomini, da duemila anni, si recano “fisicamente” davanti al Signore e vivono di Lui.
Compito degli architetti e degli artisti, poi, sarà innanzitutto lasciarsi coinvolgere da questa Bellezza, che suscita e permette l’atto di fede, aprendo sempre più il cuore dell’uomo all’opera della grazia e “trasferendolo” davanti alla Luce invisibile del Sacramento.
Gli artisti, possono e devono innanzitutto “fruire” dell’Amore di Cristo, che li raggiunge tramite i Sacerdoti, sia divenendo realmente presente sull’altare, sia abbracciando l’umana miseria nel Sacramento della Riconciliazione.
In secondo luogo, a partire dalla vostra reale, ecclesiale, ed insieme, personalissima accoglienza del Suo Amore, potrete comunicare qualcosa di vero agli altri. Infatti, nessuno può condurre l’altro laddove egli già non sia, ad una meta che non conosce. Nella misura in cui vi lascerete coinvolgere dalla Bellezza del Salvatore, potrete condurre i nostri fratelli a riconoscerla.
Aiuterete così anche i Ministri ordinati in una duplice maniera: da un lato, accompagnando il loro annuncio, attraverso le rappresentazioni artistiche della realtà di Cristo e del Suo dialogo con gli uomini, così come i Vangeli scritti e quei Vangeli viventi che sono i Santi ci testimoniano; dall’altro, sostenendo i Sacerdoti nella comprensione della loro reale, nuova identità, così da poter essere accompagnati, anche dalla bellezza, in quel cammino di assimilazione dell’essere sacramentale ricevuto, che nella Celebrazione Eucaristica ha il proprio rinnovamento ed il proprio culmine.
Conseguentemente, proprio partendo dalla bellezza ontologicamente intesa e dalla nuova concezione di bellezza derivante dal mistero dell’evento storico di Cristo Signore, è necessario riconoscere come l’Incarnazione, la Croce e l’Eucaristia – presenza del Risorto tra noi e nel mondo – siano le tre “dimensioni” dello spazio sacro.
Questo non può essere a-storico, perché il cristianesimo è una fede rivelata e perciò storica; non può essere de-forme, perché il Verbo si è fatto carne in una “forma” determinata ed insuperabile: l’uomo; non può, soprattutto, essere uno spazio a-polide, disorientato e disorientante, poiché Cristo è il Sole di giustizia, la Via, la Verità e la Vita. Egli è l’orientamento, la stella polare verso cui l’intera esistenza cristiana guarda costantemente.
A Cristo anche ciascun sacerdote è chiamato a guardare, soprattutto nella celebrazione dei divini misteri: la forma dello spazio sacro, la luce, l’arte che in esso vive e che, nel contempo, gli dona vita, sostengono un tale orientamento interiore innanzitutto del celebrante.
Lo spazio fisico della chiesa, che è sempre un segno inequivocabile della presenza del mistero nel mondo, acquista in modo più pieno e compiuto il proprio reale significato nella celebrazione liturgica. È differente lo stare in una chiesa anche molto bella, ma “muta” ed il vivere in pienezza la liturgia che in essa si celebra. Nella liturgia e della liturgia la chiesa vive, anche come edificio! Le pietre, le forme, le statue, gli affreschi, i dipinti, le vetrate, la musica, il canto, i gesti, tutto vive e riverbera nella sacra liturgia.
Lo spazio sacro viene, così, trasfigurato dal rito e, in particolare, da quel vertice sacramentale che è l’Eucaristia! Lo spazio è trasfigurato nella “Gerusalemme celeste”, che è realmente presente nel Sacramento e ci accoglie al proprio interno. Esso è chiamato a significare, così, la “precipitazione” del Cielo sulla terra, nella quale il Mistero percorre per noi quella distanza prima incolmabile.
D’altro lato il percorso di conversione e salvezza che l’uomo è chiamato a compiere nell’incontro con Cristo, dilata lo spazio sacro fino a quello specialissimo ed intangibile “spazio” che è la libertà umana. Nessun architetto o artista dovrebbe mai dimenticare come il vero “spazio sacro”, sul versante dell’uomo, sia quello della libertà e che mai, in alcun caso, la realizzazione di uno spazio e di un opera d’arte dovrebbe avere come conseguenza, anche solo percepita, la costrizione, l’oppressione della persona.
Lo spazio sacro è anche lo spazio antropologico ed entrambi sono inseriti e donano significato allo spazio cosmico. Questo, anche se oggi è così lontano dalla comune esperienza degli uomini, è, e rimane, essenziale, anzi determinante, per l’incontro con la bellezza seconda e con il Suo Creatore: la Bellezza prima.
Conclusione
Essere “ministri della Bellezza” significa, allora, essere servi della bellezza; servi della bellezza in se stessa e, soprattutto, dell’incontro degli uomini con la bellezza.
Mentre i sacerdoti, ministri per grazia ontologicamente conferita ed essenzialmente differente, vivono e mostrano primordialmente la Bellezza Divina attraverso l’annuncio della Buona novella e la celebrazione dei sacramenti, tutti siete chiamati, in forza del battesimo e - è doveroso ricordarlo - anche della comune ragione umana, a servire la bellezza come reale possibilità di salvezza, come antidoto alla dispersione, al disorientamento, allo smarrimento dell’io e del significato dell’esistenza.
Allora non sarete appena Architetti ed artisti, ma sarete “collaboratori della gioia” degli uomini, perché ministri, servi della bellezza! Ci assista la Vergine Annunziata, la Vergine del sì che, proprio per questo sì, è Causa nostrae Letitiae!
Lectio Magistralis tenuta dal Card. Piacenza presso l'Università "Regina Apostolorum" di Roma il 25 marzo 2011
FONTE: http://www.clerus.org/clerus/dati/2011-03/28-13/Lectio_Magistralis.html
(22/08/2011)