Bellezza e liturgia: verso una comprensione del concetto di liturgia come un affacciarsi del Cielo

Traduzione della Conferenza tenuta da padre Uwe Michael Lang durante la “Liturgy Convention of the Archdiocese of Colombo” (Sri Lanka) tenutasi presso l’Aquinas University College, il 01 settembre 2010

 

 

Nel 2008, lo “Institut Papst Benedict XVI” a Regensburg in Germania, ha iniziato a pubblicare la raccolta degli scritti di Joseph Ratzinger. Secondo l’espresso desiderio dell’attuale Santo Padre, l’undicesimo volume della progettata serie, “Teologia della Liturgia”, è apparso per primo (1). Nel luglio 2010, è stata pubblicata la traduzione italiana di questo volume (2) e la versione inglese è preparata dalla Ignatius Press di San Francisco.

Nella prefazione, datata 29 giugno 2008, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI spiega le ragioni per questa scelta, che era ovvia, poiché la Sacra Liturgia è stata sempre centrale nella sua vita fin dall’infanzia ed è il cuore della sua opera teologica. C’è un’altra ragione perché la serie inizi con il volume sulla liturgia: il progetto editoriale riflette l’ordine di priorità del Concilio Vaticano II.

Il Santo Padre attira l’attenzione sul fatto che il primo documento conciliare è stata la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium: “Ciò che a prima vista può sembrare una coincidenza, si rivela essere, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, anche intrinsecamente giusto. Iniziando con il tema della ‘liturgia’, si mette inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema ‘Dio’. Prima di tutto Dio: questo significa iniziare con la liturgia. Quando il centro non è Dio, tutto il resto perde il suo orientamento. Il motto della regola benedettina ‘Non anteporre nulla all’Opera di Dio’ (43,3) si applica specificamente al monachesimo, ma come ordine di priorità è vero anche per la vita della Chiesa e di tutti, ciascuno nel proprio modo”. (3)

Papa Benedetto richiama poi un tema che egli ha esplorato nei suoi diversi scritti sulla liturgia, ed è la pienezza di significato della “ortodossia”: può essere utile ricordare che nel termine “ortodossia”, la seconda parte della parola “doxa”, non significa “opinione”, ma “gloria” (Herrlichkeit): non si tratta di avere una “opinione” corretta su Dio, ma il modo appropriato di glorificarlo, di rispondergli. Perché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a comprendere se stesso correttamente: come posso incontrare Dio? Perciò, apprendere il modo giusto di adorazione – di ortodossia – è quanto ci è concesso soprattutto grazie alla fede. (4)

Esiste un’antica massima del quinto secolo che è spesso riproposta nella forma “Lex orandi, lex credendi”; cioè letteralmente, la legge dell’orazione è la legge della fede (5). Vuol dire che il culto pubblico della Chiesa è espressione e testimonianza della sua infallibile fede, e ci deve aiutare a capire profondamente, al di là delle stesse parole, che ogni nostra aspirazione di bontà, di verità, di bellezza e di amore è fondata nella trascendente realtà di Dio (6).

Nelle sue omelie e discorsi, e in special modo nelle celebrazioni liturgiche, Papa Benedetto XVI ha coerentemente seguito l’ordine delle priorità del Concilio e ha trasmesso a un pubblico mondiale il suo profondo assillo teologico espresso nei suoi molti scritti sull’argomento, che la sacra liturgia deve essere un riflesso della gloria di Dio. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della Santa Messa nella quale si rinnova ogni volta in forma sacramentale il Mistero pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Celebrando l’Eucaristia, siamo immersi in comunione con il Signore che ci benedice col dono del suo amore – il dono di sé sotto le apparenze del pane e del vino.

La liturgia, insomma, conta. Conta non solo perché, anche da una prospettiva puramente empirica, la grande maggioranza dei cattolici praticanti incontra la Chiesa alla Messa domenicale, ma a un livello più profondo, il culto di Dio è “la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana”, come afferma la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Nella liturgia, in particolare nel santo sacrificio dell’Eucaristia, “si compie l’opera della nostra redenzione”, come dichiara un’antica preghiera del Rito Romano della Messa. Inoltre, la liturgia manifesta al mondo “il Mistero di Cristo e la vera natura della Chiesa”.


La Bellezza di Cristo e la Bellezza della Liturgia

Nella tradizione cattolica, la bellezza è considerata categoria ontologica e, in ultima analisi, teologica. La ricerca della bellezza non ha nulla a che vedere con la semplice estetica o fuga dalla ragione, poiché, in prospettiva divina, la bellezza, insieme alla verità e al bene, si assimila all’essere: Dio è verità e bontà e bellezza stessa; questi attributi, in linguaggio filosofico, sono chiamati “i trascendentali” (9). Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica ha un paragrafo importante che riassume il concetto teologico di bellezza. Ciò che è più degno di nota è che questo articolo del catechismo si trova nella sezione sull’ottavo comandamento: “Non dire falsa testimonianza”. Rispondendo alla domanda no. 526, “Quale relazione esiste tra verità, bellezza e arte sacra?”, il Compendio dice sinteticamente: “La verità è bella per se stessa. Essa comporta lo splendore della bellezza spirituale. Esistono, oltre alla parola, numerose forme di espressione della verità, in particolare le opere artistiche. Sono frutto di un talento donato da Dio e dello sforzo dell’uomo. L’arte sacra, per essere vera e bella, deve evocare e glorificare il Mistero di Dio apparso in Cristo e condurre all’adorazione e all’amore di Dio Creatore e Salvatore, Bellezza eccelsa di Verità e di Amore” (10).

Nel contesto moderno (occidentale), è proprio la dimensione trascendente della bellezza assimilabile alla verità e alla bontà, che viene contestata. La bellezza è stata spogliata del suo significato ontologico, è stata “emancipata”dall’ordine dell’essere e ridotta a un’esperienza estetica o a una questione di “sentimento”.

Un risultato del distacco della bellezza dall’essere, dalla verità e dalla bontà, è una teoria e pratica estetica che rifiuta qualsiasi concetto di bello ritenendolo ingannevole e sostiene essere soltanto verità la rappresentazione di ciò che è crudo, volgare e basso. Si diffida della bellezza – la si considera inconsistente, superficiale e incapace di manifestare la verità. Tale scuola di pensiero ha avuto un effetto sulla liturgia cattolica così come sull’arte sacra e l’architettura. La grande tradizione dell’arte, dell’architettura, della lingua, musica e gesti nei quali si esprimevano le tradizionali forme di preghiera e di culto cattolici, sono spesso guardati, perfino all’interno della Chiesa, con lo stesso sospetto e sfiducia. Non è raro sentir dire che la bellezza non è una categoria adeguata del culto ecclesiale. E sappiamo fin troppo bene che in Europa, negli ultimi quarant’anni circa, una considerevole parte del patrimonio culturale e artistico della Chiesa è stato disperso in nome di una malintesa onestà e semplicità. In genere, l’atteggiamento iconoclastico sembra essere una tentazione costante per i teologi ed è sempre ricorrente nella storia della Chiesa, e il XX secolo non è stato da meno.

Certamente, la tradizione cattolica conosce anche un falso genere di bellezza che non eleva gli uomini a Dio e al suo Regno eterno, ma piuttosto li degrada e suscita desideri disordinati per il potere, l’avere e il piacere. E’ il Libro della Genesi a insegnarci che fu proprio tale falsa bellezza a condurre al peccato originale. Eva vide che il frutto dell’albero in mezzo al giardino era “gradevole agli occhi” (Gen. 3,6). Bastò la tentazione del serpente per provocare la ribellione della prima coppia contro Dio.

Lo scrittore americano Roger Kimball ha annotato: “Il pensiero occidentale sull’arte tende a oscillare tra adulazione e forte sospetto”. Succede con il filosofo greco Platone, ed è evidente pure nello scrittore ortodosso russo Fyodor Dostoevsky (1821 -1881), che nel romanzo “I fratelli Karamazov” (1880) fa dire a Mitya Karamazov: “E’ sulla bellezza che satana lotta con Dio e il loro campo di battaglia è il cuore dell’uomo”. Di conseguenza, c’è bisogno di un autentico discernimento.

In un famoso brano del romanzo “L’idiota” (1869), lo stesso Dostoevsky fa dire al suo evangelico protagonista, il principe Myshkin: “Io credo che il mondo sarà salvato dalla bellezza”. Non una qualsiasi bellezza intende, ma la bellezza redentiva di Cristo. In un importante saggio su questo tema scritto nel 2002 per l’annuale meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, l’allora Cardinale Ratzinger riflette sul salmo 44 (45), che “descrive le nozze del Re, la sua bellezza, le sue virtù, la sua missione, e poi si trasforma in un’esaltazione della sposa”, e successivamente spiega che “la Chiesa legge questo salmo come rappresentazione poetico-profetica del rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa. Riconosce Cristo come il più bello tra gli uomini; la grazia diffusa sulle sue labbra indica la bellezza interiore della Sua parola, la gloria del Suo annuncio. Così, non è semplicemente la bellezza esteriore dell’apparizione del Redentore ad essere glorificata: in Lui appare piuttosto la bellezza della Verità, la bellezza di Dio stesso che ci attira a sé e allo stesso tempo ci procura la ferita dell’Amore, la santa passione (eros) che ci fa andare incontro, insieme alla e nella Chiesa, all’Amore che ci chiama” (12).

E’ allo stesso Gesù che la Chiesa, in riferimento alla Sua Passione, applica le parole di Isaia 53,2: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere”. Nel Cristo sofferente, noi apprendiamo che “la bellezza della verità comprende offesa, dolore e sì, anche l’oscuro mistero della morte, e che essa può essere trovata solo nell’accettazione del dolore, e non nell’ignorarlo”. Per questo, il papa attuale parla di un “paradosso della bellezza che è una contrapposizione, ma non una contraddizione. La totalità della bellezza di Cristo si è manifestata proprio nelle sue sembianze alterate di crocifisso come amore “sino alla fine” (Gv. 13,1).

Dobbiamo imparare perciò a contemplare la redentiva bellezza del Cristo crocifisso e glorificato, che brilla di particolare splendore nei santi e che si riflette anche nelle opere d’arte generate dalla fede. I grandi capolavori di arte sacra e di musica sacra hanno il potere di elevare i nostri cuori e di condurci oltre noi stessi verso Dio, che è la Bellezza stessa. E’ persuasione del Santo Padre che questo incontro è la “vera apologia della fede cristiana”. Sarà appropriato aggiungere che per papa Benedetto, tale bellezza si manifesta specialmente nella sacra liturgia, come affermò durante la sua visita all’abbazia cistercense di Heiligenkreuz in Austria nel settembre 2007: “La disposizione interiore di ogni sacerdote, e di ogni persona consacrata, deve essere quella di ‘non anteporre nulla al Divino Officio’. La bellezza di una tale disposizione interiore si esprimerà nella bellezza della liturgia al punto che là dove insieme cantiamo, lodiamo, esaltiamo ed adoriamo Dio, si rende presente sulla terra un pezzetto di cielo … Vi chiedo di celebrare la sacra liturgia con lo sguardo sempre fisso in Dio nella comunione dei santi, nella Chiesa viva di ogni tempo e luogo, in modo che realmente sia espressione della sublime bellezza di Dio che ha chiamato uomini e donne a essere suoi amici!” (13).

Il pontefice ha riflettuto sulla bellezza nella liturgia anche nell’Esortazione Apostolica post sinodale Sacramentum Caritatis del 2007, e il seguente paragrafo merita di essere citato per intero: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell’armonia del cosmo. Nell’Antico Testamento poi troviamo ampi segni del fulgore della potenza di Dio, che si manifesta con la sua gloria attraverso i prodigi operati in mezzo al popolo eletto. Nel Nuovo Testamento si compie definitivamente questa epifania di bellezza nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo: Egli è la piena manifestazione della gloria divina. Nella glorificazione del Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre. Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; “il più bello tra i figli dell’uomo” è anche misteriosamente colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”. Gesù Cristo ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione.  Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale” (14).

La bellezza della liturgia si manifesta concretamente attraverso oggetti materiali e gesti corporali, che l’uomo – unità di anima e corpo – deve innalzare verso le realtà di fede che trascendono il mondo visibile. Questo tema fu affrontato dal Concilio di Trento, nel quinto capitolo della Dottrina sul Sacrificio della Messa: “La natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questo la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti … similmente ha introdotto cerimonie, come le benedizioni mistiche, le luci, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande, e per indurre le menti dei fedeli, con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio” (15). Ciò significa che l’architettura sacra e l’arte sacra, comprese le sacre vesti, calici e simili, siano di una qualità tale da poter esprimere e comunicare la bellezza e la maestà della liturgia (16).

Papa Giovanni Paolo II, nella sua ultima enciclica Ecclesia de Eucharistia del 2003, ricorda il fondamento biblico della grande attenzione della Chiesa per la bellezza del culto divino: l’unzione di Gesù a Betania. “Una donna, identificata da Giovanni con Maria sorella di Lazzaro, versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli – in particolare in Giuda – una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno “spreco”intollerabile. Ma la valutazione di Gesù è ben diversa. Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare – i “poveri li avrete sempre con voi” – Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona” (17).

Questo paragrafo illustra soprattutto che la cura per le chiese e per la liturgia è espressione di amore per Dio. Anche là dove la Chiesa non gode di grandi risorse materiali, tale cura deve essere una priorità. Mi piace ricordare su questo punto un grande papa del XVIII secolo, Benedetto XIV (1740 – 1758), il quale scrisse nella sua enciclica Annus Qui, dedicata alla musica sacra: “Non intendiamo, con queste parole, insistere su suppellettili sontuose o lussuose per gli edifici sacri, né su ricchi o costosi arredamenti. Sappiamo che ciò non è ovunque possibile. Ciò che desideriamo è il decoro e la pulizia. Esse possono andare di pari passo con la povertà e adeguarsi ad essa” (18).


Fondamenti teologici dell'architettura sacra

Come l’umana esistenza è strutturata dal tempo e dallo spazio, così pure l’orazione e il culto divino. E’ giusto e doveroso che noi ci sforziamo continuamente per purificare rappresentazioni spaziali e temporali di Dio, tuttavia, finché siamo in questa vita, non le possiamo trascurare del tutto. Infatti, il culto cristiano necessita di un luogo perché venga esercitato come rito. L’edificio sacro del cristianesimo è differente dal tempio dell’antichità classica, dove la “cella” era considerata la residenza della divinità. Come disse san Paolo agli ateniesi: “Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo” (At. 17,24).

C’è una stretta relazione tra il luogo del culto cristiano e i luoghi dove Dio rivelava la Sua presenza al popolo d’Israele: la Tenda del Convegno nel deserto durante l’Esodo, e il Tempio di Gerusalemme. Vi sono ricche testimonianze nel Vecchio Testamento, come quando il Signore stesso, ad esempio, assicura Mosè nel Libro dell’Esodo 25,22: “Io ti darò convegno in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della Testimonianza, dandoti i miei ordini riguardo agli Israeliti”. Il libro dell’Esodo descrive pure la discesa della gloria di Dio (40,34): “Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora”.

Quando Dio apparve a Salomone, dopo la costruzione del Tempio di Gerusalemme, dichiarò: “Io ho consacrato questa casa, che tu hai costruito per porre in essa il mio nome per sempre. I miei occhi e il mio cuore saranno là tutti i giorni”. Così la presenza del Dio trascendente (shekinah) nel Santo dei Santi del tempio, divenne il centro della preghiera ebraica, anche durante e dopo la diaspora (1 Re 8,38; 44,48. Dan. 6,10).

Tuttavia, l’idea di una residenza quasi fisica di Dio fu già oggetto di domanda da parte di Salomone, subito dopo aver completato la costruzione del magnifico tempio: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!” (1Re 8,27). A tale riguardo, il Libro di Isaia ne parla con enfasi: “Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is. 6,3; cfr. Ger. 23,24; Ps. 139, 1-18; Sap. 1 -7) – un versetto che sarà poi incluso nel Sanctus della liturgia eucaristica. (19)

Nell’incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe, Gesù dichiara, secondo quanto è riferito nel quarto capitolo del vangelo di Giovanni: “Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv. 4,23). Come sempre avviene nel vangelo di Giovanni, che i primi Padri della Chiesa chiamavano “il Vangelo Spirituale” (20), vi sono qui vari strati di significato. Innanzitutto, l’adorazione cristiana si contrappone all’adorazione ebraica e samaritana, poiché è “in spirito”, cioè non confinata ad un singolo santuario, come il tempio di Gerusalemme per gli ebrei o il monte Garizim per i samaritani.  Ma ciò non significa che, sotto la guida del vangelo, non debbano esserci né riti né celebrazioni, né funzioni pubbliche, né edifici sacri. Una deduzione simile sarebbe un grave errore, se non altro perché quasi duemila anni di tradizione cattolica parla contro tale interpretazione.

Il Signore non disse alla donna samaritana che non devono esistere luoghi ed edifici per il culto nella Nuova Alleanza, e quando egli predisse la distruzione del tempio a Gerusalemme, non stabiliva che non dovessero più esserci dimore costruite ad onore di Dio, ma piuttosto che ve ne siano molte. Il grande teologo inglese, oratoriano e Cardinale John Henry Newman, da poco beatificato dal Santo Padre, lo ha espresso molto bene così: “La gloria del Vangelo non è l’abolizione dei riti, ma la loro disseminazione; non la loro assenza, ma la loro viva ed efficace presenza mediante la grazia di Cristo” (21).

L’allora Cardinale Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, nel suo libro di grande spessore “Lo Spirito della Liturgia”, identifica come caratteristica essenziale del culto cristiano la “universalità”. Egli collega l’adorazione “in spirito e verità” della Nuova Alleanza, che non è legata a un unico luogo, alla parola profetica di Gesù sulla distruzione e ricostruzione del tempio, che nel processo davanti al sommo sacerdote era richiamato dal tempio di Gerusalemme (Mt. 26,61).

Ratzinger riprende la chiarificazione dell’evangelista Giovanni riguardo alla purificazione del tempio, quando dichiara che “Gesù parlava del tempio del suo corpo” (Gv. 2,21), e commenta: “Gesù non dice che egli demolirà il tempio – versione che costituiva la falsa testimonianza portata contro di lui. Ma profetizza che i suoi accusatori faranno esattamente questo. E’ una profezia della Croce: rivela che la distruzione del suo corpo terreno, sarà allo stesso tempo la fine del Tempio. Con la sua Risurrezione, inizierà il nuovo Tempio: il corpo vivente di Gesù Cristo, che starà ora davanti al cospetto di Dio e sarà il luogo di ogni adorazione. Egli innesta gli uomini in questo corpo. E’ la Dimora non costruita da mani d’uomo, il luogo della vera adorazione di Dio, che scaccia l’ombra e la sostituisce con la realtà. La profezia della Risurrezione, interpretata a un livello profondo, è anche una profezia della Eucaristia. Il corpo di Cristo è sacrificato e precisamente come tale è vivo. Questo è il mistero reso noto nella Messa: comunicandosi a noi, Cristo ci stringe in modo reale al Dio vivente” (22).

Perciò, Cristo stesso, nel suo corpo risorto e glorificato, è il nuovo tempio nel quale Dio abita ed è il luogo di culto “in spirito e verità”. Inoltre, come risulta chiaramente dal quarto vangelo, “spirito” e “verità” non si devono intendere come concetti filosofici, ma in senso cristologico, indicando cioè quelle divine realtà che rendono presente colui che si è rivelato come “la verità” (Gv. 14,6) e ha promesso di inviare il suo Spirito (23).

Il vero tempio in cui abita Dio, è il corpo che la Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, ha offerto al Verbo Divino. Lo afferma l’apostolo Paolo ai Colossesi: “E’ in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui” (Col. 2,9-10). Anche il corpo di un cristiano, incorporato a Cristo in virtù del sacramento del Battesimo, diviene tempio dello Spirito Santo, nel quale Dio è glorificato (cfr. 1 Cor. 6,19-20; Ef. 2,22; 1 Pt. 2,5; 1 Cor. 3,16-17).

Il “luogo”, perciò, del culto cristiano è il Christus totus, Cristo capo e i battezzati, membri del suo Corpo mistico. I fedeli radunati in un determinato luogo per il culto divino sono “le pietre vive”, unite per costruire “un edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1 Pt. 2,5). E’ significativo che il termine usato dalla tradizione biblica per indicare l’assemblea orante, “chiesa” (qahal, ekklesìa), sia diventato poi il termine usuale per indicare il luogo stesso di culto (24).

Possiamo quindi concludere con l’Esortazione Apostolica post sinodale di Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, che “lo scopo dell’architettura sacra è di offrire alla Chiesa che celebra i misteri della fede, in particolare l’Eucaristia, lo spazio più adatto all’adeguato svolgimento della sua azione liturgica. Infatti, la natura del tempio cristiano è definita dall’azione liturgica stessa” (25). Come ben afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, le chiese non sono “ semplici luoghi di riunione”, ma “dimora di Dio con gli uomini riconciliati e uniti in Cristo” e definite perciò ben a ragione “case di Dio” (26).


Arte Sacra

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 2005, fa uso anche di molti capolavori di arte sacra per presentare gli insegnamenti della fede cattolica. Joseph Ratzinger, da Cardinale, scrisse nella sua ‘Introduzione’ al Compendio, che poi approvò da Papa: “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. E’ un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico” (27).

Come qui si indica, i Padri della Chiesa, i concili ecumenici, specialmente il secondo Concilio di Nicea nel 787, i sinodi provinciali e diocesani, singoli vescovi hanno dedicato grande attenzione alle questioni di arte sacra, soprattutto l’uso delle immagini. Inoltre, come committenti di nuove chiese o di opere di arte sacra, papi e vescovi hanno dato precise istruzioni agli artisti. Per scegliere solo un esempio, il XVI secolo è stato non solo un periodo di stupenda creatività artistica, ma anche di intensa riflessione sulle belle arti. Tra i tanti impegnati in tale dialettica, ci furono numerosi eminenti ecclesiastici vicini a san Filippo Neri (1515 – 1595) e alla Congregazione dell’Oratorio, tra cui il grande vescovo riformatore san Carlo Borromeo (1538 – 1584).

Nel ventesimo secolo, due importanti documenti del Magistero ecclesiastico hanno dedicato intere sezioni all’arte sacra e alla sua connessione con la sacra liturgia. Il primo fu l’enciclica di Pio XII Mediator Dei del 1947, seguito dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II. Non sorprende di certo che quei documenti, trattando della liturgia nei suoi vari aspetti, accenni anche all’arte destinata al solenne culto della Chiesa.

La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II dichiara nel capitolo VII su “L’Arte Sacra e la Sacra Suppellettile”: “Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio” (28).

E’ significativo che questo paragrafo del Sacrosanctum Concilium introduca una distinzione tra “arte religiosa” e “arte sacra”. Si può dire che l’arte religiosa si caratterizza dall’approccio personale dell’artista a un tema religioso. A causa di tale elemento fortemente soggettivo, non sempre un’opera di arte religiosa è accessibile a chiunque. Al contrario, l’arte sacra nasce dall’interesse e dalla riflessione dell’artista su una verità storica o positiva di una determinata religione. Oltre al fattore soggettivo, sempre presente nella creazione dell’artista, l’arte sacra ha pure una qualità oggettiva che trascende le forme individuali di espressione e, per questo, in grado di essere apprezzata da chiunque sia familiare con il tema religioso (29).

La distinzione fra arte religiosa ed arte sacra non è soltanto una sfumatura. L’arte sacra tende ad una “traduzione” visibile della realtà che trascende i limiti dell’individualità umana. Ciò ha importanti conseguenze per le forme di espressione, come bene osserva Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, nel capitolo intitolato “La Questione delle Immagini” del suo libro di gran spessore “Lo spirito della Liturgia”: “Non può esserci pura arbitrarietà nell’arte sacra. Quelle forme d’arte che negano la presenza del Logos nella realtà e riducono l’uomo a ciò che appare ai sensi, sono incompatibili con la comprensione che la Chiesa ha dell’immagine. L’arte sacra mai proviene da un’isolata soggettività … La libertà artistica, che è pure necessaria nell’ambito più ristretto dell’arte sacra, non significa arbitrarietà … Senza fede, non esiste arte commisurabile alla liturgia” (30).

Non è un caso che le riflessioni dell’attuale pontefice sull’arte sacra, si trovino nella sua monografia sulla liturgia. L’arte sacra costituisce il “vertice” dell’arte religiosa (il testo latino usa il termine “culmen”), poiché è esplicitamente diretta alla lode e alla gloria di Dio. “L’arte religiosa” diventa “arte sacra” in virtù della sua destinazione al sacrum, che nel contesto cristiano non si intende in un senso vago o generico, ma riferito alla sacra liturgia. Per cui l’arte sacra si distingue per essere al servizio del solenne culto pubblico della Chiesa a Dio (31). Si può fare la seguente analogia per chiarire meglio: fra un’opera di arte religiosa e un’opera di arte sacra, c’è la stessa differenza che unisce e distingue una poesia che parla di Dio, e una preghiera.

L’arte sacra ha un’altra importante dimensione: essa è popolare perché può essere compresa da tutti i fedeli, toccando i loro cuori. Nella storia della Chiesa, l’arte sacra si rivolgeva anche agli analfabeti, era la “Bibbia del povero”. Di conseguenza, l’arte sacra non può mai essere il campo di un’autoproclamata élite o “avant-guarde”.

Papa Benedetto conclude il capitolo sulla “Questione delle Immagini” nel suo libro “Lo spirito della Liturgia”, tentando di individuare i principi fondamentali di un’arte ordinata al culto divino (33). “Non potendo qui discutere in maniera sistematica di tali principi, vorrei segnalare il primo, che pare essenziale: La completa assenza di immagini è incompatibile con la fede nell’incarnazione di Dio. Dio ha agito nella storia ed è entrato nel nostro mondo sensibile, per renderlo a Lui trasparente. Immagini di bellezza, che rappresentino il mistero dell’invisibile Dio che diventa visibile, sono parte essenziale del culto cristiano … L’iconoclastia non è un’opzione cristiana” (34). In altre parole, l’arte sacra nel contesto cristiano è, o comunque dovrebbe essere, figurativa. Ne consegue che bisognerebbe ridiscutere la presenza di arte astratta in tante chiese cattoliche costruite più di recente.

Oggi in occidente, c’è una crisi dell’arte sacra che è parte della crisi dell’arte in generale. In effetti, la crisi si estende ben aldilà dei confini dell’arte in ambito ecclesiale (35). Un rinnovamento dell’arte sacra nel mondo contemporaneo, dipende dal rinnovamento della sacra liturgia. Papa Benedetto ha fatto passi decisivi verso tale rinnovamento, e abbiamo ragione di sperare che i frutti del rinnovamento si avranno anche nell’arte sacra e nell’architettura.

Da Cardinale, Joseph Ratzinger ha scritto “dello sforzo – necessario in ogni generazione – per la retta comprensione e la degna celebrazione della sacra liturgia” (36); lo stesso vale per l’arte sacra e l’architettura. Ci ha ricordato anche che, all’inizio di tale sforzo, occorre rendersi conto che l’arte – come la liturgia – “non può venire ‘prodotta’, come se si ordinassero e producessero apparecchiature tecniche. E’ sempre un dono … Prima di tutto richiede il dono di una visione nuova. Per cui vale la pena compiere ogni sforzo per riconquistare una fede che vede” (37). Una “fede che vede” è cruciale anche per apprezzare l’immenso tesoro di bellezza che le precedenti generazioni ci hanno lasciato nelle loro stupende opere di arte sacra e architettura.  Le grandi cattedrali e le chiese in tutto il mondo non sono solo monumenti culturali, sono testimonianze della fede cattolica. Papa Benedetto osserva nello “Spirito della Liturgia”: “La grande tradizione culturale della fede possiede un immenso potere. Ciò che nei musei è solo un monumento del passato, un’occasione di mera ammirazione nostalgica, nella liturgia invece si rende costantemente presente in tutta la sua novità” (38).

 

Liturgy Convention of the Archdiocese of Colombo - Sri Lanka - held at Aquinas University College, 01/09/2010.

> link al testo originale in inglese

(traduzione di Don Giorgio Rizzieri)

 

 

NOTE

1) J. Ratzinger, Theologie der Liturgie: Die sakramentale Begrundung christlicher Existenz (Gesammelte Schriften 11), Freiburg im Breisgau: Herder, 2008.

2) J. Ratzinger, Teologia della liturgia: Lafondazione sacramentale dell'esistenza cristiana (Opera omnia XI), Citta del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2010.

3) Benedict XVI, "Zum ErOffnungsbzand meiner Schriften", in Theologie der Liturgie, pp. 5-8, at pp. 5-6. English translation by M. Sherry <http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/208933?eng=y> (accessed on 11 August 2010, translation slightly modified).

4) Benedict XVI. Zum Eroffnungsband meiner Schriften, p. 6.

5) The principle "ut legem credendi lex statuat supplicandr was first formulated by Prosper of Aquitaine (+ 455); see Enchiridion symbolorum, defnitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. H. Denzinger - A. Schonmetzer, Barcinone et al.: Herder, editio XXXVI emendata, 1976, no. 246.

6) For these thoughts, I am indebted to the profound study of J. Robinson, The Mass and Modernity: Walking to Heaven Backward, San Francisco: Ignatius Press, 2005.

7) Second Vatican Council, Constitution on the Sacred Liturgy Sacrosanctum Concilium (4 December 1963), no. 10. Sacrosanctum Concilium, no. 2; the quotation is taken from the Secreta of the 9th Sunday after Pentecost (Extraordinary Form of the Roman Rite).

9)   Cf. F. A. Murphy, Christ the Form of Beauty: A Study in Theology and Literature, London: Continuum, 1995, p. 213.

10)  Catechism of the Catholic Church: Compendium, no. 521, referring to nos. 2500-2503 of the Catechism of the Catholic Church.

11) R. Kimball, "The End of Art", in First Things Nr. 184 (June/July 2008), pp. 27-31, at p. 28; the quotation is from F. Dostoyevsky, The Brothers Karamazov, book 3, chapter 3.

12) J. Ratzinger, "The Beauty and the Truth of Christ", in L 'Osservatore Romano: Weekly Edition in English, 6 November 2002,  p.   6;  also  available  on  <http://www.ewtn.com/librarv/Theology/RATZBEAU.HTM> (accessed 28 July 2008).

13) Benedict XVI, Address at Heiligenkreuz Abbey (9 September 2007).

14) Benedict XVI, Post-Synodical Apostolic Exhortation Sacramentum Caritatis (22 February 2007), no. 35.

15) Council of Trent (1562), Session XXII, Doctrine on the Sacrifice of the Mass, ch. 5: "On the solemn ceremonies of the Sacrifice of the Mass": Denzinger-Schonmetzer, n. 1746.

16)  Cf. my article "Bellezza materiale e concretissima", in L 'Osservatore Romano, 8-9 June 2009, p. 5.

17)  Pope John Paul II, Encyclical Letter Ecclesia de Eucharistia (17 April 2003), no. 47.

18)  Pope Benedict XIV, Encyclical Letter Annus qui (19 February 1749); translation by R. F. Hayburn, Papal Legislation on Sacred Music: 95 A.D.  to 1977 A.D., Collegeville, MN: Liturgical Press,  1979 (Repr. Harrison, NY: Roman Catholic Books, 2006), p. 93.

19) Cf. V. Gatti, Liturgia e arte: I luoghi della celebrazione, Bologna: EDB, 2001, reprinted 2005, pp 49-50 and 67-68.

20) Cf. M. Wiles, The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth Gospel in the Early Church, Cambridge: University Press, 1960, reprinted 2006.

21)  J. H. Newman, Parochial and Plain Sermons VI, 19: "The Gospel Palaces", San Francisco: Ignatius Press, 1997, p. 1355.

22) J. Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, trans. J. Saward, San Francisco: Ignatius Press, 2000, p. 43.

23) Cf. J. Ratzinger, "Theologie der Liturgie', in Forum Katholische Theologie 18 (2002), pp. 1-13, at pp. 9-10.

24)  Cf. Augustine, Ep. 190 ad Optatum, 19: CSEL 57,154: “sicut ergo appellamus ecclesiam basllicam, qua continetur populus,  qui vere appellatur ecclesia, ut nomine ecclesiae, id est populi, qui continetur, significemus locum, qui continet, ita, quod animae corporibus continentur, intellegi corpora filiorum per nominatas animas possunt”.

25) Cf Benedict XVI, Sacramentum Caritatis, no. 41.

26)  Catechism of the Catholic Church, no. 1180, cf. nos. 1179-1186. Incidentally, this also recalls that the fact that the liturgy of the Eucharist is for the 'initiated' and for this reason many Christian rites the liturgy of the Word is concluded with the dismissal of catechumens, penitents and other groups who cannot be admitted to this most holy part of the celebration.

27)  J. Ratzinger, "Introduction", in Catechism of the Catholic Church. Compendium, London: Catholic Truth Society, 2005, p. 15. See also the Paul VI's Message to Artists at the closing of the Second Vatican Council (8 December 1965): "The Church has long since joined in alliance with you. You have built and adorned her temples, celebrated her dogmas, enriched her liturgy. You have aided her in translating her divine message in the language of forms and figures, making the invisible world palpable. Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. She tells you through our voice: Do not allow an alliance as fruitful as this to be broken. Do not refuse to put your talents at the service of divine truth. Do not close your mind to the breath of the Holy Spirit. This worid in which we live needs beauty in order not to sink into despair. It is beauty, like truth, which brings joy to the heart of man and is that precious fruit which resists the year and tear of time, which unites generations and makes them share things in admiration. And all of this is through your hands. May these hands be pure and disinterested. Remember that you are the guardians of beauty in the world. May that suffice to free you from tastes which are passing and have no genuine value, to free you from the search after strange or unbecoming expressions. Be always and everywhere worthy of your ideals and you will be worthy of the Church which, by our voice, addresses to you today her message of friendship, salvation, grace and benediction". [traduzione: “La Chiesa ha fatto da tempo alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. Voi l’avete aiutata a tradurre il suo divino messaggio nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere avvertibile il mondo invisibile. Oggi come ieri, la Chiesa ha bisogno di voi e si volge verso di voi. Essa vi dice con la nostra voce: lasciate che non si rompa un’alleanza tra le più feconde! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! Questo mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione. E ciò grazie alle vostre mani... Che queste mani siano pure e disinteressate! Ricordate che siete i custodi della bellezza nel mondo: che ciò è sufficiente ad affrancarvi dai gusti effimeri e senza vero valore, a liberarvi dalla ricerca di espressioni strane e sconvenienti. Siate sempre e ovunque degni del vostro ideale, e sarete degni della Chiesa che, con la nostra voce, vi rivolge in questo giorno un messaggio di amicizia, di salvezza, di grazia e di benedizione”].

28)  Sacrosanctum Concilium, no. 122.

29)  E. Cattaneo, Arte e liturgia dalle origini al Vaticano II, Milano: Vita e pensiero, 1982, p. 8.

30)  Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, pp. 134-135; translation modified according to the original German edition: Der Geist der Liturgie: Eine Einfuhrung, Freiburg: Herder, 2000, pp. 115-116.

31)  C. Chenis, Fondamenti teorici dell'arte sacra: Magistero post-conciliare, Roma: Libreria Ateneo Salesiano, p. 25.

32)  Cf. R. Papa, "Riflessioni sui fondamenti dell'arte sacra", in Euntes docete 3 (1999), 327-341, p. 331.

33) See J. Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, pp. 131-135.

34)  Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, pp. 131-132.

35)  Ratzinger, Spirit of the Liturgy, pp. 130-131: "Today we are experiencing, not just a crisis of sacred art, but a crisis of art in general of unprecedented proportions. The crisis of art for its part is a symptom of the crisis of man's very existence. The immense growth in man's mastery of the material world has left him blind to the questions of life's meaning that transcend the material world. We might almost call it a blindness of the spirit. ... Thus our world of images no longer surpasses the bounds of sense and appearance, and the flood of images that surrounds us really means the end of the image. If something cannot be photographed, it cannot be seen. In this situation, the art of the icon, sacred art, depending as it does on a wider kind of seeing, becomes impossible".

36) Ratzinger, "Preface", in U. M. Lang, Turning Towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer, San Francisco: Ignatius Press, second edition, 2009, p 12.

37) Ratzinger, Spirit of the Liturgy, p. 13.5 (translation modified).

38) Ratzinger, Spirit of the Liturgy, pp. 155. In a similar way, the literary writer Marcel Proust (1871-1922) argued that the aesthetic impression of the French cathedrals was inseparable from the liturgical ceremonies that were carried out in them. M. Proust, "La mort des cathedrales", in Le Figaro, 16 August 1904. This article was written at the height of the Dreyfus affair and shortly before the separation of Church and State, when the religious use of the French cathedrals was threatened by the withdrawal of state subsidies.

 

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padre Uwe Michael Lang

 

  

di del p. Uwe Michael Lang