di Inos Biffi
"Nella liturgia terrena - afferma la Sacrosanctum concilium - noi partecipiamo, pregustandola, alla liturgia celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme" (n. 8). Non si tratta, tuttavia, di due liturgie parallele o giustapposte. La liturgia originaria ed esemplare è quella compiuta da Cristo assiso alla destra del Padre. È il suo sacrificio celeste, al quale è associata la Chiesa, quella ormai gloriosa, e quella ancora pellegrinante.
Non raramente i liturgisti, che non sempre riescono a stupire per competenza o acutezza teologica, si mostrano riluttanti a considerare la liturgia che celebriamo qui in terra come un reale "riflesso" di quella del cielo; e quindi a vedere nel sacrificio eucaristico la presenza del sacrificio glorioso. Parrebbe loro che in tal modo vengano sminuite la verità e la natura storica dell'evento della Croce.
In realtà, non esistono due sacrifici: quello storico e quello glorioso in cielo, ma un unico sacrificio, quello del Calvario, che è intimamente glorioso, e quindi radicalmente celeste ed eterno.
In altre parole, immolando se stesso, Gesù conferisce alla sua offerta - non più carnale ma "spirituale" - un valore che non si consuma, e che è in grado di oltrepassare la momentaneità: "Noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Ebrei, 10, 10).
Dovunque si compia una celebrazione cristiana, anche nella sua forma terrena, è sempre in esercizio il sacerdozio eterno di Cristo ed è in atto l'offerta fatta con "il proprio sangue", e dotata di valore inesausto. È la ragione per la quale essa non è catturata da nessun tempo e non è circoscritta in nessun luogo. Al contrario, è comprensiva e aperta nei confronti di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Certamente, il culto nella Chiesa terrena e incompiuta presenta una modalità diversa rispetto a quello che è proprio della Chiesa del cielo, dove è ormai sciolto dalla trama dei segni e dove la grazia si è trasformata nella gloria. Quaggiù la santificazione è ancora in corso, in attesa e nella speranza della gloria, e opera con la mediazione dei sacramenti. E, tuttavia, si tratta della stessa liturgia, che ha la sua fonte e la sua origine in quella che si svolge - recitava la Sacrosanctum concilium - nella "santa città di Gerusalemme (...) dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo".
Noi possiamo celebrare "qui e adesso", perché il Cristo glorioso eternamente celebra con la Chiesa del cielo. Ecco perché la costituzione conciliare afferma che noi partecipiamo alla liturgia celeste, la quale trascende e insieme attrae la nostra. Comprendiamo allora che a celebrare con Cristo capo sono tutte le sue membra: esiste, infatti, un unico corpo del Signore, un'unica Chiesa.
Perciò, quando siamo all'altare per la messa, o conveniamo per i sacramenti, o siamo raccolti per le lodi al Signore, la fede ci fa percepire col Crocifisso risorto la presenza degli angeli e dei santi, che invisibilmente intervengono a pregare con noi nella nostra celebrazione: una presenza invisibile e quindi più reale, più consistente e più vera, di quella dei fedeli che vediamo intorno a noi e dei quali percepiamo sensibilmente i volti e le voci.
Né questi sono solo pii e devoti sentimenti. È invece pura teologia, per non dire semplice dogma. In ogni caso è la certezza che proclamiamo nella preghiera eucaristica, in particolare nell'antico primo canone, di cui, dopo averlo per lo più abbandonato, scopriamo la mirabile ricchezza.
A questo punto avvertiamo che la celebrazione liturgica equivale a una proclamazione della comunione dei santi. Essa è in certo modo il sacramento del Paradiso. Si danno appuntamento nella liturgia tutti i giusti della storia di salvezza, a cominciare da Abele, per giungere alla vergine Maria, al suo sposo, agli apostoli, ai martiri e a tutti quanti formano la Chiesa celeste, senza che siano tralasciati i cori angelici con i quali sciogliamo il nostro canto di lode.
Il testo conciliare recita al numero 8: "Insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria".
La liturgia ci porta, così, in un altro mondo, quello della grazia e della gloria, che solo ha senso per la fede. Ogni celebrazione appare così il vertice della professione di fede.
fonte: L'Osservatore Romano, 18-19/10/2010
(01/11/2010)