Due millenni di fede sulle spalle di due ragazze, Rufina e Seconda. Le patrone della diocesi di Porto-Santa Rufina legano la terra della Campagna romana e del suo litorale ai primi secoli del cristianesimo. La tradizione colloca la storia delle due sorelle nella seconda metà terzo secolo, durante la ripresa delle persecuzioni contro i discepoli di Cristo. I loro fidanzati abbandonano il Vangelo per paura delle ritorsioni, le due vergini gli rimangono fedeli: i due uomini le denunciano. Da Trastevere fuggono verso l’Etruria, ma vengono intercettate e arrestate. Torturate dal potere per la loro scelta rimangono inamovibili. È deciso: la morte. Una per il taglio della testa, l’altra per le bastonate. Il martirio avviene in una Sylva Nigra lungo la via Cornelia in un bosco chiamata Buxo. Era il 10 luglio. Le fede dei primi cristiani trasforma il nome del luogo in Silva Candida, perché purificato da sangue innocente delle giovani.
«Rufina e Seconda vanno incontro alla morte per l’amore di un uomo che ha cambiato la loro vita, Gesù». Sulla fedeltà e la semplicità delle patrone diocesane il vescovo Gianrico Ruzza ha incentrato la sua omelia durante la celebrazione per la festa delle due sorelle martiri il 9 luglio a Casalotti, nella vigilia della loro memoria liturgica. Con il pastore tra i concelebranti il vicario generale don Alberto Mazzola, il vicario foraneo don Lorenzo Gallizioli, il parroco padre Aurelio D’Intino, don Domenico Giannandrea, vicario per la formazione, don Giovanni Righetti, delegato per la pastorale. La liturgia si è tenuta sul sagrato del Santuario di Schoenstatt “Belmonte”, retto da don Marcelo Cervi, con l’immagine delle sante portata in processione dalla chiesa di Santa Gemma, sede della parrocchia romana intitolate alle due ragazze.
Durante la liturgia, animata dal coro degli animatori dell’oratorio estivo, il vescovo ha insediato il Consiglio pastorale diocesano, uno dei primi frutti della stagione sinodale, e conferito il ministero dell’accolitato a Nicolas Assegbede, Roberto Bernasconi, Luigi Cortorillo e Giovanni Dalia. La vita di Rufina e Seconda mostra quale sia la pace da cercare, non quella delle armi che produce morte e sofferenze: «La pace la dà il Signore, la pace la dà il cambiamento del cuore, che impedisce all’uomo di entrare nella situazione del conflitto», ha spiegato il vescovo. Nella liturgia della Parola Gesù loda Dio per la sua preferenza per i piccoli «gli umili, i poveri, gli scartati, i salvati, tutti noi liberati dalla povertà estrema, tutti coloro che sono redenti dal sacrifico pasquale di Cristo, che possono comprendere il paradosso del Vangelo». Chiara e limpida è la parola di Gesù per i semplici, il messaggio di Cristo è invece una provocazione per «i benpensanti, i tuttologi che sanno tutto di tutto, che riempiono i nostri schermi e i social».
La scelta di Dio della piccolezza, di incarnarsi «nascendo in una mangiatoia maleodorante e morendo sul Golgota vicino a una discarica» ci dice che «Dio si compiace di agire nell’impotenza e nella debolezza, perché lì emerge il suo assoluto potere che stravolge la logica umana». Tra i piccoli ci sono le due ragazze che hanno dato origine alla Chiesa diocesana: «Queste donne ci testimoniano che la libertà è non camminare secondo la logica della paura, del dubbio, ma fidarsi della Parola di Dio, come figli della luce, come creature guidate dallo spirito di Dio». Tra le voci di gioia dei ragazzi che forse inconsapevolmente festeggiano due loro coetanee, il vescovo ha consegnato la patena e il calice ai quattro ministri, consegnato lo statuto ai membri del consiglio e benedetto Rita e Michele per il loro 45mo anniversario di matrimonio, un segno di speranza per le giovani coppie presenti e di augurio per i ragazzi a cui il pastore ha detto: «Non è impossibile».