Il documento, predisposto dalla Commissione diocesana del sinodo, è disponibile anche nella versione stampabile.
Per la continuazione del cammino sinodale nella nostra diocesi, quali esperienze scaturite dalla fase narrativa vogliamo continuare e far crescere nei prossimi anni?
La seconda stagione del cammino sinodale nel territorio di Porto-Santa Rufina, sembra aver registrato un rallentamento rispetto alla prima fase. L’entusiasmo iniziale per la possibilità di esprimersi liberamente ha lasciato spazio all’attesa di una restituzione concreta di quanto ascoltato nel primo anno. In realtà è stato un anno di riflessione, di cambiamento e di lavoro preparatorio per rafforzare quel “camminare insieme” che ci chiede fortemente lo Spirito e che ci ha portato ad individuare 3 principali strade da continuare a percorrere.
Animare alla corresponsabilità nella missione.
“La responsabilità per la vita sinodale della Chiesa non può essere delegata, ma deve essere condivisa da tutti in risposta ai doni che lo Spirito concede ai fedeli” (cfr. Documento di lavoro per la tappa continentale). Partendo da questa sollecitazione, il tema della corresponsabilità nella missione da parte di tutti i fedeli, che ha accompagnato il cammino anche di questo secondo anno sinodale, continuerà ad essere al centro dell’attenzione anche per il futuro.
Le assemblee di ascolto ‘Effatà’, spazi di condivisione promossi l'anno scorso in ogni vicaria, sono state estese a livello parrocchiale con il coinvolgimento di nuovi animatori sinodali, per i quali si prefigura un loro stabile impegno pastorale, che vada oltre la stagione sinodale. Le persone coinvolte hanno mostrato gratitudine per la responsabilità affidata e si sono messe a disposizione con tutte le loro risorse e i loro talenti. L’attenzione al vasto mondo dei movimenti ecclesiali, dei cammini spirituali e delle confraternite, ha stimolato la riattivazione della “Consulta delle aggregazioni laicali”. Infine, il cantiere della casa, che ha evidenziato la necessità di ripartire, anzitutto, dai luoghi sorgivi, ha portato anche a ricostituire, dopo anni di assenza, il Consiglio Pastorale Diocesano.
In risposta al clima di aspettativa generato dalla proposta del Sinodo, la Diocesi ha ritenuto opportuno celebrare alcuni momenti della vita liturgica e pastorale, riservando pubblici riconoscimenti della partecipazione laicale, perché il servizio sia offerto per la vita del mondo. Il primo, a gennaio, in prossimità della festa della famiglia di martiri Mario, Marta, Audiface e Abaco, nel quale gli Animatori sinodali parrocchiali e vicariali hanno ricevuto dal Vescovo il Mandato come facilitatori di comunione e comunicazione nelle loro realtà. Il secondo, durante la Veglia di Pentecoste, al termine della quale è stata consegnata ai responsabili dei movimenti laicali il documento preparatorio per redigere assieme lo statuto, quale segno della chiamata dei “christifideles laici” alla corresponsabilità, nella ministerialità della Chiesa e nell’evangelizzazione del tempo. Un terzo compimento di questa fase avverrà a luglio, nella memoria liturgica delle patrone diocesane Rufina e Seconda, quando il Vescovo insedierà il Consiglio Pastorale Diocesano.
Continuare l’ascolto “ad extra” e favorire la restituzione per costruire collaborazioni.
La Commissione sinodale, in collaborazione con gli uffici diocesani, ha continuato a gettare ponti di incontro sull’altra riva (laica, culturale e sociale) di quel fiume che è il mondo.
Si intende continuare il percorso, avviato già nel primo anno, per creare spazi di dialogo con mondi esterni e con il riferimento costante all’immagine simbolica della “tenda da ampliare”, che si è concretizzato, quest’anno, nella prospettiva più strutturata del “Cantiere del villaggio”. La Diocesi ha invitato, anzitutto, a una conversazione su temi comuni del territorio – tra i quali il lavoro – le istituzioni e amministrazioni locali, i sindacati e le associazioni imprenditoriali: l’espressione ‘quadri-logo’, evocata nella commissione, esprime la volontà di un dialogo alla pari, rappresentato dalla circolarità delle sedute negli incontri, con lo specifico apporto della Chiesa in quanto “esperta di umanità”. Il messaggio proposto dalla nostra Chiesa è quello di uno spazio di libertà, nel quale soggetti che normalmente non si incontrano, o lo fanno per schemi fissi perché controparti, possono intervenire in base a ciò che hanno tutti in comune: il prendersi cura di una comunità. Altri incontri sono stati dedicati al mondo rurale, dell’allevamento e delle attività marittime, realtà importanti in un territorio esteso che dalla periferia Nord-ovest della grande città insiste sulla Campagna romana e sul suo litorale; ed altri ne saranno attivati verso il mondo degli ambientalisti ed ecologisti, intorno al comune oggetto d’amore e di cura che è il mondo in cui viviamo. Un incontro sinodale delle donne, per ascoltarle sulla loro vita nella Chiesa e nella società, è stato organizzato da un gruppo di lavoro di donne attive nella Chiesa. Gli studenti dell’unica istituzione universitaria presente nel territorio (Auxilium), provenienti anche da altri Paesi, hanno espresso il desiderio di chiarezza su aspetti della morale sessuale e della questione gender, su identità e differenze nella pratica religiosa delle comunità cristiane (a livello locale e internazionale). Altri momenti sono stati orientati al mondo degli artisti, e quattro incontri di formazione socio-politica (su lavoro, disuguaglianze sociali, cattolici e politica e sviluppo del pianeta) hanno anticipato la Scuola di Formazione all'impegno sociale e politico (SFISP) su cui si sta lavorando.
Dalla lettura degli incontri con i “mondi esterni” è emersa l’esistenza di una popolazione che non è ostile alla Chiesa, se mai indifferente o semplicemente ignara ma positivamente sorpresa dalla possibilità di partecipazione. Gli incontri, che vengono letti come un riconoscimento del valore della persona nella sua singolarità (la vera ricchezza sono le persone), grazie allo stile dell’empatia e del rispetto della loro libertà, hanno generato un’accoglienza sincera e il riconoscimento che la nostra Chiesa vuole “mettersi in gioco” e seguire la strada di una “Chiesa in uscita”. È questo lo stile che dalla prova sul campo ci fa pensare al contatto tra Chiesa e porzioni della società come collaborazione all’agire della Grazia.
L’attivazione dei media diocesani (reti sociali, Avvenire Lazio 7) e la disponibilità dei media locali per la diffusione di molte delle iniziative proposte, hanno favorito l’informazione e la partecipazione ma anche contribuito a colmare, almeno in parte, quell’attesa di restituzione richiesta a gran voce, alla quale dovrà essere riservata una particolare attenzione anche nel futuro.
Curare la formazione
Gli incontri “interni” e quelli “esterni” convergono, tra le altre cose, su una generale richiesta di formazione e di conoscenza. Per le persone che normalmente non partecipano alla vita comunitaria, l’esigenza di approfondimento riguarda le proposte di formazione sociale, politica e sull’ecologia integrale. Per quanto concerne le aspettative di coloro che già operano nei servizi pastorali parrocchiali e diocesani, va detto che uno degli effetti dell’ascolto sinodale, orientato quest’anno a una richiesta di maggiore impegno nella vita ecclesiale, ha riguardato l’embrionale ma consistente presa di coscienza di cosa comporti una matura corresponsabilità di impegno. Andando oltre il clericalismo, che può riguardare anche i laici e non solo i sacerdoti, è cresciuta l’esigenza di formazione: “ci vogliamo mettere in gioco ma non siamo (o non ci sentiamo) preparati”. Un sentore generale che al momento trova una prima risposta nella ricordata riattivazione della consulta delle aggregazioni laicali e del Consiglio pastorale diocesano.
Una riflessione su questo ambito evidenzia la necessità di adottare uno stile sinodale della formazione che passa anche attraverso il coordinamento, a livello diocesano, dei momenti di formazione pianificati dai diversi uffici in modo da facilitare la realizzazione di esperienze congiunte e condivise.
Nel discorso formativo, rientra poi, il contenuto del quarto cantiere scelto dalla Chiesa locale, quello che abbiamo chiamato “La cura del ministero” rivolto, in particolare, ai presbiteri. L’istanza, nata dall’ascolto della prima fase, ha avuto come obiettivo il prendere a cuore il lato “umano” dei sacerdoti, spesso non riconosciuto dagli altri, che oggi ha a che fare con un mondo che cambia vorticosamente rendendo problematiche modalità e consuetudini efficaci nel passato. Con la scelta della parola “cura” si è inoltre indicata la direzione verso cui può orientarsi lo stile del servizio presbiterale per intercettare e affrontare le sfide del tempo. Prendersi cura non è come prima, c’è una generazione diversa che ha a che fare col prete, segnata da ferite che vanno riconosciute per potervi corrispondere. Nel senso che la modalità del prendersi cura praticato fino a poco tempo fa oggi fa i conti con una generazione segnata da nuove e differenti ferite: il prete deve poterle riconoscere per corrispondere alle domande che le persone portano nel loro cuore. Ed è un servizio da offrire non in solitudine ma nella forza e nel sostegno della fraternità sacerdotale, avvalendosi di competenze offerte dalle scienze umane e dalle esperienze delle ministerialità laicali. “Essere a servizio” e “annunciare” sono compiti che richiedono una formazione focalizzata soprattutto sul reale che accade. Per questo motivo, in quest’anno pastorale, è stato predisposto un piano formativo e spirituale per l’aggiornamento dei preti e diaconi in comune. Ma sarà bene mettere a tema, come pure si sta pensando, una formazione per i laici corresponsabili perché non cadano nel rischio di agire senza costruirsi: si è pensato in questo senso a seminari per laici e alla Scuola di Formazione all'impegno sociale e politico, su cui si sta già lavorando.
Qual è un’esperienza che vogliamo evidenziare che può servire da stimolo e spunto per le altre Chiese?
La pratica sinodale ha promosso una modulazione nella qualità e nella forma dell’ascolto. Ragionando sull’ascolto all’inizio del sinodo, in sede di commissione e in altri contesti rappresentativi, abbiamo convenuto che, per quanto possiamo essere consapevoli di pregiudizi e/o di interpretazioni nella relazione con gli altri, fatichiamo sempre ad accogliere la verità e il mistero di chi incontriamo. Quanto nella teoria può essere facilmente compreso, e quindi assunto come stile di ascolto, deve necessariamente essere vissuto in prima persona e sempre da un gruppo di persone che accoglie il rischio dell’incontro con la forza della comunione. Solo attraverso una continuità e regolarità nelle occasioni di ascolto può allora maturare la disponibilità ad accogliere la sorpresa che l’altro da me/noi può offrire. Possiamo indicare quest’esperienza di ascolto in tre esempi.
La continuità degli incontri con i mondi esterni su temi puntuali e concreti, ha messo la nostra Chiesa in condizione di essere percepita e accolta dagli interlocutori come una realtà che non ha paura e sa stare sulla piazza, dialogando con altri provenienti da storie e tradizioni differenti. Il riconoscimento della sua capacità aggregativa è stato letto come possibilità di offrire terreno comune per affrontare assieme problemi sociali ed economici che riguardano la comunità e la vita delle persone.
Lo stesso approccio di ascolto ha delineato le Assemblee “Effatà”, ereditate dal metodo dei tavoli di Firenze, nelle quali laici e sacerdoti si sono ascoltati e parlati alla pari, vivendo con entusiasmo lo stile della conversazione spirituale. Possiamo leggerle come riunioni che incarnano lo stile sinodale lanciando ipotesi di ortoprassi vicariali e parrocchiali.
Una terza declinazione della stessa esperienza di ascolto umile ha riguardato il maggiore spazio dato al confronto tra i sacerdoti in piccoli gruppi nei momenti formativi dedicati al clero. In seno ai velocissimi cambiamenti socio-culturali luoghi come gli incontri diocesani o vicariali vanno implementati in questo senso e messi in parallelo con altre forme più partecipative dei laici.
Che cosa abbiamo imparato sul camminare insieme in questi due anni?
Si vogliono, infine, lasciare due impressioni, o questioni. La prima raccoglie la percezione che nell’universo ecclesiale ci siano “due pianeti diversi”: uno vola alto sulla traiettoria dei convegni e dei documenti, l’altro naviga raso terra avanzando per inerzia con la prassi del ‘si è sempre fatto così’. L’altra questione riguarda la priorità della Parola. Se la scelta preferenziale dell’Evangelo è ciò che richiedono i tempi, come tutti gli indicatori segnalano, come mai i Pastori non orientano su questo con più decisione? Pare quasi che viviamo il ‘dilemma dell’aragosta’, come suggerisce un libro recentemente edito: un corpo tenero che cresce, non può evolvere se non rompendo la corazza che pure lo protegge (la visione pastorale esclusivamente sacramentale). Ma rompere gli schemi e trovare altre forme (un nuovo carapace), richiede il coraggio di tornare alla condizione nativa di nudità, di vulnerabilità, che pure sarebbe quella che rende possibile un nuovo collegamento tra annuncio e cultura, inerme ma in fieri.