Il dono immenso del sacerdozio

nella memoria di san Giovanni M. Vianney

Il Patrono dei parroci. È un piccolo prete ossuto, con la veste talare rattoppata, occupato in veglie e digiuni; è lui il modello per tutti i parroci del mondo a partire dal 1959, quando il Papa buono, Giovanni XXIII lo indicò patrono dei preti che lavorano in parrocchia. Ma già, oggi che tutto è in crisi, compresa la parrocchia e il prete, come possiamo pensare ancora di riferirci ad un modello dell’Ottocento?
Ricordo bene il viaggio di Giovanni Paolo II ad Ars. Era il 1986, anno del mio ingresso nel seminario minore; in seminario, ogni volta che il Papa tornava in Vaticano con l’elicottero, noi correvamo in terrazza per salutarlo e riuscivamo a strappargli un saluto, coprendo con le nostre grida il rumore dell'elica. Rimanemmo meravigliati quando gli educatori ci dissero che, alla vigilia del viaggio in Francia, molti preti ritenevano ormai il Vianney superato. Dovettero comunque ascoltare Giovanni Paolo II che ribadiva, imperturbabile, che il “Santo Curato d’Ars” era ancora un modello più che valido per la loro vita sacerdotale.

Se già allora sembrava strano riferirsi al modello di un prete vissuto in un contesto talmente diverso, cosa mai dovremmo dire noi oggi? Su questo riflettevo mentre mi arrivavano, come sono arrivati un po' a tutti, gli auguri nel giorno del patrono dei parroci. Poi ho pensato che non è solo e tanto questione del tempo che passa. Tutti i santi – a parte quelli della porta accanto che, per grazia di Dio, non mancano – appartengono al passato e sono vissuti in epoche diversissime dalla nostra. Non per questo perdono il loro fascino, anzi. Cos’è allora che la Chiesa addita in San Giovanni Maria Vianney? Non penso che sia il suo modello di pastorale, cioè la sua giornata concreta, il suo modo di fare e ciò che ha fatto, quanto piuttosto lo spirito e il cuore con cui quest’uomo ha vissuto il dono immenso del sacerdozio. Questo può e deve essere imitato. Non c'è altro mezzo per onorare la grazia ricevuta nell'ordinazione e la missione che ci è stata affidata a vantaggio dei fratelli per essere 'collaboratori della loro gioia' nel cammino di fede. 

Oggi abbiamo tecnologia e mezzi che mai nessuno prima di noi ha avuto; viviamo in un’epoca magnifica ma anche tragica che, mentre decide di allontanarsi da Cristo e dal Vangelo, ne sente più che mai una struggente nostalgia. È col cuore di San Giovanni M. Vianney che possiamo anche noi andare verso gli altri per indicare loro, con coraggio, il Signore Gesù, unico salvatore e sola speranza per ciascuno e per il mondo. In fondo, il segreto dei santi è che riescono a far da ponte tra Dio che cerca l’uomo e l’uomo che cerca Dio. Questo può essere fatto da ogni cristiano battezzato, e ce ne sono tanti che onorano la loro missione profetica, ma solo il prete in cura d’anime – come si diceva una volta – può aggiungervi il dono della grazia sacramentale agendo col cuore stesso di Cristo perché “il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù” – come si esprimeva il Vianney.

Qui è il bello e il difficile. Perché per un prete, oggi, è veramente difficile. Ma allora valgono ancor di più le parole del nostro grandissimo Giovanni Paolo II che nel 1986, ad Ars, disse ai preti: “quali che siano le vostre difficoltà interiori o esterne, che il Signore misericordioso conosce, rimanete fedeli alla vostra sublime vocazione, ai diversi impegni sacerdotali che fanno di voi uomini totalmente disponibili al servizio del Vangelo. Nei momenti critici pensate che nessuna tentazione di abbandonare è fatale dinanzi al Signore che vi ha chiamati, sappiate che potete contare sul sostegno dei vostri fratelli nel sacerdozio e dei vostri vescovi. La sola domanda decisiva che Gesù pone a ciascuno di noi, a ogni pastore, è quella posta a Pietro: 'Mi ami, mi ami veramente?'. Allora, cari confratelli, non abbiate paura! Se il Signore ci ha chiamato nel suo campo, è con noi attraverso il suo Spirito. Lasciamoci trascinare dallo Spirito Santo, nella Chiesa”.

d. roberto leoni

 

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