I tentativi di Pio XII per salvare Bruno Buozzi

4 giugno 1944: il sindacalista Buozzi e tredici compagni di prigionia delle SS furono portati nei pressi de La Storta e trucidati

Nella Roma occupata dai nazisti il Vaticano fece una netta scelta di campo a favore della Resistenza, oltre che organizzare una grande rete assistenziale per salvare i perseguitati. Una nuova e inedita conferma arriva dal saggio Bruno Buozzi e gli altri. Nelle carte della Commissione Soccorsi (1943-1944) dell’Archivio apostolico vaticano, scritto da Andrea Ciampani, storico e professore ordinario della Lumsa. Il saggio, che uscirà a giugno sulla rivista 'Le Carte e la Storia' edita da il Mulino, apre uno squarcio sull’ampiezza dell’impegno della Santa Sede a favore dei resistenti e degli antifascisti dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944, prendendo in esame un numero considerevole di documenti dell’Archivio apostolico vaticano relativi alla Commissione soccorsi, struttura affiancata all’Ufficio informazioni Vaticano e coordinata da monsignor Giovanni Battista Montini, allora sostituto alla Segreteria di Stato.

Grazie allo studio del professor Ciampani acquistano nuova luce anche vicende che in passato hanno sollevato discussioni e sospetti, come quelle legate alla cattura del leader socialista del sindacalismo riformista Bruno Buozzi, avvenuta il 13 aprile 1944 e alla sua uccisione per mano delle SS in ritirata da Roma, il successivo 4 giugno. Buozzi non era solo un prestigioso antifascista, ma un uomo che dopo la Liberazione avrebbe potuto svolgere un ruolo di primo piano sia nella ricostruzione dei rapporti di lavoro, sia nel dialogo tra cattolici e i socialisti, che fino al 1946 furono il maggior partito della sinistra italiana. Anche per questo la ricostruzione della rete che aiutò Buozzi a sottrarsi alla caccia nazifascista, il rapporto con esponenti dei popolari come Spataro e Grandi, la sua scelta dei rifugi legati a persone dell’associazionismo cattolico, la dinamica dell’eccidio compiuto dalle SS in località La Storta nel quale trovò la morte, ma soprattutto i tentativi che fino all’ultimo fece il Vaticano per salvarlo, rappresentano un viaggio straordinariamente interessante in un passato che fa parte delle radici dell’Italia democratica.

Un viaggio, che nel saggio, prende le mosse dalla drammatica richiesta d’aiuto che i familiari di Bruno Buozzi - detenuto a via Tasso - rivolgono a papa Pio XII e dei passi avviati dalla Commissione soccorsi, le cui tracce sono rimaste tra i documenti dell’Archivio apostolico vaticano. In particolare è conservata una lettera dattiloscritta del 22 maggio 1944, indirizzata alla «Segreteria di Stato della Santa Sede», con firma manoscritta di Rina Buozzi, che inizia così: «Il mio cuore affranto di sposa e quello non meno addolorato delle mie figlie lontane invocano l’appoggio di codesto altissimo Ufficio nella triste situazione in cui versa attualmente la nostra famiglia, confidando nel generoso aiuto della Santa Sede Apostolica, oggi più che mai unica sicura meta di umana speranza». L’appello per il leader «socialista» - come annota a matita il lettore vaticano laddove il testo indica le ragioni dell’arresto - era giunto alla destinazione prefissata abbastanza rapidamente: tre giorni dopo la stesura della lettera, il 25 maggio 1944, la Commissione soccorsi era stata incaricata di «rispondere mantenente» e di «fare, con molto riserbo, un passo, tramite p. Pancrazio ».

Questa procedura d’incarico da Montini a padre Pancrazio Pfeiffer era un ricorrente modus operandi della Commissione soccorsi ed evidenzia come questo 'Schindler' romano non tenne aperto un generico canale informale di relazioni tra Vaticano e Kappler, ma svolse un incarico di negoziatore negli interventi della Santa Sede a favore dei detenuti nelle prigioni tedesche, talora compiuti con successo pieno o parziale, talora condotti invano, secondo opportunità e obiettivi perseguibili. Così avvenne per Bruno Buozzi, anche se, continuano i documenti, mancando «l’indirizzo della Signora Rina Buozzi», non si seppe «dove inviare la risposta». Dopo il 9 settembre, infatti, la signora Buozzi si era dovuta nascondere a sua volta e per un periodo era stata ospitata in un convento. Tra coloro che erano informati dell’iniziativa per Buozzi, comunque, appare anche Guido Gonella, che il 3 giugno 1944 lasciò un appunto alla Commissione soccorsi, per superare la difficoltà dei contatti: «La signora Buozzi è rifugiata presso amici nelle vicinanze di Roma. Se si tratta di comunicazioni non riservate, avrei la strada di farle giungere in un paio di giorni».

La nota conferma come il Vaticano si attivò fino all’ultimo giorno per il leader socialista, smentendo la narrazione storica secondo la quale la richiesta di aiuto al Papa da parte dei familiari cadde nel vuoto. Il 27 maggio, dunque, era stata predisposta una minuta di segnalazione della Segreteria di Stato da recapitare a padre Pfeiffer col seguente oggetto: «La sera del 13 aprile u.s. è stato arrestato in viale del Re n. 248 dalla Polizia germanica il signor Bruno Buozzi, il quale è stato trasportato nelle carceri di via Tasso. Si implora dalle competenti autorità germaniche il suo rilascio». Al testo si accompagna una minuta di traduzione in tedesco, forse da consegnare allo stesso comando di via Tasso. Nel foglio in cui si segnala l’assenza di indirizzo di Rina Buozzi, peraltro, probabilmente si annota a matita l’esito infine negativo del passo effettuato: «n. di f.».

L’eccidio de La Storta, come emerge nel saggio del professor Ciampani, fu una vicenda nella quale il Vaticano fece il possibile per salvare le vittime, ma la ricerca non si esaurisce qui e rende ragione anche della drammatica complessità del momento storico: l’arresto di un ricercato, ad esempio, coinvolgeva anche chi l’aveva aiutato e questo è il caso di Guido Rossi, che ospitò Buozzi per una ventina di giorni, prima che le SS irrompessero nella sua casa per la delazione di una giovane staffetta partigiana. Rossi, avvocato, coinvolto nell’Azione cattolica e amico di padre Gemelli, venne arrestato assieme al sindacalista socialista e la Commissione soccorsi si attivò in suo favore: il 24 aprile 1944, il giovane Giulio Andreotti, presidente della Fuci, scrive Montini: «È stato arrestato per motivi politici nei giorni scorsi in Roma, nella sua abitazione, l’ex fucino di Pisa Guido Rossi. Segnalo il caso alla Segreteria di Stato perché voglia spendere una parola di raccomandazione per questo compagno».

Rossi, nonostante i tentativi del Vaticano per liberarlo, viene deportato in Germania, ma la sua sofferta vicenda conferma la particolare vicinanza del mondo cattolico a Buozzi. Contraddicendo la narrazione che vede i tedeschi tenere sotto minaccia una Chiesa che non osava sfidarli, lo scenario che appare più chiaro dalla carte della Commissione soccorsi è quello di un Vaticano che prende posizione all’interno del conflitto (anche di quello civile) a sostegno del patriottismo antifascista, senza fare distinzioni tra le diverse appartenenze politiche, interagendo con gli uomini del governo Badoglio e col Comitato di liberazione nazionale, rapportandosi formalmente e informalmente con le forze tedesche presenti a Roma, senza rinunciare al confronto con esponenti della Repubblica di Salò, che non riconobbe mai.

Roberto Rotondo 
fonte: Avvenire, 21 aprile 2022
 

Stampa news