Una Veglia di Pentecoste vissuta nell’ascolto della Sacra Scrittura e della ricca esperienza del cammino sinodale. Per il giorno conclusivo del tempo di Pasqua la diocesi di Porto-Santa Rufina si è riunita assieme al vescovo Gianrico Ruzza a Ladispoli nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. La liturgia della Parola ha rivelato il filo rosso dell’azione dello Spirito Santo nella storia dell’umanità: dalla torre di Babele della Genesi alla sorgente di acqua viva del Vangelo di Giovanni, passando per le ossa aride e rinvigorite di Ezechiele e la perseveranza nella speranza di Paolo ai Romani. «Le promesse di Dio si compiono. Non solo Gesù è risorto, ma ci ha donato il suo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza» ha detto il pastore leggendo «il disperato bisogno di Dio» che alberga nel cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Quando la speranza in Dio affiora nella vita quotidiana all’umanità è aperta la possibilità della santità, che ha spiegato il vescovo consiste «nell’essere affrancati dalla libertà». L’esercizio sinodale iniziato in questo anno offre una via per fare esperienza di questa libertà da accogliere con la cura di ascoltare lo Spirito che parla in questo tempo.
«Come credenti non siamo migliori degli altri ma siamo portatori di un tesoro, la rivelazione dell’amore di Dio, per questo non possiamo tacere quello che abbiamo visto», ha aggiunto il presule introducendo le testimonianze di due membri della commissione sinodale: Vincenzo Mannino, incaricato della Pastorale sociale e del lavoro, e Laura Bianchi, operatrice di Caritas Porto-Santa Rufina. «Quando ci mettiamo in ascolto presentiamo il volto della Chiesa, che è il volto di Cristo, attraverso il nostro volto» ha detto Mannino che ha parlato di un ascolto che sia essenza del cristianesimo: «come sempre nel Vangelo, non si spreca quello che si è ascoltato. Si ascolta e si mette in pratica. Si passa al Sinodo dei fatti».
Bianchi ha delineato poi la scansione del percorso sinodale che ora approderà alla fase narrativa nella quale rimane sempre aperto lo spazio dell’ascolto, ma si allarga alle realtà cosiddette esterne. I caratteri emersi in questa prima fase di sinodo, ha notato l’operatrice Caritas, sono quelli di una Chiesa che deve saper abitare i luoghi di lavoro, e pertanto prendere piena consapevolezza della sua natura accogliente. Una Chiesa dunque capace di proporre aggregazione e momenti sociali, di svago e ricreativi. E che sia attenta alla formazione. Il simbolo del lume acceso che spande la sua luce dal vescovo alla famiglia diocesana ha reso visibile questo corpo ecclesiale nel quale ogni membro ha il compito di portare la luce di Cristo nel mondo in comunione con tutta la Chiesa.