«Ci sono problemi, ma anche soluzioni». È il filo rosso del simposio «Pensare green insieme: una prospettiva femminile sul cambiamento climatico e la sostenibilità». Un pomeriggio di studio organizzato martedì scorso dall’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede e dalla Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium» di Roma. Presenti tra gli altri Raphael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede e il vescovo Ruzza.
Cinque voci di donne che nel loro dialogare riflettono e rispondono: qual è il contributo specifico che le donne possono dare a quello che papa Francesco chiama “ecocidio”, cioè il peccato contro la casa comune, l’uccisione dell’ecostistema? Quali nuove prospettive al femminile per far fronte alle sfide ormai senza frontiere, alle discriminazioni, alle geopolitiche legate al clima e all’acqua?
Potremmo indicare quattro parole emerse nella discussione moderata da Nina Fabrizio. Insieme: secondo Alessandra Smerilli, segretaria del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano, «è importante riconoscere che lo sviluppo, dal punto di vista di una donna, non è semplicemente “verde”. È multicolore: sarà sempre integrale, e ricercato in uno spirito di cooperazione e unità».
Educare: «è importante generare un’azione sociale efficace a livello di base, in particolare tra donne e giovani, per promuovere il tipo di leadership attualmente mancante». Per questo «educare è indispensabile, coinvolgendo i decisori e i cittadini più colpiti dalla crisi climatica nella creazione di soluzioni per le sfide che si devono affrontare». È la proposta dell’israeliana Dalit Wolf Golan, di EcoPeace Middle East, associazione che raduna israeliani, palestinesi e giordani.
Sovvertire le logiche, afferma Fausta Speranza. Passare «dal governare il mondo con schemi di sopraffazione e potere al proporre la convinzione che “tutto è in relazione”, una maggiore presenza “del” femminile, come alternativa, come attenzione ai diritti». Convertirsi: dall’abuso alla cura per non essere distrutti dalla nostra irresponsabilità.
Linda Pocher, docente di teologia fondamentale all’Auxilium, dimostra che nell’Esodo una comunità di donne in rete, differenti per religione ed estrazione sociale, ha salvato la vita di Mosè e propiziato l’intervento liberatore di Dio a favore del popolo. Le donne rappresentano l’esercizio buono del potere, che fa fiorire la vita. Ad esse si contrappone il Faraone: il simbolo di un potere agito per la morte.
Ad ascoltarle, queste donne, viene da pensare che c’è davvero «una reale possibilità di cambiamento», perché, come dice papa Francesco, «la lezione più importante che possiamo imparare da questa crisi è la nostra necessità di costruire insieme, in modo che non ci siano più confini, barriere o muri politici dietro cui nasconderci».
Maria Antonia Chinello