«Non perfetti, ma sufficientemente buoni sì». Con questa affermazione Chiara Palazzini ha introdotto la sua riflessione nell’ultimo incontro di formazione del clero tenuto dalla docente della Pontificia università lateranense il 5 maggio. I sacerdoti di Porto-Santa Rufina e di Civitavecchia-Tarquinia si sono ritrovati con il vescovo Ruzza nella parrocchia della Santissima Trinità di Cerveteri per mettere un’altra tessera nel mosaico costruito durante l’anno su un unico tema di fondo: l’urgenza dell’annuncio.
Mese dopo mese i presbiteri hanno ragionato sulle risorse da riscoprire e sugli ostacoli da abbattere perché il Vangelo riempia la vita delle persone. Nel suo intervento la pedagogista ha delineato un percorso “per una costruzione relazionale matura, autentica e sana” nell’ambito del ministero presbiterale. Le persone non sono fatte per stare da sole, perché ognuno è “fatto” di relazione, l’essenza stessa del singolo è relazione: con noi stessi, con l’altro e con gli altri.
«L’identità personale si forma proprio rispetto ad altro che è differente da me e come tale può aiutarmi a cogliere aspetti che io non ho la possibilità di scorgere». La prima forma di relazione che si acquisisce sin dall’infanzia nel contesto familiare è il bisogno di amare e di essere amati: «Percorsi problematici esistenziali e vocazionali si rifanno a questo bisogno primario disatteso e mancato», ha sottolineato la studiosa.
Di fatto, «la vita affettiva è il “luogo” privilegiato del legame tra le persone»; relazioni anaffettive non dovrebbero darsi, e quando capitano non sono sane. È pur vero che «i legami affettivi possono essere sede del benessere ma anche del malessere personale, quando relazioni malate o distorte, dunque non sane, sono portatrici di sofferenza». La maturazione di un’affettività equilibrata va pensata come un processo, un cammino in continua crescita che come «teleologia» ha il fine della pienezza della vita. Il pericolo della forma distorta si annida nella mancanza di gratuità del rapporto oppure «se cerco con quella relazione di sopperire a carenze affettive e psichiche».
Altro rischio consiste nei legami ambigui, «dove non si capisce bene dove si va a parare». Va posta poi attenzione a ogni tipo di dipendenza (affettiva, sessuale, gioco, social). La conoscenza delle proprie fragilità e paure e la consapevolezza della fatica nel rapporto interpersonale aprono la strada al «lavoro relazionale» per dare forma consistente alla propria vita. Conoscersi significa peraltro evitare proiezioni irreali, svincolate dal dato della realtà, che ipotecano la corretta scelta esistenziale e vocazionale.
D’altronde, «Come possiamo curarci degli altri se non abbiamo cura di noi stessi? Tutti noi anche nella scelta oblativa non possiamo prescindere dall’aver cura di noi stessi». A complicare la situazione emergono alcuni «punti dolenti». L’incremento del tema narcisistico «con un’eccessiva centratura su di sé, fatta più di immagine che di sostanza»: fenomeno acuito dal cattivo uso del mondo mediale che porta con sé «la ricerca di emozioni, anche estreme, contro apatia esistenziale», altro elemento è quello dell’ambiguità (fluidità dell’identità sessuale e dei ruoli), infine c’è la fatica a ritrovarsi in una figura identitaria, (sindrome di Peter Pan o eterna indecisione su chi sono).
Altro rischio consiste in un esasperato attivismo a discapito dell’essere, con il pericolo del burn out dietro l’angolo. «Niente paura se arriviamo a percepire un momento di difficoltà» ha rassicurato l’esperta: «sul rovescio della medaglia della crisi vanno lette opportunità, possibili revisioni, cambiamento, crescita» da cogliere nella prospettiva della condivisione. Saper raccontare i nostri vissuti emotivi nella reciprocità concorre a definire la propria vita nella trasparenza, nella congruenza, e nell’autenticità, aprendo a quella “relazione magnifica” dell’esserci (io), esserci-con (tu) e esserci-per (noi). Una relazione fondata sull’ascolto empatico degli altri perseguendo «l’obiettivo di stare bene con se stessi e con gli altri e poter dire con Don Milani: “mi stai a cuore, mi interessi” perché “La cura autentica riguarda l’esistenza delle persone” ci ha spiegato Heidegger».