«Egli è la vita», la meditazione del vescovo Gianrico Ruzza nella Messa del giorno di Pasqua presieduta nella Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria ha come centro questa affermazione. La Risurrezione di Gesù, ha sottolineato il presule, è l’«evento che dovrebbe far scaturire in noi un atteggiamento di gioia, di speranza, di impegno, di servizio molto chiari ed evidenti. Spesso non avviene nulla di tutto questo».
Lo sconcerto di Maria di Magdala davanti al sepolcro vuoto descrive bene la tristezza di chi avendo incontrato quella speranza e pensando di averla persa vive «un dramma incommensurabile», perché «perdere Gesù vuol dire perdere la luce che ha rischiarato le tenebre della vita». Anche noi ci possiamo trovare in una situazione simile.
Ancorati alle paure, ai nostri egoismi, alla pigrizia, alla durezza di cuore rischiamo di dimenticare le parole di vita eterna che Cristo ha pronunciato durante la sua predicazione e che nell’annuncio di Simon Pietro letto negli Atti degli apostoli esprimono l’adesione alla vita nuova. Qui, si gioca la consistenza della fede cristiana.
È l’apostolo Paolo a ricordare l’inutilità di una fede che non crede nella Resurrezione del Signore, ha osservato il pastore: «Vero è che se Cristo non è risorto, vana è ogni predicazione; ma altrettanto vero è che se la nostra vita non manifesta segni evidenti di resurrezione, allora l’annuncio del Risorto che vive per sempre può divenire sterile, perché la fede vissuta è annuncio del Mistero che proclama».
Rimanendo impermeabili al messaggio del Vangelo, centrato sulla vittoria di Gesù sulla morte, rischiamo di trovarci nella stessa condizione del popolo che lo ha rifiutato, «nel nostro comportamento – ha domandato il vescovo – in qualche modo uccidiamo Gesù ancora oggi, negandolo e non seguendolo?». Quello che abbiamo ricevuto, diventa in noi carne, storia, progetto?
Noi siamo depositari di quello che ci è stato annunciato e che cambia la nostra esistenza personale, «ogni scelta deve partire dalla consapevolezza di un Amore che si è immolato per noi e che ha sconfitto la morte».
«Non possiamo dimenticare ciò che ci è stato consegnato» ha ribadito il presule: «Sapere che Lui è la Luce che non tramonta, che la Sua Parola è una Parola di liberazione e di speranza, confidare nel suo amore e nel suo cuore che è sorgente di grazia e di benevolenza: è la strada tracciata per i credenti». La via da seguire è nota, è stata tramandata nei secoli.
Ma, quanto accogliamo nella trasmissione del Vangelo non può rimanere mera esteriorità. «Non possiamo permettere che il formalismo, la ritualità fine a se stessa, la tradizione malintesa, il perbenismo ci tolgano Gesù e ci facciano perdere la radice della fede».
Dobbiamo rimanere immersi nel mondo ma con lo sguardo rivolto alle cose del cielo, e vivere seguendo il criterio della vita di Gesù, osservando e imitando il suo modo di relazionarsi e di porsi nella quotidianità in cui ha agito.
«Sta qui la novità cristiana, la specificità della vita del credente, l’opzione per scelte di riconciliazione e di pace, ineludibili per chi intenda fare del Vangelo il centro della propria vita». Meta da raggiungere giorno dopo giorno assumendo quello sguardo contemplativo verso la perenne azione generativa che ha vinto il nulla. Una contemplazione che il vescovo in conclusione ha invitato a scorgere nella parola poetica di Turoldo: «Sei tu la vita e vita è luce, tutte le cose continui a creare, e formi l’uomo a tua somiglianza, l’uomo che è il volto del tuo mistero. Per tutto quello che sei, o Dio: Gloria. Per tutto quello che hai compiuto, o Dio: Gloria».
(18/04/2022)