«Un cuore che pulsa» da 72 anni. «Un cuore dove c’è il vescovo con i suoi collaboratori per essere al servizio della nostra Chiesa». Con queste parole il vescovo Ruzza ha condiviso il senso più profondo della cattedrale di una diocesi per l’anniversario della dedicazione della “chiesa madre” di Porto-Santa Rufina. Il pastore ha presieduto la Messa sabato della scorsa settimana alla Storta con la concelebrazione del parroco della cattedrale don Giuseppe Colaci e del cancelliere vescovile don Roberto Leoni.
Era il 25 marzo 1950 quando il cardinale Eugène Tisserant intitolava il tempio ai Sacri Cuori di Gesù e Maria. Un luogo simbolo per una Chiesa bimillenaria nata in epoca apostolica, che aveva attraversato secoli luminosi e altri di abbandono e che nell’ultimo secolo del secondo millennio rifioriva per riprendere l’antico cammino di fede. Il recupero della terra al lavoro agricolo, la rinnovata frequentazione della costa per le attività balneari, l’espansione della grande città.
Un territorio vasto, eterogeneo, in continuo cambiamento, bisognoso di trovare un centro di fede che fosse garanzia di unità. La posizione sul rilievo della Campagna romana, in alto, in prossimità della cappella della Visione dove sant’Ignazio di Loyola intuì il nome del sodalizio che aveva nel cuore, la Compagnia di Gesù, rispondeva al desiderio del cardinale di offrire un riferimento per la diocesi: il suo campanile doveva essere visibile dal mare alla campagna.
Una paternità, quella dell’ultimo cardinale ad aver esercitato il governo come vescovo diocesano, che ben si adatta al volto del padre misericordioso descritto da Luca nel brano del suo Vangelo letto nella celebrazione, ha sottolineato Ruzza. «Gesù rivolge il suo pensiero contro quello dei benpensanti», di allora, ma anche di oggi, e di domani. Persa la dignità, persa la libertà, il figlio che ha dilapidato la sua parte di eredità, si alza e decide di tornare a casa per chiedere al genitore di essere accolto come schiavo.
«Ma - ha annotato il presule -, accade qualcosa di imprevisto, il figlio incontra lo sguardo ampio del padre, che lo riconosce da lontano», allora corre verso il figlio per abbracciarlo per accoglierlo con «un grido d’amore che annuncia la vittoria della vita sulla morte». Egli non rimane ancorato al presente o al passato, ma vede aprirsi un nuovo futuro di speranza nel ritorno del figlio, con il suo «gesto rivoluzionario il padre ci dice che il perdono vince sempre». Nella scena biblica entra il figlio maggiore che ha sempre rispettato la volontà del padre.
Egli contesta il criterio del suo atteggiamento: lui ha fatto tutto il male possibile e si fa festa solo perché è tornato? Dov’è la tua giustizia? «Il padre si umilia va a cercarlo per convincerlo a partecipare della sua gioia, offrendogli parole che sono di amore e di verità: non conta chi è più grande ma che tuo fratello è tornato alla vita», ha commentato il presule. Superare le divisioni, ricomporre il contrasto: lo stile del padre misericordioso deve accompagnare le scelte quotidiane, per andare oltre «il passato che ci imbarazza e ci condiziona».
Oggi, in particolare: «preghiamo per la pace e perché quelli che fanno la guerra trovino le ragioni del dialogo». In Cristo tutto questo è possibile, lui che si è fatto peccato con la sua Pasqua ci dona la libertà, ci rende creature nuove ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. È la cattedrale a conservare l’identità di questa fede in ogni Chiesa particolare e a mantenerla legata attraverso il vescovo a Gesù stesso, ha concluso il pastore: «Il fonte battesimale della cattedrale è la sorgente della fede del territorio diocesano, e il mio augurio per tutti noi è che possa essere sempre più così perché continuiamo ad essere annunciatori di pace e verità».