Il 2 dicembre i sacerdoti di Civitavecchia-Tarquinia e di Porto Santa Rufina, riuniti in ritiro spirituale con il vescovo Ruzza nella parrocchia della Santissima Trinità di Cerveteri, hanno riflettuto sull’«inno cristologico» della lettera di San Paolo apostoli ai Filippesi con don Francesco Filannino della Pontificia università lateranense. Nella meditazione sul secondo capitolo dell’epistola, il predicatore ha seguito due direttrici: il mistero dell’incarnazione del figlio di Dio e l’attenzione dell’apostolo nel proclamare l’unico annuncio cristiano rendendolo adeguato alle esigenze della comunità di Filippi. Il testo considerato, dal 5° versetto al 10°, può essere distino in due parti: l’umiliazione del servo e l’esaltazione che Dio fa del suo servitore.
Benché il testo sia considerato dagli studiosi materiale della tradizione recepita dall’apostolo, e quindi considerato un “frammento pre-paolino”, rimane esemplare la cura di Paolo nell’offrirlo alla comunità per far arrivare il senso del kerygma. «Se svuotiamo la nostra attività evangelizzatrice di questo lieto annuncio, con la sua carica di speranza e di gioia, riduciamo il Vangelo a un messaggio etico nobile e affascinante, ma che non ha più alcun impatto significativo sulla vita», ha commentato Filannino. La condizione divina di Gesù, il suo essere come il Padre, lo chiama a non ritenere un possesso questa sua realtà.
L’amore divino che «trasborda» si incarna in una progressiva spoliazione per stare sempre più vicino alla creatura: la stessa premura occorre ai sacerdoti per «andare incontro agli uomini, ad amarli e a donare loro la sua Parola» senza rimanere in un’esperienza intimistica ed evitando «possessi gelosi»: «affetti disordinati verso le cose, verso persone, verso il potere ci ostacolano e ci impediscono di amare come fa il Signore, che ha bisogno di donare proprio in virtù del suo amore». Il tratto kenotico di Gesù che progressivamente assume fino all’autodonazione della croce ha la forma dello schiavo, dell’ultimo nella gerarchia.
Allineati su questo livello i sacerdoti possono «tenersi lontani da quelle ferite che spesso infliggiamo alla comunione ecclesiale e anche, limitando lo sguardo a noi, alla fraternità presbiteriale» ha sottolineato Filannino approfondendo la natura di questo servo: quello che mette i suoi doni a servizio di Dio e della comunità e che si fa prossimo agli ultimi.
La servitù di Gesù, da alcuni accostata al canto del servo di Isaia, differisce da quella cantata dal profeta, perché Cristo non la subisce passivamente ma la sceglie con libertà: egli umilia se stesso e accetta la più infame delle morti per il suo tempo. All’umiltà è legata l’obbedienza, il più grande dono «che un essere umano può fare, perché implica la rinuncia a uno dei beni più preziosi la volontà: la nostra volontà, il nostro libero arbitrio».
L’obbedienza propria dei sacerdoti è rivolta innanzitutto a Dio: essa richiede di essere onorata fino alla fine dell’esistenza ma anche «in ogni momento e ambito della nostra esistenza». Sul banco di prova dell’obbedienza troviamo poi le mediazioni umane nelle quali si esprime la volontà di Dio, ovvero verso il vescovo e nei confronti del popolo di Dio «che ha il diritto di trovare sulle nostre labbra la parola di salvezza del Vangelo e di trovarci disponibili per l’amministrazione dei sacramenti attraverso cui il Signore continua a donare, nella via ordinaria, la sua grazia».
Nella seconda parte della lettera, Paolo concentra la sua riflessione sull’esaltazione del servo Gesù operata da Dio a partire dall’attribuirgli il nome di kyrios, signore, trattamento riservato a lui stesso. Allo stato di signorilità consegue «la prostrazione del ginocchio e la confessione della lingua». La Chiesa nata dal Crocifisso risorto continua a rendere lode a Gesù nella liturgia e nell’annuncio del Vangelo a confessare la sua fede.
L’augurio del sacerdote è che «l’umiltà e l’obbedienza del Figlio di Dio, che contempleremo e celebreremo nel mistero adorabile del Natale, s’imprimano nella nostra vita di presbiteri, a servizio della sua Chiesa, e ci aiutino a continuare ogni giorno l’annuncio del kerygma della salvezza agli uomini e alle donne del nostro tempo».
A quel Gesù Cristo a cui Dio ha donato il nome di “signore” i sacerdoti assieme al vescovo Ruzza hanno reso lode nell’intensa adorazione del Santissimo Sacramento che ha concluso il ritiro.
Simone Ciampanella
(07/12/2021)