Don Franco Magnani al ritiro del clero

Il sacerdote, già direttore ufficio Cei della liturgia ha parlato dell’«arte del celebrare»

Martedì scorso la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo ha accolto i sacerdoti per il ritiro del clero. La riunione è stata organizzata nel rispetto delle disposizioni in contrasto all’emergenza sanitaria, grazie alla disponibilità e all’attenzione dell’attiva comunità dell’Olgiata-Cerquetta guidata da don Paolo Ferrari assieme al viceparroco don Antonio Marini. A parlare ai presbiteri il vescovo Gino Reali ha invitato di nuovo don Franco Magnani, direttore dell’ufficio liturgico nazionale per due mandati durante la redazione finale della terza edizione del Messale romano.

Lo scorso dicembre il sacerdote aveva già illustrato ai presbiteri alcuni punti della nuova versione. Aveva presentato la logica delle scelte adottate chiarendone l’idea di una maggiore attinenza al dettato della scrittura in ascolto della tradizione seguita nella vita liturgica. Nell’intervento del 23 febbraio su indicazione del vescovo, don Magnani ha soffermato la sua riflessione sull’“ars celebrandi”.

L’arte del celebrare sostituisce l’arte del presiedere nel senso di una maggiore partecipazione del popolo di Dio a rito sacro. Ma, «la condizione è la celebrazione adeguata del Rito stesso» ha spiegato il relatore riferendosi al numero 38 di Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI. C’è sempre stata nella storia la tentazione di praticare un cristianesimo intimistico «che non riconosce ai riti liturgici pubblici la loro importanza spirituale» ha sottolineato il sacerdote citando dalla Catechesi nell’udienza generale dello scorso 3 febbraio tenuta da papa Francesco. Il pontefice che già da cardinale di Buenos Aires aveva dato contributi importanti nella cura della liturgia ha aggiunto in quell’udienza: «Nella vita cristiana non si prescinde dalla sfera corporea e materiale, perché in Gesù Cristo essa è diventata via di salvezza. Potremmo dire che dobbiamo pregare anche con il corpo: il corpo entra nella preghiera».

Dunque, ha commentato don Magnani «non basta eseguire, tanto meno improvvisare la nuova forma rituale, ma occorre agire nel modo più consono alla verità dell’azione liturgica e di certo non è sufficiente solo seguire le rubriche». Si tratta invece di adottare uno stile del celebrare «che rinvia ad una “arte”, cioè ad una capacità di porre i gesti e le parole del rito in maniera adeguata, seguendo le norme liturgiche e valorizzando tutta la ricchezza del linguaggio liturgico ». In questa direzione «il Messale offre il programma rituale che, predisponendo la struttura, gli attori, i linguaggi, lo spazio e il tempo di un’azione, fornisce la griglia indispensabile affinché l’“actio sacra” che verrà esercitata rimandi al mistero della fede e sia attuabile dagli uomini e dalle donne radunati in assemblea.

Simone Ciampanella 

 

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