Una casa come rappresentazione plastica del Presepe: associare l’idea delle porte e finestre chiuse, alla nostra anima. Ma la Nascita di Cristo è un evento impensabile che deve essere vissuto insieme.
Costretti dalla recente emergenza sanitaria a rimanere isolati, quale migliore luogo di ripartenza, per una nuova speranza, può rappresentare una casa? Da qui il principio ispiratore per la realizzazione del Presepe, edizione 2020. L’idea originaria è stata di proporre un’abitazione, all’interno della chiesa: metà casa di Dio e della Comunità e metà, frutto dell’immaginazione, proiettata verso il mondo esterno, cioè la nostra quotidianità. Il nucleo centrale del progetto: associare il concetto di casa a quello dell’anima. E così come siamo presi dal “fuori” della vita, magari abbiamo curato più la facciata che non la parte interna (interiore). E la domanda è: questo nemico invisibile e pericoloso con cui stiamo convivendo da mesi può aver sconvolto a tal punto le nostre vite da far passare in secondo piano la grandiosità di un evento qual è la nascita di Dio?
Bloccati dentro i nostri appartamenti, ci siamo trovati a togliere dai bauli o cantine della spiritualità tutta la nostra Umanità, riscoprendo chissà tesori dimenticati. Perciò aperto uno scrigno prende vita la Natività che con la sua potenza riempie le quattro mura, la invade coinvolgendo tutti noi, ritrovandoci in piena “pandemia” d’amore: quella del Signore per noi. E tale Amore, simboleggiato dai personaggi e scene del Presepio riempie tutti gli spazi fin nei più reconditi recessi della nostra anima/casa. Dalle finestre sbarrate si intravvede infatti che è imminente la loro uscita perché troppo piccola per contenerli. C’è quindi da spalancare una porta, da girare manopole. E non è stata casuale la scelta delle due ante di vetro senza maniglia esterna: internamente (l’uomo) ma anche chi è al di fuori (la Comunità) può e deve allargare a dismisura i varchi per lasciarsi trascinare da questo momento sublime da vivere insieme.
Allora la nostra casa non sarà più un rifugio, un luogo chiuso agli altri ma un posto per far crescere l’amore per il prossimo e per la condivisione. Gli abiti appesi, le scarpe pronte, la macchina da cucire parlano di una presenza: una parte distratta dagli affanni quotidiani e l’altra invece attratta dal desiderio, non più sopito, di un invito a essere protagonisti e non semplici spettatori della Vita.
Un ringraziamento ai numerosi volontari: Paolo, Roberto, Massimo, il giovane Andrea, Maurizio, Janet, Sabatino; al parroco Don Domenico che sopporta “l’invadente creatività” degli organizzatori; una menzione particolare al signor Domenico che con le sue creazioni permette di arricchire la solenne Rappresentazione. Infine grazie a chi vorrà lasciare un’offerta.
Danila Tozzi