Tre parole hanno scandito la veglia di Pentecoste nella cattedrale della Storta sabato scorso: perdono, ascolto, libertà. In ragione del contenimento del coronavirus la presenza nella chiesa era ridotta. Molti hanno seguito la diretta attraverso la pagina Facebook della diocesi, riequilibrando così la partecipazione in genere numerosa alla liturgia in cui la Chiesa ricorda l’effusione dello Spirito Santo. Durante la Messa il vescovo Gino Reali ha rinnovato il mandato agli operatori della carità, negli anni precedenti era toccato ai catechisti e ai ministri straordinari dell’Eucarestia. Con ciclo triennale, dunque, la veglia ricorda l'unià dei servizi ecclesiali alimentati dai carismi donati dalla terza persona della Trinità.
Negli Atti degli apostoli seguiamo il ritorno a Gerusalemme della comunità fondata da Cristo: «Assieme a Maria e alle 120 persone di cui parla il testo vediamo la prima Chiesa. Noi siamo la Chiesa di Gesù» ha detto il presule all’inizio della celebrazione: «Riceviamo da lui questa sera, in maniera particolare la promessa dello Spirito, che illumina, che rafforza, che completa l’opera della salvezza. Allora chiediamo perdono per le volte che non ci siano fidati dello Spirito, quando non ci siamo lasciati guidare da lui».
L’insicurezza della pandemia aveva posto la questione del rinvio del mandato, ma «credo sia invece un momento opportuno in cui abbiamo bisogno di rinvigorire il nostro servizio», ha spiegato Serena Campitiello, direttrice Caritas, nella presentazione dei volontari al vescovo prima del rito. Con l’emergenza sanitaria, e soprattutto con le sue conseguenze, «si aprono sfide che ancora non possiamo immaginare. Sfide che ci interrogano e ci chiedono di cambiare la visione delle cose», spiega la responsabile: «sperimentando la fragilità e la solitudine, ci siamo immedesimati nelle persone che ci chiedono aiuto, e ogni parrocchia ha individuato nuove modalità per la carità, come la distribuzione a domicilio o la cena da asporto», grazie anche a una rinnovata solidarietà diffusa tra le persone. Le restrizioni hanno imposto la distanza, evitando ogni contatto, «ma l’ascolto non ci è stato negato, ognuno di noi ha potuto fare esperienza di ascolto vero, che è la dimensione centrale del nostro servizio, oltre ogni richiesta materiale», ha concluso Serena.
Questo è lo stile insegnato da Gesù nel Vangelo. Lo stile mostrato da chi in questi ultimi mesi ha dato risposte concrete e necessarie alle fatiche di chi forse prima non sapeva neanche cosa fosse la Caritas. Ma, nel momento del bisogno le persone in sofferenza hanno trovato i volontari delle Caritas parrocchiali: «pietre vive che ricordano a tutti Cristo servo e buon samaritano», ha commentato il pastore durante il rito, chiedendo agli operatori presenti e a quelli collegati di «esprimere la carità dell’Eucarestia» e «servire i poveri per l’edificazione della Chiesa».
Il «sì» convinto pronunciato dagli operatori, molti avanti negli anni, senza paura di mettersi in gioco e capaci di tessere relazioni di amicizia, racchiude la testimonia del servizio quotidiano augurato dal vescovo al termine della preghiera: «Viviamo e portiamo a tutti la luce e la gioia dello Spirito, lo Spirito è libertà, la vita del cristiano è libertà. Con tutte le nostre difficoltà e i nostri limiti possiamo sempre portare avanti la novità della nostra fede: la grazia del Vangelo».
Simone Ciampanella