Niente festa di San Marco a Pantan Monastero. Covid–19, “sessantena” e celebrazioni a porte chiuse. Del resto è già da qualche anno che si festeggia solo con la processione, la Messa e qualche piccola iniziativa. Allora, si torna con nostalgia al 1923, quando un gruppo di contadini trevigiani, organizzati in “Cooperativa ex Combattenti Piave” da Luigi Corazzin, in sintonia con il vescovo Andrea Longhin (ora beato), si insediarono in questa zona alla periferia di Roma alla ricerca di una vita migliore. Fatica, fame, malaria. Niente chiesa: niente Messa. Chi poteva, la domenica, andava a piedi alla Madonna del Riposo o a San Pietro. La prima festa si celebrò nel 1930 quando don Ettore Cunial recò ai veneti una reliquia di san Marco, portata in processione in una stalla adattata a chiesa.
Alterne vicende e una cattiva amministrazione hanno costretto i coloni a gravissimi sacrifici, ma la fede non è venuta mai meno e la festa contribuiva a far crescere la comunità. Nel 1939 si portò in processione una statua del santo, ricavata da un san Rocco “rielaborato” con un rotolo sulla mano sinistra e una penna d’oca sulla destra e col suo cane rivestito di criniera e di muso feroce. La statua è tutt’ora portata in processione nonostante la nuova chiesa, costruita dagli stessi abitanti negli anni Cinquanta su un’area donata dai coloni già nel 1934 e dedicata anche a san Pio X, disponga di un gruppo scultoreo, sempre di san Marco, donato dal compianto don Gustavo Cece per rendere più solenne la festa. Col progressivo distacco dal lavoro dei campi, la lottizzazione, l’abusivismo edilizio, quindi con l’aumento degli abitanti, si è andati verso festeggiamenti con preponderanza civile, fino quasi a scomparire per burocrazia e balzelli vari. Resta la speranza di poter portare di nuovo, l’anno prossimo, il nostro san Marco e la sua reliquia (sperando nella restituzione) partendo dalla stalla che lo accolse alla chiesa che lo venera.
Cristoforo Dudala, parroco