Questo periodo del coronavirus ha cambiato la nostra vita, la vita delle nostre famiglie, la vita della società, delle nostre parrocchie, dell’Italia e del mondo. Ci fa riflettere soprattutto sul senso della vita. Quando si parla ogni giorno della morte a causa del Covid–19 tutti noi desideriamo che possa arrivare la fine di questo incubo. Nel frattempo però sono nate tante iniziative positive, come la fraternità, la solidarietà, la carità umana e cristiana in tanti ambienti, soprattutto negli ospedali, nei paesi, nelle famiglie.
Ci siamo di nuovo uniti, quasi per costrizione, nello stare insieme, magari nel diventare come le prime comunità cristiane come si legge negli Atti degli Apostoli: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune». Siamo già arrivati a questa necessità di condividere tutto con coloro che giacciono, come Lazzaro, alla porta di coloro che potrebbero aiutare le persone e le famiglie in difficoltà, come ci ricorda ogni giorno papa Francesco. I primi cristiani fecero così: «Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno».
Sì, il coronavirus potrebbe ridimensionare la nostra vita e trasformarla in un’occasione di solidarietà fraterna, cristiana. Questa pandemia è giunta in un tempo molto favorevole, siamo in Quaresima, per mettere al primo posto nella nostra vita l’amore per Dio e per il prossimo, come è successo spesso nella storia dell’umanità attraverso degli avvenimenti dolorosi. Benedetto XVI scrive nel suo libro Gesù di Nazaret: «Purificazione – sempre di nuovo la Chiesa, il singolo, necessitano della purificazione, tanto dolorosi quanto necessari, pervadono l’intera storia, pervadono la vita degli uomini che si sono donati a Cristo. In queste purificazioni è sempre presente il mistero di morte e risurrezione. L’autoesaltazione dell’uomo come anche delle istituzioni va tagliata via; ciò che è diventato troppo grande va ricondotto alla semplicità e alla povertà del Signore stesso.
Solo attraverso tali processi di morte la fertilità persiste e si rinnova». Il Covid–19 ci ha costretto a rinunciare a tante cose che ci sembravano indispensabili, ma la cosa più dolorosa è che ci ha privato della Eucarestia, del corpo e del sangue di Cristo, oltre a tutti i sacramenti della Chiesa cattolica. Anche questo digiuno forzato potrebbe far nascere in noi un desiderio, una nostalgia più forte e profonda per il giorno di grazia, quando potremo di nuovo riunirci nelle nostre parrocchie per celebrare il sacrificio di Cristo e ricevere con più gratitudine e ringraziamento la Comunione. Per aumentare questo desiderio vi lascio un altro pensiero di Benedetto XVI: «L’Eucarestia appare come il permanente grande incontro dell’uomo con Dio, in cui il Signore dà se stesso come carne affinché noi – in Lui e nella partecipazione al suo cammino – possiamo diventare «spirito»: come Egli, attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità di umanità, che si compenetra con la natura di Dio, così questo mangiare deve essere anche per noi un’apertura dell’esistenza, un passaggio attraverso la croce e un’anticipazione della nuova esistenza della vita in Dio e con Dio».
MIchael Joser, vicario foraneo di Maccarese
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