Giovani piene di vita

Celebrata mercoledì scorso la memoria delle patrone della diocesi Rufina e Seconda

«La nostra Chiesa nasce da un rifiuto, il rifiuto subito da due giovani sorelle da parte dei loro fidanzati, della famiglia, della società». Nella festa delle sante Rufina e Seconda, patrone di Porto– Santa Rufina, il vescovo Gino Reali recupera questo insegnamento dalle letture del 10 luglio. Assieme al vicario foraneo di Selva Candida, don Cristoforo Dudala, il parroco, padre Aurelio D’Intino e altri sacerdoti il presule ha presieduto la celebrazione nella parrocchia dedicata alle due sante a Casalotti, nella periferia di Roma. Oggi città, ieri campagna, 1700 anni fa foresta fittissima, dove non penetrava neanche la luce: Silva nigra era il nome di questa zona.

Siamo a metà del III secolo, durante l’impero di Valeriano e Gallieno. Rufina e Seconda sono giovani patrizie romane, forse 16 o 20 anni, fidanzate con Armentario e Verino. Anni difficili per i cristiani perseguitati per la loro fede. Con ogni mezzo le autorità del tempo cercano di allontanare il popolo dalla fede in Gesù Cristo. I due fidanzati temendo per la loro vita abiurano e vogliono convincere le loro promesse di fare altrettanto. Le due si oppongono come racconta la loro passio e fanno voto di verginità. Gli uomini arrabbiati per la scelta le denunciano al conte Archesilao. Le fanciulle tentano la fuga da Roma, ma sono catturate e consegnate al prefetto Giunio Donato. Inutile la violenza esercitata per estorcerne l’apostasia, restano fedeli alla loro fede e la condanna a morte ne è la conseguenza. Le conducono al X miglio della via Cornelia, oggi corrispondente alla zona tra Casalotti e Boccea: Rufina muore per il taglio della testa, Seconda per le bastonate. I corpi abbandonati vengono recuperati dalla matrona romana Plautilla, avvertita in sogno dalle due sorelle e sepolti nel luogo del martirio. Agli occhi dei cristiani il loro sangue, come quella di altri testimoni della fede, rende pura quella selva oscura e negli anni il nome si tramuta in “candida”. Selva Nera e Selva Candida, due nomi che restano ancora oggi nell’urbanizzazione di questa periferia romana.

Quasi a ricordare la costante opposizione tra rifiuto e accoglienza: «martirio e miracolo» dice il vescovo Reali nella sua riflessione. «I rifiuti ricevuti dalle due ragazze nascono dallo spezzare i legami con gli altri, una tentazione sempre costante per tutti noi», ovvero lasciare le persone sole, isolarle e distruggere la fraternità. Ma, spiega il vescovo, «la storia si è rovesciata. Dalla loro condizione di estrema fragilità, di sconfitta è nata la nostra Chiesa, la nostra città, fondata su persone che hanno vissuto sulla pelle la passione di Gesù». Sull’esempio delle patrone «siamo chiamati a custodire l’apertura del cuore, conservare l’apertura verso gli altri, a portare la parola di Dio ovunque. Ringraziamo il Signore, sicuri che nonostante le nostre fragilità la nostra Chiesa rimane solida perché fondata sul sangue dei martiri».

Alla fine della Messa l’assemblea in processione raggiunge la cripta sotto la chiesa dove sono conservate le reliquie delle martiri. Il coro, che durante la funzione aveva ricevuto il mandato per l’animazione liturgica, aiuta i fedeli a entrare nella sacralità di questo spazio, dove nel mosaico Rufina e Seconda con in mano la palma osservano con occhi grandi di speranza chi entra nella loro dimora. Ancora una preghiera: il vescovo Reali rivolge il pensiero ai più fragili, agli anziani, ai malati e ai giovani: «Perché guardando Rufina e Seconda rimangano nella speranza e sappiano trovare la pienezza nella vita».

Simone Ciampanella

 

Stampa news