Come pietre angolari

La giornata di santificazione del clero al Santuario della Madre di misericordia a Ceri. Il vescovo Reali: «Dio mette Gesù nelle nostre mani, stupiamocene ogni giorno E viviamo la parrocchia come palestra per crescere nella fraternità e nel senso di appartenenza ecclesiale»

Dio prende la pietra scartata dai costruttori e la mette a fondamento di tutto e tutti. Ai sacerdoti riuniti a Ceri il 4 giugno per la giornata di santificazione, il vescovo Reali propone una meditazione a partire da questo brano degli Atti degli apostoli. Qui nel suggestivo borgo di Cerveteri, il santuario mariano si alza nella campagna come un luogo ideale per distaccarsi dal quotidiano. E attorno all’immagine della Madre della misericordia trovare il luogo dove mettersi faccia a faccia con la ragione della propria vocazione.

«Per noi sacerdoti guardare Gesù è un continuo stupore. Lo stupore davanti al Padre che mette nelle nostre mani il Figlio. Siamo chiamati a rinnovare ogni giorno questa meraviglia che ci rende un cuore solo e un’anima sola». Nella comunione fondata sull’Eucaristia il presule apre delle prospettive sulla natura della pietra angolare, «non solo sostiene il peso, ma lo sa distribuire sulle altre parti per la tenuta dell’edificio e svolge un’azione di mediazione tra le diverse spinte esercitate».

Il tempo degli atti degli apostoli, quello dei primi anni della Chiesa è simile a quello contemporaneo. Nella povertà materiale e spirituale «i sacerdoti devono portare avanti la cultura della fraternità e la pace». Anche se spesso le reazioni alla genuinità del Vangelo, che esorta a vivere queste esperienze, «ci sorprendono» per l’incapacità di comprendere la carità: «Cari confratelli, dobbiamo far passare l’idea che Dio è amore incondizionato, il suo amore è un’offerta di libertà a ogni persona per riempire di senso l’esistenza». Va meditato di continuo questo rapporto, i presbiteri sono i primi testimoni dell’amore di Dio, che si fa incontro con gli altri: «Nel donarci al ministero che ci è stato affidato dobbiamo far vedere alla gente che solo nella relazione realizziamo noi stessi. Per essere non la pietra più grande, ma quella decisiva».

La parrocchia è la palestra in cui il sacerdote si allena assieme a tutta la sua comunità per essere segno visibile nel mondo della fede in Gesù Cristo. Nella Messa che chiude il ritiro, monsignor Reali sofferma la sua omelia sulle caratteristiche che hanno le comunità locali.

«Il parroco è un po’ il regista di tutti gli organismi e i gruppi, a partire dal consiglio pastorale e da quello degli affari economici parrocchiali». La prima attenzione del parroco è quella di formare i fedeli all’ecclesialità, crescere nel senso di appartenenza alla Chiesa diocesana e a quella universale. «Non dobbiamo essere l’uno fotocopia dell’altro, ma alla giusta differenza delle nostre parrocchie, che riflette l’eterogeneità del nostro territorio, dobbiamo unire la consapevolezza di una storia comune».

Per costruire questa identità bisogna partire da alcune semplici azioni: sobrietà della celebrazione attraverso la cura affidata al gruppo liturgico per assicurare la dignità della preghiera. «Vorrei poi suggerirvi di avvicinare all’altare coloro che tutti rifiutano o allontanano, i più fragili, per dare incoraggiamento a loro e ai loro genitori». Prioritaria rimane la catechesi dei bambini e la formazione dei ragazzi e dei giovani attraverso l’oratorio. Occhio di riguardo anche a scuola e mondo del lavoro, così come nel dialogo con le amministrazioni. Monsignor Reali sottolinea infine di prestare cura all’ambito della comunicazione: «Tutte le forme di pubblicazione riguardo a temi sensibili o a prese di posizione devono essere prima condivise con gli uffici diocesani».

di Simone Ciampanella

 

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