«Dufry» licenzia ottanta persone

L’azienda di Basilea che opera nei negozi dell’aeroporto Da Vinci perde la concessione (o non è interessata). Mons. Reali: «Vicini alle famiglie, la loro sofferenza smuova la coscienza dei responsabili»

L’aeroporto di Fiumicino continua a sfornare precarietà. Ora tocca agli 80 lavoratori della Dufry srl, che in questa settimana ha inviato ai suoi dipendenti le lettere di licenziamento. In piena crisi Alitalia e dopo la storia di Ecotech, che sotto Natale aveva mandato a casa il suo personale, lo scalo romano è teatro di una ulteriore crisi occupazionale che si ripete sempre nella stessa forma: lavoratori licenziati troppo facilmente per business mancato.

Le donne e gli uomini, per la maggior parte oltre i quarant’anni con famiglie monoreddito, impiegati dall’azienda di Basilea nei negozi dell’aeroporto, vedono seriamente minata la serenità per il loro futuro. Perché la clausola sociale, che prevede il reintegro della forza lavora nell’azienda che succede quella in chiusura, può non essere rispettata secondo la più recente normativa. E così chi verrà potrà tranquillamente utilizzare (purtroppo questo è il termine più adeguato) altre braccia, probabilmente a condizioni lavorative difficili e con salari ridotti al minimo.

Ma qual è la ragione che spinge l’azienda di Basilea a chiudere? Come tutti le aziende impegnate nei servizi del Da Vinci, Dufry opera in aeroporto attraverso una gara bandita da Aeroporti di Roma (Adr), che indica le caratteristiche per l’accesso. Le concessioni però sono a tempo e ogni volta che scadono Adr ricomincia con la stessa procedura. Purtroppo la competitività economica sembra essere diventata l’unico criterio valutabile. Ma Dufry, con i suoi precedenti nomi, opera in aeroporto dall’inizio degli anni Ottanta, quindi conosce bene le caratteristiche progettuali utili a mantenersi all’interno. Ci si chiede allora se davvero sia stata scalzata da altri soggetti più competitivi o se invece non abbia avuto più interesse a proseguire la sua avventura a Fiumicino. Qualunque sia la risposta, l’unica certezza è che questi meccanismi di ingresso e le scelte imprenditoriali sono giocate sulla pelle della famiglie.

«Mi rattrista la vicenda di queste 80 persone, e voglio esprimere tutta la vicinanza della Chiesa alle loro famiglie», ha dichiarato il vescovo Reali, che negli ultimi mesi ha più volte invitato tutti gli operatori aeroportuali a un cambiamento di marcia sul rapporto con i dipendenti. «L’aeroporto Leonardo Da Vinci – continua il vescovo – , luogo cruciale per l’economia e la società di Fiumicino, Roma e gran parte della regione, sembra diventata la casa della precarietà. Certo, questa situazione drammatica viene da lontano, anche se al momento si vuole far credere che non abbia né un padre né una madre». Non è infatti ammissibile che siano i lavoratori a pagare gli errori imprenditoriali. «Rimane l’amarezza per una precarietà che tocca famiglie e giovani e il timore fondato che a partire dall’aeroporto la precarietà si diffonda a macchia d’olio su realtà ad essa collegate». L’aerostazione coinvolge nelle sue attività un importante indotto concentrato principalmente a Fiumicino, ma anche distribuito su un’ampia area della regione. «Mi auguro – conclude il vescovo di Porto–Santa Rufina – che la sofferenza di tante persone smuova la coscienza di chi, oggi come ieri, ha la responsabilità perché luoghi così significativi siano guidati da atteggiamenti virtuosi» L’azienda di Basilea che opera nei negozi dell’aeroporto Da Vinci perde la concessione (o non è interessata). Reali: «Vicini alle famiglie, la loro sofferenza smuova la coscienza dei responsabili»

Simone Ciampanella

(07/06/2017)

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