"Glorificate Dio con la vostra vita": Evangelizzazione e rinnovamento della Liturgia

"Il nostro intento non è adeguare la liturgia al mondo, ma lasciare che la liturgia sia se stessa: un'icona trasformativa dell'ordo di Dio"

di S.E. Mons. Charles Chaput *

* Arcivescovo di Denver

 

Intendo iniziare questa riflessione nello scenario di un luogo inusuale: Mainz, in Germania, aprile del 1964. Soltanto pochi mesi prima, nel dicembre 1963, il Vaticano II aveva pubblicato un documento innovatore sulla liturgia. La 'Sacrosanctum Concilium' fu giustamente salutata come una sintesi del genio pratico e teologico del movimento liturgico. Il gruppo che si riunì a Mainz per la 'terza Conferenza Liturgica Tedesca' era comprensibilmente euforico e compiaciuto di sé. Un teologo pioniere del movimento liturgico europeo, membro di quel gruppo, non potè essere presente. Quel teologo era Padre Romano Guardini, autore dell'opera ormai classica "Lo spirito della liturgia". Pur non potendo esserci, Guardini inviò una lunga lettera aperta che fu letta durante la conferenza. In essa, egli lodava i lavori del Vaticano II, a testimonianza che lo Spirito Santo è vivo e guida la Chiesa, e affermava che la 'Sacrosanctum Concilium' avrebbe inaugurato una nuova fase nel movimento liturgico.

Il contenuto della sua lettera era tuttavia una complessa meditazione sul significato del culto. Nella parte finale, egli offriva un concetto che lasciò tutti sorpresi. Scriveva: "L'atto liturgico, e con esso tutto ciò che va sotto il nome di 'liturgia', non è così fortemente legato al contesto storico - antico o medievale o barocco -, per cui sarebbe più onesto rinunciarvi completamente? Non sarebbe meglio ammettere che l'uomo di questa era industriale e scientifica, con la sua nuova struttura sociologica, non è più capace di atto liturgico?". L'osservazione di Guardini fece grande scalpore, ma sembra che né teologi né liturgisti abbiano mai preso sul serio i suoi timori. Lasciate che vi dica che io invece quei timori li raccolgo. Penso che egli abbia messo il dito su una delle questioni cardine della missione nel suo tempo, e anche nel nostro.

Ciò che Guardini intendeva per atto liturgico, era la trasformazione della pietà e della preghiera personale in un genuino culto comunitario, la leitourgia, l'ufficio pubblico che la Chiesa offre a Dio. Riconosceva che la preghiera comunitaria della Chiesa era cosa ben diversa dalla preghiera privata di individui credenti. L'atto liturgico comporta un nuovo genere di coscienza, una "disponibilità verso Dio", una consapevolezza intima dell'unità di tutta la persona, corpo e anima, con il corpo spirituale della Chiesa presente in cielo e in terra. Comporta pure il riconoscimento che i sacri segni e le azioni della Messa - stare in piedi, in ginocchio, cantare e così via - sono in sé "preghiera". Guardini riteneva che lo spirito del mondo moderno stesse minando le convinzioni che rendono possibile questa coscienza liturgica. Egli spiegava che la nostra fede e il nostro culto non avvengono nel vuoto. Noi siamo sempre in qualche misura prodotti della nostra cultura. Le nostre strutture concettuali, le nostre percezioni della realtà, sono formate dalla cultura nella quale viviamo, che ci piaccia o no.

Proviamo a riferire la provocazione di Guardini al nostro attuale contesto americano: viviamo in una società in cui il principio organizzativo è il progresso tecnologico concepito in stretti termini scientifici e materialistici. La nostra cultura è dominata da tale visione onnicomprensiva di tipo scientifico e materialistico. Giudichiamo ciò che è "vero" e ciò che è "reale" da quello che vediamo, tocchiamo e verifichiamo attraverso la ricerca e la sperimentazione.

In tale genere di cultura, quale spazio può esservi per la tradizionale nozione cattolica riguardo alla persona umana creata a immagine di Dio invisibile, e che essa è una creatura di corpo e anima, infusa dello "Spirito di figliolanza" (cfr. Rom. 8, 15) mediante la liturgia e i sacramenti? Praticamente, quasi nulla di ciò che noi cattolici crediamo è sostenuto dalla cultura odierna. Perfino il significato di "umano" e di "persona" è soggetto a dibattito, come pure altri concetti dottrinali della visione cattolica sono aggressivamente ripudiati o ignorati. Pertanto la questione diventa: che implicazioni ha tutto ciò sul nostro culto - nel quale professiamo di essere in contatto, anima e corpo, con le realtà spirituali, cantando con gli angeli e i santi nel cielo e ricevendo sull'altare il vero Corpo e Sangue del Signore morto e risorto?

Ecco un altro dato: nella nostra vita di ogni giorno siamo circondati da monumenti inneggianti al nostro potere sulla natura e sul bisogno. I trofei della nostra autonomia ed autosufficienza sono ovunque - palazzi, macchine, medicine, invenzioni. Tutto sembra magnificare la nostra capacità di provvedere ad ogni necessità con il know-how e la tecnologia. Di nuovo la questione diventa: quale influsso ha tutto ciò con la premessa centrale per un corretto culto - che cioè siamo creature dipendenti dal nostro Creatore, e che dobbiamo rendere grazie a Dio per tutti i suoi doni, a cominciare dal dono della vita?

Possiamo porre le stesse questioni a proposito della nostra missione di evangelizzazione. Noi predichiamo la buona notizia che questo mondo ha un Salvatore in grado di liberarci dalla schiavitù del peccato e della morte, ma che impatto ha questa buona notizia in un mondo in cui la gente non crede nel peccato o che ritiene di non avere niente da cui essere salvata? Quale senso può avere la promessa della vittoria sulla morte per gente che non crede che esista nulla al di là del mondo visibile?

Allora ha ragione Guardini nell'affermare che l'uomo di oggi sembra incapace di vero culto? Penso di sì. Ma la domanda più importante per noi è questa: se ha ragione, noi che cosa faremo? Uno dei pochi che ha affrontato i temi sollevati dal Guardini, è un sacerdote di Chicago che ha dato il suo importante contributo per il rinnovamento liturgico e intellettuale della Chiesa, Padre Robert Barron. Barron affronta il tema in questo modo: "Il progetto non è formare la liturgia secondo le congetture dell'epoca, ma far sì che la liturgia interpelli e formi le congetture di ogni tempo. L'uomo di oggi è incapace di atti liturgici? Probabilmente. Ma non vi è nessuna ragione per disperare. Il nostro fine non è adeguare la liturgia al mondo, ma lasciare che la liturgia sia se stessa - un'icona trasformativa dell'ordo di Dio".

Barron sostiene che nell'era post-conciliare, l'istituzione liturgica cattolica ufficiale abbia optato per la prima scelta, cercando di adattare la liturgia alle esigenze della cultura contemporanea. Concordo e aggiungerei che il tempo ha dimostrato che si trattava di un vicolo cieco. Gli sforzi per inventare una liturgia più "rilevante" e "intelligibile" mediante una sorta di incessante culto della novità, ha generato solo confusione e una separazione ancora più profonda fra i credenti e il vero spirito della liturgia.

Non sono qui per riaccendere vecchie polemiche. Dobbiamo guardare a Gesù Cristo, e ciò significa che dobbiamo raccogliere la sfida insita nella questione del Guardini. Il prossimo grande compito del rinnovamento liturgico è costruire un'autentica cultura eucaristica, infondere una nuova sensibilità sacramentale e liturgica che renda i cattolici capaci di affrontare gli idoli e gli emblemi della nostra cultura con la fiducia dei credenti che traggono vita dai sacri misteri nei quali si entra in comunione con il Dio vivente. Dobbiamo scoprire vie nuove per penetrare nel mistero liturgico, per comprendere il posto centrale che la liturgia ha nel progetto salvifico di Dio, per vivere sinceramente come offerte spirituali per Dio, e per accettare le nostre responsabilità per la missione della Chiesa con una rinnovata spiritualità eucaristica.


Spero ora di dare il mio piccolo contributo per questo grande sforzo di rinnovamento presentando quattro punti:

Il primo è questo: dobbiamo recuperare la connessione intrinseca e inseparabile fra liturgia ed evangelizzazione. La liturgia è fonte e scopo della missione ecclesiale. Lo insegnava Cristo, era la prassi della Chiesa primitiva ed è stato riaffermato dal Concilio Vaticano II. Afferma la Sacrosanctum Concilium, 10: "La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico infatti è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore".

E' una bellissima visione della vita che si riceve dall'Eucaristia e si vive per l'Eucaristia. Sia questo il fondamento non solo del nostro pensiero sulla liturgia ma anche per le nostre strategie pastorali. Noi evangelizziamo per far entrare in comunione con il Dio vivente nella liturgia eucaristica, e a sua volta, l'esperienza di comunione con Dio ci spinge ad evangelizzare. A tale riguardo, il Novus Ordo, il nuovo ordine della Messa promulgato dopo il Concilio, è stato una grande benedizione per la Chiesa. La liturgia ci dona lo zelo per l'evangelizzazione e la santificazione del mondo. La traduzione nelle lingue correnti ha aperto nuove vie al contenuto liturgico, ha incoraggiato una partecipazione attiva e creativa di tutti i fedeli - non solo nella liturgia ma in ogni aspetto della missione della Chiesa.

Sono inoltre molto riconoscente al Santo Padre per avere concesso un uso più ampio della vecchia forma tridentina - non perché io la preferisca, trovo infatti che il Novus Ordo, correttamente celebrato, abbia un'espressività di culto molto più ricca; ma perché abbiamo bisogno di accedere all'intero patrimonio ecclesiale di fede e di preghiera. Il mio primo punto dunque è che non dobbiamo guardare alla liturgia come a qualcosa di distinto dalla nostra missione. Il nostro atto di culto a Dio nella Messa è un atto di adorazione, di sottomissione e di ringraziamento, come pure di adesione cordiale alla nostra vocazione di discepoli. Ecco perché ogni liturgia eucaristica termina su una nota missionaria - siamo mandati, incaricati di condividere il tesoro che abbiamo scoperto a chiunque incontriamo.

Il secondo punto: La liturgia è partecipazione alla liturgia celeste nella quale adoriamo in spirito e verità con la Chiesa universale e la comunione dei santi (Sacrosanctum Concilium, 8). Questa è forse la dimensione liturgica più trascurata oggi. Se le nostre liturgie le troviamo banali, ristrette, troppo incentrate sulle comunità di appartenenza con le proprie particolari esigenze, se mancano di un senso potente del sacro e del trascendente, è perché abbiamo perso il senso della partecipazione del nostro culto con la liturgia celeste.

Per dare un'idea di quanto dico, vorrei richiamarvi la leggenda di come il cristianesimo entrò in Russia. Si narra che verso l'anno 988, il principe Vladimiro I di Kiev fosse alla ricerca di una religione per la nazione. Inviò ambasciatori nei Paesi vicini per esaminare le virtù rispettive dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam. Nel corso delle loro indagini, gli uomini del principe ebbero occasione di assistere alla celebrazione eucaristica nella grande chiesa di Haghia Sophia a Costantinopoli. Rimasero colmi di stupore. Tornando in patria, riferirono: "Siamo andati dai greci che ci condussero al luogo dove essi adorano il loro Dio ... Noi non sappiamo se siamo stati in cielo o in terra ... Sappiamo solo che Dio dimora tra quella gente". Poco tempo dopo, Vladimiro fu battezzato e con lui tutto il suo popolo. La fonte di questo racconto è antica e molti storici ritengono che sia apocrifo. Ma anche se lo fosse, illumina sulle dimensioni cosmiche e missionarie della liturgia.

L'Eucaristia, così come fu sperimentata dagli uomini del principe di Kiev, è una liturgia cosmica che unisce il culto del cielo con il culto in terra. Nella Divina Liturgia, il Regno viene sulla terra così come in cielo. Cielo e terra sono pieni della gloria di Dio. Questa è la nostra fede, ma non so quanti credenti di fatto la vivano. Il Libro dell'Apocalisse ci mostra la liturgia celeste. Ricordate come inizia, San Giovanni "fu preso dallo Spirito nel giorno del Signore". In altre parole, stava celebrando l'Eucaristia di domenica quando gli fu data una visione del culto del cielo e del mondo a venire (Ap. 1, 9-10). Il libro è pieno di immagini liturgiche e sacramentali. A un certo punto, Giovanni vede una moltitudine innumerevole da ogni tribù, lingua, popolo e nazione che adorava l'Agnello eucaristico. Il vertice del libro è l'avvento di "un nuovo cielo e una nuova terra" con l'annuncio "ecco la dimora di Dio con gli uomini".

Due punti voglio sottolineare qui: primo, il nostro culto è un'icona delle cose celesti, una finestra dalla quale si affaccia la realtà e il destino della nostra vita. Secondo, la liturgia del cielo è la chiave per la universalità della missione della Chiesa. Nella visione cattolica della storia, il progetto salvifico di Dio è destinato a culminare nella liturgia cosmica, nella quale tutta la creazione dà lode e gloria a Dio, Creatore di tutte le cose. Ogni volta che celebriamo la liturgia sulla terra, noi pregustiamo in essa la consumazione della storia. Questa verità dovrebbe trasformare il nostro modo di celebrare e muoverci alla gratitudine nel vedere che il nostro Dio ci ha concesso il privilegio di unirci agli angeli e ai santi nell'adorazione dinanzi a Dio; dovrebbe renderci desiderosi di celebrare liturgie che siano venerabili e belle, che rivolgano il nostro cuore e la nostra mente alle cose di lassù.

Questa verità dovrebbe anche cambiare il nostro modo di rendere pubblica testimonianza nella cultura attuale. Siamo chiamati a testimoniare Gesù Cristo, a far conoscere il suo insegnamento, a combattere tutto ciò che viola la santità e la giustizia di Dio. E dovremmo comprendere la nostra missione alla luce del più grande progetto di Dio concepito prima della fondazione del mondo. Lo scopo ultimo della nostra testimonianza è di preparare la via per la liturgia cosmica in cui tutta l'umanità adorerà il Creatore. La nostra opera partecipa a questo progetto redentivo in cui Cristo continua a riconciliare tutte le cose fino al giorno in cui ogni ginocchio si piegherà nei cieli e sulla terra in adorazione e, come scrive san Paolo, Dio sarà tutto in tutti.

Ed ecco il terzo punto: occorre fare ogni sforzo per recuperare e vivere la stessa vibrante spiritualità liturgica ed evangelica dei primi cristiani. Alcune delle peggiori idee liturgiche post-conciliari erano mosse da un vago romanticismo sul modo in cui i primi cristiani credevano e celebravano, persuasi ad esempio che la Chiesa agli inizi non avesse il sacerdozio sacramentale e che l'Eucaristia avesse un rituale limitato, che fosse essenzialmente un pasto tra amici. Non voglio ora perdere tempo a respingere tali pretese. Il problema con queste ricostruzioni nostalgiche - primitiviste si può sintetizzare in un unico concetto: nessuno rischia la tortura e la vita per un pasto con gli amici, poiché proprio tortura e morte venivano sentenziate per quanti venivano sorpresi a celebrare l'Eucaristia al tempo della Chiesa delle origini. Ci sono racconti a iosa su questi fatti. Tra questi, mi commuove in particolare una testimonianza che ci giunge dall'anno 304, durante la grande persecuzione di Diocleziano. Ad Abitene, un villaggio nei pressi di Cartagine, si era radunata un'assemblea liturgica. Un testimone di quel fatto, qualche anno dopo, descrisse le torture di quei cristiani con una crudezza esplicita e brutale. La loro fede eucaristica è splendente. Un giovane di nome Felix, che aveva il ministero di lettore, interrogato sui motivi per cui aveva disobbedito al decreto dell'imperatore, rispondeva: "come se uno potesse essere cristiano senza la Messa o che si possa celebrare la Messa senza un cristiano!... Il cristiano esiste con la Messa e la Messa nei cristiani! L'uno non può esistere senza l'altra... Abbiamo celebrato l'assemblea gloriosa, e ci siamo radunati per leggere nella Messa le Scritture del Signore". Notiamo in questa confessione gli stessi temi di cui stiamo parlando. Per quei discepoli la Messa non è una semplice mensa. E' "assemblea gloriosa", una liturgia celeste che designa la loro identità di cristiani come anche l'identità della Chiesa, tanto è vero che uno dei compagni martiri di Felix confessava: "Non possiamo vivere senza la Messa".

Questo è il genere di fede che deve ispirare la nostra liturgia. Ma allo stesso tempo, la nostra liturgia deve ispirare questo genere di fede. Davvero possiamo dire oggi che siamo pronti a morire piuttosto che non celebrare la Messa? La liturgia ci può ispirare solo se la mettiamo al centro dei nostri giorni. Al primo posto di una nuova cultura eucaristica ci deve essere la celebrazione domenicale della Messa. Uno degli impatti più gravi della cultura relativistica sull'Eucaristia è il fatto che per noi la domenica non è più il primo giorno della settimana ma l'ultimo giorno del "weekend". Gesù Cristo risuscitò dai morti "il primo giorno della settimana" (Mc. 16, 2). Per questo, i primi cristiani veneravano la domenica come la "Pasqua settimanale", il giorno del Signore. Lo stesso vale per noi. La Messa deve essere la nostra offerta spirituale all'inizio di ogni settimana, non un qualcosa che "infiliamo" nel nostro tempo libero prima di tornare al lavoro il lunedì. Anche questo sottile cambiamento di prospettiva potrebbe avere un forte impatto sul modo in cui celebriamo e come viviamo la nostra fede nel mondo.

Il quarto e ultimo punto è: la liturgia è una scuola di amore oblativo. La legge della nostra preghiera sia anche la legge della nostra vita. Lex orandi, lex vivendi. Siamo chiamati a diventare il sacrificio che celebriamo. E' impressionante notare quanti racconti dei primi cristiani martiri, soprattutto racconti di vescovi e sacerdoti, siano narrati in "chiave eucaristica". E' un classico il martirio dell'anziano vescovo Policarpo. Il racconto è tutto impostato con metafora eucaristica fino al punto che Policarpo pronuncia una lunga preghiera modellata sul canone eucaristico della Messa. Al termine Policarpo invoca, riecheggiando l'orazione della Messa: "Che io sia accolto oggi... come un ricco sacrificio gradito", e infine fu arrostito vivo. I testimoni diranno di aver sentito il profumo non di carne bruciata, ma di pane spezzato. L'altro esempio classico è Sant'Ignazio, vescovo di Antiochia. In prigione aspettando la sua esecuzione che consisteva nell'essere sbranato dai cani, scrisse: "Sono farina di Dio dato in pasto alle bestie feroci per essere trovato pane puro di Cristo".

Non soltanto i martiri sono offerta eucaristica, ma anche voi ed io ed ogni credente battezzato. Di continuo leggiamo nel Nuovo Testamento che tutti siamo chiamati ad offrirci a Dio come sacrificio vivente di lode, santo e gradito a Dio (Rom. 12, 1). Questa è la prima pietra della dottrina cattolica sul sacerdozio comune di tutti i battezzati. I primi cristiani si sentivano gli eredi della vocazione data a Israele, "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa". Tutti i battezzati, con il sacerdozio della propria vita, sono chiamati a offrire non il sacrificio cruento di animali, ma il sacrificio del cuore, simbolo della vita, in imitazione di Gesù Cristo.

Il nostro sacrificio di lode è innanzitutto nell'Eucaristia. Questo intende il Concilio quando esorta alla "partecipazione attiva" del laicato nella liturgia (SC, 14). Un'espressione che purtroppo è stata presa come licenza per ogni sorta di attività esteriore, agitazione ed efficientismo nel culto. Non era affatto questa la volontà del Vaticano II. La "partecipazione attiva" si riferisce al movimento interiore del nostro spirito, la nostra intima partecipazione all'azione di Cristo nell'offerta del suo corpo e sangue. Ciò esige che si abbiano spazi e "pause" durante la celebrazione per raccogliere le nostre emozioni e pensieri, e fare un atto consapevole di offerta di sé. Dobbiamo "innalzare i nostri cuori" e metterli con contrizione ed umiltà sull'altare insieme al pane e al vino.

Ma la nostra opera non finisce con la Messa. Lungo i nostri giorni, tutto - lavoro, sofferenze, preghiere, incarichi - tutto ciò che facciamo e sperimentiamo deve essere offerto a Dio come sacrificio spirituale. Tutto il nostro lavoro per i bambini non nati, i poveri e i disabili; tutto il nostro lavoro per l'immigrazione, la giustizia, la dignità del matrimonio e della famiglia. Tutto ciò sia offerto a lode e gloria del nome di Dio e per la salvezza dei nostri fratelli e sorelle. Questo è un altro grande insegnamento del Concilio che dobbiamo ancora integrare nella nostra ordinaria spiritualità. Nella Lumen Gentium, il Concilio insegna che tutte le nostre attività "sono offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo; nella celebrazione dell'Eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso" (Lumen Gentium, n. 34). Tutto quello che facciamo, nella liturgia e nella nostra vita nel mondo, è al servizio della consacrazione del mondo a Dio.

 

Così, cari amici, abbiamo chiuso il cerchio. Ecco la risposta alla sfida di Guardini. Voi siete la risposta alla sua sfida. L'atto liturgico diventa possibile per l'uomo d'oggi quando fate della vostra vita una liturgia, quando la vivete liturgicamente, un'offerta a Dio nel ringraziamento e nella lode per i suoi doni e per la salvezza. Voi siete il futuro del rinnovamento liturgico. L'atto liturgico diventa possibile per l'uomo d'oggi quando considerate la vostra vita e il vostro lavoro nella luce del progetto di Dio sul mondo, alla luce della sua volontà che tutti gli uomini e le donne si salvino e giungano alla conoscenza della verità (1 Tim. 2, 4). Il mistero che celebriamo con gli angeli e i santi deve radicarsi profondamente nella nostra vita e personalità, deve portare frutto. Ciascuno di noi deve dare il proprio unico contributo al misericordioso disegno di Dio - che tutta la creazione diventi adorazione e sacrificio a lode della sua gloria. E' quanto mai conveniente che concludiamo e ce ne andiamo con le parole di uno dei nuovi inviti di congedo del nuovo Messale Romano: "Glorificate il Signore nella vostra vita. Andate in pace!".


Intervento tenuto da Mons. Charles Chaput all'Istituto Liturgico dell'Università di St. Mary of the Lake, Mundelein, Chicago Illinois, USA.

 

fonte
http://www.archden.org/index.cfm/ID/4113

trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

 

(03/04/2012)

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