* professore di Liturgia presso la Pontificia Università della Santa Croce e consultore della Congregazione per il Culto Divino
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), dopo la professione di fede, sviluppata nella prima parte, si passa alla spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, attua e continua l'edificazione della sua Chiesa. Infatti, se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza.
Quindi, esiste un rapporto intrinseco tra fede e liturgia, entrambe sono intimamente unite. In realtà, senza la liturgia e i sacramenti la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. E «dall'altra parte, l'azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede. La sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 34).
Se apriamo il Catechismo nella sua seconda parte, si legge che la parola “liturgia” significa originariamente «servizio da parte del popolo e in favore del popolo». Nella tradizione cristiana vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all'«opera di Dio» (CCC, 1069).
In che cosa consiste questa opera di Dio alla quale noi partecipiamo? La risposta del Catechismo è chiara e ci permette di scoprire l'intima connessione esistente tra fede e liturgia: «Nel Simbolo della fede, la Chiesa confessa il mistero della Santa Trinità e “il mistero della sua volontà, secondo [...] la sua benevolenza” (Ef 1,9) su tutta la creazione: il Padre compie il “mistero della sua volontà” donando il suo Figlio diletto e il suo Santo Spirito per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome» (CCC, 1066).
Infatti, «quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione» (CCC, 1067). È questo il mistero di Cristo che la Chiesa «annunzia e celebra nella sua liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo» (CCC, 1068).
Per mezzo della liturgia «si effettua l'opera della nostra redenzione» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 2). Pertanto, come fu inviato dal Padre, Cristo ha inviato gli Apostoli a predicare la redenzione e ad «attuare l'opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica» (ibid., 6 ).
Così vediamo che il Catechismo sintetizza l'opera di Cristo nel mistero pasquale, che è il suo nucleo essenziale. E il nesso con la liturgia è ovvio, poiché «attraverso la liturgia Cristo, nostro Redentore e Sommo Sacerdote, continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione» (CCC, 1069). Quindi, questa «opera di Gesù Cristo», perfetta glorificazione di Dio e santificazione degli uomini, è il vero contenuto della liturgia.
Questo è un punto importante perché, sebbene l'espressione e il contenuto teologico-liturgico del Mistero pasquale dovrebbero ispirare lo studio teologico e la celebrazione liturgica, non è sempre stato così. Infatti, «la maggior parte dei problemi collegati all'applicazione concreta della riforma liturgica ha a che fare con il fatto che non è stato tenuto sufficientemente presente il peso dato dal Concilio Vaticano II alla Pasqua […]. Pasqua significa inseparabilità della Croce e della Risurrezione [...]. La Croce sta al centro della liturgia cristiana, con tutta la sua serietà: un ottimismo banale che nega la sofferenza e l'ingiustizia nel mondo e riduce l'essere cristiani all'essere cortesi non ha nulla a che fare con la liturgia della croce. La redenzione è costata a Dio la sofferenza di suo Figlio, la sua morte, e l’“exercitium” della redenzione, che, secondo il testo concilare, è la liturgia, non può avvenire senza le purificazioni e le maturazioni che vengono dalla sequela della croce» (J. Ratzinger / Benedetto XVI, Teologia della liturgia, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 775-776).
Questo linguaggio si scontra con quella mentalità incapace di accettare la possibilità di un reale intervento divino in questo mondo, in soccorso dell'uomo. Quindi, «la confessione di un intervento redentore di Dio per cambiare questa situazione di alienazione e di peccato è vista da quanti condividono la visione deista come integralista, e lo stesso giudizio è dato a proposito di un segnale sacramentale che rende presente il sacrificio redentore. Più accettabile, ai loro occhi, sarebbe la celebrazione di un segnale che corrispondesse a un vago sentimento di comunità.
Il culto però non può nascere dalla nostra fantasia; sarebbe un grido nell'oscurità o una semplice autoaffermazione. La vera liturgia presuppone che Dio risponda e ci mostri come possiamo adorarlo. “La Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce” (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 14). La Chiesa vive di questa presenza e ha come ragion d'essere e di esistere quella di diffondere tale presenza nel mondo intero» (Benedetto XVI, Discorso del 15.04.2010).
Questa è la meraviglia della liturgia che, come ricorda il Catechismo, è culto divino, annuncio del Vangelo e carità in azione (cf. CCC, 1070). È Dio stesso che agisce e noi siamo attratti da questa sua azione, per essere trasformati in Lui.
fonte: Zenit.org, 11/01/2012
http://www.zenit.org/article-29197?l=italian
(11/01/2012)