Il grande inglese convertito e Cardinale, il Beato John Henry Newman (1801 - 1890), era persuaso che il tema della devozione liturgica fosse di decisiva importanza in ogni epoca della Chiesa. Affermava, infatti, che la presenza o l'assenza di tale virtù distingue i veri credenti dai falsi cristiani.
Con parole audaci, Newman dichiarava: "Dai giorni degli apostoli, mai c'è stato un momento in cui la Chiesa non sia esistita; e mai c'è stato un tempo in cui si trovasse qualcuno che preferisse un modo di celebrare diverso dal modo di celebrare della Chiesa. Sempre sono vissuti questi due tipi di cristiani professi: cristiani ecclesiali e cristiani non ecclesiali; e fa impressione, io dico, che mentre, da una parte, il rispetto verso le cose sacre è una caratteristica dei cristiani ecclesiali nel loro insieme, dall'altra, la mancanza di rispetto è la caratteristica dei cristiani non ecclesiali nel loro insieme".
Egli deplorava che ben pochi credenti possedessero questa virtù. In una sconcertante dichiarazione, Il Cardinale affermava: "Intere società chiamate cristiane ne fanno quasi un principio primario di ripudiare il dovere della devozione e del rispetto; e noi stessi per i quali, come figli della Chiesa, la devozione è un'eredità tanto speciale, ne abbiamo molto poca e non ne sentiamo il bisogno".
La sua analisi è pertinente ai nostri tempi. In molte liturgie celebrate nelle parrocchie, non è comune trovare lo spirito di devozione di cui parla Newman. Oggi, il culto cattolico romano si è inquinato di abusi, di deviazioni illecite, di familiarità sconveniente, con una perdita del senso del sacro e una serie di disordini tali da banalizzare i sacramenti. Spesso funzioni liturgiche assumono il volto di un festival di auto-affermazione, guidate da formule di consumismo, intrattenimento e psicoterapia o ridotte a "teatralità artificiali", per usare un'espressione coniata dal nostro attuale Santo Padre, Papa Benedetto XVI.
Come Newman spiega, tale noncuranza per la virtù della devozione nella sacra liturgia, non è autenticamente cristiana, e non è perfino autenticamente religiosa: "In effetti, è talmente naturale il nesso tra uno spirito riverente nel rendere culto a Dio e la fede in Dio, che l'unica domanda è come possa qualcuno immaginare per un solo momento di aver fede in Dio e nello stesso tempo permettersi di essere irriverente verso di Lui. Credere in Dio è credere nell'essere e nella presenza di Colui che è onnipotente, tre volte santo e ricco di misericordia: come può un uomo credere veramente tutto ciò di Lui, e prendersi con Lui delle libertà? E' quasi una contraddizione in termini. Anche le religioni pagane hanno sempre considerato fede e devozione alla stessa stregua. Credere e non essere devoti, celebrare confidenzialmente e disinvoltamente, è un'anomalia e un fenomeno sconosciuti perfino alle false religioni, figurarsi per quella vera. Non soltanto le due religioni, ebraica e cristiana, provenienti direttamente da Dio, inculcano lo spirito di devozione e di timor di Dio, ma anche le altre religioni che sono esistite od esistono, sia ad est che a sud, inculcano lo stesso spirito. Le forme di venerazione - quali inginocchiarsi, togliersi le scarpe, stare in silenzio, indossare abiti prescritti e simili - sono considerate necessarie per un doveroso accostarsi a Dio. Il mondo intero, pur divergendo su tante cose, comprese le credenze e le norme di vita, su questo sono concordi: che Dio, essendo il nostro Creatore, comporta il dovere per la creatura di una certa auto-umiliazione di tutto l'uomo; che Egli è in Cielo, noi sulla terra; che Egli è pieno di gloria e noi vermi della terra ed insetti di un giorno".
La devozione liturgica o la non devozione è, alla fine, una questione di fede. Crediamo che il Signore del Cielo e della terra si rende presente a noi nei riti prescritti, nelle parole e nei simboli della liturgia cattolica o no? Se la nostra risposta è sì, ecco come Newman commenterebbe la nostra acclamazione di fede: "Dico questo, dunque, che penso non sia ragionevolmente contestato da nessuno. C'è una classe di sentimenti che dovremmo avere - sì, averli ad un livello intenso - se letteralmente avessimo la visione dell'onnipotente Dio; sono la classe di sentimenti che noi avremo se ci rendiamo conto della Sua presenza. In proporzione al nostro credere che Egli è presente, avremo quei sentimenti; e non averli significa non rendersi conto, non credere che Egli è presente".
La parole di Newman colgono l'essenza della devozione liturgica: credendo profondamente nella liturgia della Chiesa, noi ci poniamo dinanzi alla maestà ineffabile del Dio infinito e ci comportiamo coerentemente con quanto crediamo. Questa è la virtù da riscoprire nel culto cattolico di oggi, e c'è speranza all'orizzonte.
La riforma della traduzione inglese del Messale Romano entrerà in vigore a novembre nei Paesi di lingua inglese. La traduzione reintroduce un'esaltazione del linguaggio in tutta la Messa che accentua la santità e la gloria del Signore. Abbiamo tutte le ragioni per credere che essa infonderà un nuovo spirito di venerazione nella liturgia e aiuterà i cattolici a percepire ancora di più chi è Colui che vengono ad incontrare in chiesa, e di conseguenza a celebrarlo con l'onore e il rispetto profondo che Egli merita. Siamo ottimisti che la nuova traduzione susciterà, con le parole di Newman, " sentimenti di stupore, di maestà, di tenerezza, di riverenza, di devozione ed altri sentimenti che, in modo speciale, si possono chiamare cattolici".
fonte: National Catholic Register, 10/09/2011
http://www.ncregister.com/daily-news/john-henry-newman-and-liturgical-reverence/
(trad. it. a cura di d. G. Rizzieri)
(11/10/2011)