Il mistero del Tempo Pasquale

 di don Enrico Finotti *

 


1.  Tempo del Risorto

Il mistero del tempo pasquale ha le sue radici nella speciale presenza del Signore risorto, infatti: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (Atti 1, 3).

E’ questa singolare presenza del Risorto che la Chiesa celebra attualizzandola nel tempo di Pasqua, presenza che riempie di gioia il cuore dei discepoli. Il cero pasquale, che splende davanti all’assemblea liturgica, esprime simbolicamente la luce del Risorto che illumina la sua Chiesa.

I vangeli delle tre prime domeniche di Pasqua raccontano le apparizioni del Risorto e nei giorni della solenne ottava pasquale vengono proposti con ordine tutti i brani evangelici relativi alle apparizioni del Signore.

Lo stupore e il mistero della risurrezione pervadono tutta la liturgia del tempo raggiungendo espressioni di alto lirismo come nella sequenza Victimae paschali laudes, nella quale il primo annunzio dato da Maria di Magdala, prima testimone della risurrezione, si fonde con la rinnovata adesione e testimonianza della Chiesa di tutti i tempi:

“Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
portaci la tua salvezza”.

Il tempo pasquale intende quindi rendere attuale, in modo del tutto speciale, rispetto agli altri tempi sacri, quel singolare incontro con Gesù risorto che nei quaranta giorni della Pasqua apparve veramente ai suoi discepoli e che oggi continua la sua presenza ed azione, sempre vere e reali, nel modo mistico-sacramentale delle azioni liturgiche.

 

2. Tempo dello Spirito Santo

Nei giorni pasquali lo Spirito Santo, donato dal Signore risorto, esercita una crescente opera di manifestazione e santificazione fino alla sua piena effusione nel giorno di Pentecoste.

Già la sera del giorno stesso della risurrezione, nella sua prima apparizione ai discepoli radunati nel cenacolo, il Signore dona una prima effusione dello Spirito Santo:  “...alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo...” (Gv 20, 22).

Il libro-guida di questo tempo liturgico, secondo l’antica tradizione, è il libro degli Atti degli Apostoli: il protagonista è lo Spirito Santo, che forma e guida la Chiesa nascente.

Le ferie che intercorrono tra l’Ascensione e la Pentecoste acquistano particolare importanza, con formulari propri, che richiamano la promessa dello Spirito Santo e dispongono i fedeli ad attendere ed invocarne la venuta.

Infine la solenne Veglia e il giorno di Pentecoste celebrano l’effusione con potenza dello Spirito Santo, frutto del mistero pasquale.

 

3. Tempo dell’Eucaristia

Il tempo pasquale è il tempo eucaristico per eccellenza.

Il suo corpo arso d’amore
sulla mensa è pane vivo;
il suo sangue sull’altare,
calice del nuovo patto.

Mite agnello immolato
Cristo è la nostra Pasqua;
il suo corpo adorabile
è il vero pane azzimo. (Inno del Vespro del tempo pasquale)

È, infatti, soprattutto nell’Eucaristia che il Signore risorto si fa presente ed opera nella sua Chiesa. La celebrazione eucaristica quindi rende viva ed attuale l’azione misteriosa del Risorto così che noi diventiamo contemporanei a Lui e realmente veniamo coinvolti nell’ opera della nostra redenzione.

Lo speciale incontro col Risorto che i discepoli ebbero nel tempo delle sue apparizioni si realizza per la Chiesa in ogni celebrazione eucaristica, ma soprattutto nel tempo della Pasqua.

Come l’Eucaristia è il cuore di ogni domenica, così l’Eucaristia è il centro di ogni giorno del tempo pasquale.

E’ questa speciale connaturalità tra il tempo pasquale e l’Eucaristia che muove la Chiesa ad indicare il tempo pasquale quale tempo adatto per assolvere al precetto di ricevere, almeno annualmente, l’Eucaristia.

“Durante il tempo pasquale i pastori istruiscano i fedeli già iniziati al sacramento dell’Eucaristia sul significato del precetto della Chiesa di ricevere in questo tempo la santa comunione” (Lettera circolare Paschalis sollemnitatis, n. 104).

 

a. L’Eucaristia nelle domeniche di Pasqua

La celebrazione eucaristica delle domeniche del tempo pasquale deve avvenire con quella solennità e gioia tipiche della stessa domenica di Pasqua, di cui sono estensione. Così il popolo cristiano comprenderà la continuità del mistero della Pasqua celebrata in tutta la cinquantina pasquale. Queste domeniche sono infatti dette domeniche “di Pasqua” e non domeniche “dopo Pasqua”.

Per i neofiti adulti “questo è anche il tempo dedicato dalla Chiesa alla “mistagogia”, cioè all’introduzione più profonda, con la grazia dello Spirito, ai misteri che continuamente rigenerano e alimentano la vita cristiana”.

“Per gli adulti che hanno ricevuto l’iniziazione cristiana nella veglia pasquale, tutto questo tempo è riservato alla - mistagogia -... Si faccia sempre, nell’ottava di Pasqua, la preghiera di intercessione per i neo-battezzati, inserita nella preghiera eucaristica”.

“Durante tutto il tempo pasquale, nelle Messe della domenica vengano riservati tra i fedeli posti particolari per i neo-battezzati. Questi cerchino di partecipare alle Messe insieme ai loro padrini. Per essi si abbia il ricordo nella omelia e, secondo l’opportunità, nella preghiera dei fedeli” (Lettera circolare Paschalis sollemnitatis, n. 102 - 103).

 

b. L’Eucaristia quotidiana nel tempo pasquale

Ogni giorno del tempo pasquale gode del clima liturgico della stessa domenica, per cui la celebrazione eucaristica è il cuore di ogni giorno del tempo.

Nelle ferie di questo tempo, a preferenza di ogni altro giorno dell’anno liturgico, è opportuno invitare i fedeli a partecipare quotidianamente all’Eucaristia.

La celebrazione eucaristica quotidiana dovrà essere festiva in modo che i fedeli sentano di vivere in una continua festa, la festa della “beata Pentecoste”.

Il cero pasquale viene sempre acceso; non è da escludere che nelle ferie del tempo pasquale possa essere data la Santa Comunione sotto le due specie.

Nelle parrocchie prive della celebrazione eucaristica quotidiana sarebbe quanto mai opportuno che i ministri straordinari della guida liturgica assicurino ogni giorno, per quanto possibile, la celebrazione della Parola di Dio con la distribuzione della Santa Comunione.

 

c. La Santa Comunione ai malati nel tempo pasquale

“Si raccomanda molto che soprattutto nell’ottava di Pasqua la santa comunione sia portata agli infermi” (Lettera circolare Paschalis sollemnitatis, n. 104).

“I pastori d’anime curino che agli infermi e agli anziani... spesso e anzi, se possibile, ogni giorno, specialmente nel tempo pasquale, sia offerta la possibilità di ricevere l’Eucaristia” (Rituale Romano, Premesse n. 14).

Il parroco con gradualità e discrezione educherà i sofferenti a ricevere con gioia anche ogni giorno in questo tempo la Santissima Eucaristia per partecipare più efficacemente al mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore.

Il servizio quotidiano di portare la Santa Comunione ai malati ed anziani sarà egregiamente svolto dai ministri straordinari dell’Eucaristia, che trovano proprio nel tempo pasquale un vasto campo di apostolato e potranno consentire a molti infermi di vivere con pienezza sacramentale l’incontro col Risorto nel lieto tempo della Pasqua.

 

d. L’adorazione eucaristica nel tempo pasquale

La singolare consonanza tra il tempo pasquale e l’Eucaristia favorisce che in esso, a preferenza di altri tempi liturgici, si dia spazio all’adorazione eucaristica.

“La celebrazione dell’Eucaristia è il centro di tutta la vita cristiana, sia per la Chiesa universale che per le comunità locali della Chiesa stessa. Infatti “tutti gli altri sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato hanno uno stretto rapporto con l’Eucaristia e sono ad essa ordinati. Nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo, che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini: questi sono in tal modo invitati e indotti a coinvolgere, con quella di Cristo, l’offerta di se stessi, del loro lavoro e di tutte le cose create” (Rituale Romano, Premesse n. 1-3).

Inoltre “la celebrazione dell’Eucaristia nel sacrificio della Messa è veramente l’origine e il fine del culto che ad essa vien reso fuori della Messa”. Infatti Cristo Signore, che “nel sacrificio della Messa è immolato quando comincia a essere sacramentalmente presente come cibo spirituale dei fedeli sotto le specie del pane e del vino”, anche “dopo l’offerta del sacrificio, allorché viene conservata l’Eucaristia nelle chiese o negli oratori, è veramente l’Emmanuele, cioè “Dio con noi”. Giorno e notte resta in mezzo a noi e in noi abita, pieno di grazia e di verità” (ivi).

Nessun dubbio quindi che “tutti i fedeli, in linea con la pratica tradizionale e costante della Chiesa cattolica, nella loro venerazione verso questo santissimo Sacramento, rendono ad esso quel culto di latria che è dovuto al vero Dio. E se Cristo Signore ha istituito questo sacramento come nostro cibo, non per questo ne è sminuito il dovere di adorarlo” (ivi).

Alla luce di questa dottrina della Chiesa si propone che le settimane del tempo pasquale siano caratterizzate da una solenne adorazione eucaristica.

In tal modo la celebrazione eucaristica quotidiana in tono festivo, l’ampia possibilità di ricevere la Santa Comunione per gli infermi e l’adorazione settimanale dell’Eucaristia delineano in modo deciso la natura eucaristica del tempo pasquale ed offrono ai fedeli l’opportunità di un contatto vivo e del tutto singolare col Signore risorto e il suo sacrificio pasquale.

Perché in questo settore così santo tutto avvenga nel modo dovuto si devono tener presenti alcune norme:

 - nessun privato, singolo o gruppo, ha potere di disporre riguardo al Santissimo Sacramento, ma compete unicamente all’autorità della Chiesa stabilire le modalità del culto eucaristico; l’Eucaristia, infatti, è il tesoro di tutta la Chiesa.

 - il parroco è responsabile nella propria parrocchia della disciplina relativa all’esposizione, adorazione e benedizione eucaristica, sia che l’adorazione venga promossa da lui, sia che venga curata da altri ministri o  gruppi entro la parrocchia. Tutti quindi devono agire in comunione con gli orientamenti del pastore.

 - Per garantire la sacralità della Santissima Eucaristia, che è la presenza “vera, reale e sostanziale” del Signore Risorto e non un semplice simbolo sacro, la Chiesa stabilisce che nella esposizione, benedizione e reposizione eucaristica si osservino determinati riti e si usino gli abiti stabiliti.

Si distingue tra esposizione semplice ed esposizione solenne.

La prima si fa aprendo il tabernacolo o collocando la pisside sulla mensa dell’altare, la seconda ponendo l’Ostia nell’ostensorio ed esponendolo, direttamente o su di un trono, sulla mensa dell’altare. Per la benedizione eucaristica, sia semplice che solenne, non si ometta mai il velo omerale sopra il camice e la stola. Nella benedizione eucaristica solenne si usi il piviale e l’incenso.

Il sacerdote, dopo aver esposto il Santissimo Sacramento, si ponga in ginocchio sui gradini davanti all’altare, possibilmente col dorso al popolo per essere visibile dai fedeli e non scomparire dietro l’altare. La figura del sacerdote che davanti all’assemblea radunata si pone in adorazione rivolto al Cristo come tutti gli altri fedeli potrebbe ridare nuovo equilibrio ad una presidenza liturgica sempre e solo rivolta al popolo, che potrebbe portare ad una eccessiva visione sociologica della presidenza liturgica a scapito di un ruolo di guida adorante verso il mistero.

Si curi l’aspetto festivo dell’altare con i ceri e i fiori.

 - Anche quando l’adorazione eucaristica, al di là di indicazioni di carattere generale, è lasciata all’iniziativa dei singoli e dei gruppi, sarà necessario che si preparino preci e canti degni e adatti al mistero che si adora, evitando materiale banale, e forme spontaneistiche e mediocri.

“Nel disporre i pii esercizi eucaristici, si tenga conto dei tempi liturgici, in modo che gli esercizi stessi si armonizzino con la liturgia, da essa in qualche modo traggano ispirazione, e ad essa conducano il popolo cristiano” (ivi).

 - Conviene che anche nelle parrocchie senza il parroco residente venga organizzata l’adorazione eucaristica pasquale affidandola ai ministri religiosi e laici abilitati al ministero di guida liturgica o dal ministero straordinario della Eucaristia. Tale servizio, sotto la responsabilità inalienabile del parroco, sarà svolto secondo le norme previste dai libri liturgici e le indicazioni dell’ufficio liturgico diocesano.

L’adorazione che nel tempo pasquale è raccomandata con particolare solennità, potrà estendersi con più ordinarietà a tutte le settimane dell’anno, come già avviene in molti luoghi, secondo la possibilità e la sensibilità spirituale di ogni comunità.

 

4. Tempo dei Sacramenti

“La cinquantina pasquale si deve considerare il culmine dell’Anno liturgico ed è la fase più intensa delle celebrazioni dei Sacramenti che scaturiscono dal mistero pasquale”.

I sacramenti sono in relazione vitale col mistero pasquale, perchè da esso scaturiscono, e in esso introducono. Nei Santi segni è all’opera il Signore Risorto che interviene nella nostra vita per portarci la sua salvezza. I Sacramenti sono quindi l’attuale, efficace e continua azione del Risorto che edifica la sua Chiesa.

In essi vi è la costante azione dello Spirito Santo che, inviato dal Padre per la mediazione del Figlio, santifica i credenti.

Il tempo pasquale, quale “grande Domenica” annuale, ospita dovutamente quei santi segni, che attualizzano oggi il mistero della Pasqua e della Pentecoste. Ecco perchè il tempo pasquale è idoneo alla celebrazione solenne e comunitaria di tutti i sette Sacramenti.

Anzi, proprio la celebrazione corale e solenne dei Sacramenti incentrati nell’Eucaristia, costituisce la caratteristica liturgica primaria del tempo pasquale, che così è elevato a tempo maggiore, in quanto massima è l’efficacia della grazia che incorpora nuovi figli adottivi nella Chiesa e ne santifica i vari stati di vita.

 

5. Tempo della gioia e dell’ “Alleluia”

“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20, 19-20).

L’incontro col Risorto porta pace e gioia. Come i discepoli “gioirono al vedere il Signore”, così la Chiesa nel laetissimum spatium della Pasqua gioisce nell’incontro mistico-sacramentale col Signore Risorto.

“Sono risorto e sono sempre con te;
tu hai posto su di me la tua mano,
è stupenda per me la tua saggezza. Alleluia”.

Il motivo della gioia pasquale e della pace interiore scaturisce non solo dalla fede nella risurrezione del Signore e dalla sua continua presenza in mezzo a noi, ma anche dal fatto che, mediante i sacramenti pasquali, noi siamo risorti con lui a vita nuova ed immortale.

“E’ una caratteristica della festività pasquale che tutta la chiesa gioisca per la remissione dei peccati, concessa non soltanto a coloro che rinascono nel santo Battesimo, ma anche a quelli che da tempo sono stati ammessi nel numero dei figli adottivi”.

La gioia pasquale, che pervade tutto il tempo di Pasqua viene manifestata dal canto dell’“Alleluia”, che fa del tempo pasquale il tempo dell’“Alleluia”, la festa della Chiesa.

L’“Alleluia” è ripreso nella notte di Pasqua, dopo essere stato sospeso nel tempo penitenziale della Quaresima.

Anche la forma liturgica usata dalla Chiesa intende celebrare la ripresa dell’“Alleluia”, infatti, nelle cattedrali il diacono si rivolge al vescovo con queste parole:

“Reverendissimo Padre, vi annunzio una grande gioia, l’“Alleluia”.

Quindi il vescovo stesso o un altro ministro idoneo, intona per tre volte l’“Alleluia”, elevando gradualmente la voce.

Il canto dell’Alleluia, che mai come in questo periodo è tanto frequente e solenne, conclude il congedo della Messa nei giorni dell’ottava; è intercalato al salmo responsoriale-alleluiatico e caratterizza quasi tutte le antifone nell’Ufficio divino.

A questa abbondante espressione liturgica di gioia deve corrispondere nel cuore dei fedeli il dono della vera gioia pasquale, suscitata dall’azione dello Spirito Santo, che il Signore risorto in questo sacro tempo effonde sulla sua Chiesa in modo specialissimo. Infatti, i frutti dello Spirito sono “amore, gioia, pace ...” (Gal 5, 22).

“Le gioie del mondo vanno verso la tristezza senza fine. Invece le gioie rispondenti alla volontà del Signore portano alle gioie durature ed intramontabili coloro che le coltivano assiduamente. Perciò l’Apostolo dice: “ve lo ripeto ancora: rallegratevi” (Fil 4, 4).

Egli esorta ad accrescere sempre più la nostra gioia in Dio mediante l’osservanza dei suoi comandamenti, perchè quanto più avremo lottato in questo mondo per obbedire ai precetti del Signore, tanto più saremo beati nella vita futura, e tanto maggior gloria ci guadagneremo agli occhi di Dio”.

Ecco perchè le formule del congedo della Messa particolarmente indicate per il tempo pasquale sono:

“La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace” oppure “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”

 

6. Le tre solennità del tempo pasquale

“Questo tempo è profondamente segnato dalle tre solennità intorno a cui si snoda: Pasqua - Ascensione - Pentecoste.

Pasqua segna l’ingresso del Cristo glorioso nella vita di Dio. Ma la Pasqua di Cristo diventa la nostra: con essa dunque Dio chiama in vita una nuova creazione. La vita del Risorto entra con forza nella nostra vita e la trasforma: portiamo così in noi già la vita eterna, in cui Cristo è entrato. Il linguaggio cristiano la chiama - grazia -. Per ora è realtà nascosta, ma verrà un giorno in cui si rivelerà: quando saremo rivestiti di immortalità e “appariremo con Cristo nella gloria”.

L’Ascensione segna per Cristo il punto culminante del grande movimento di esaltazione, con cui Dio corona il suo abbassamento per noi, fino alla morte di croce. Ora è innalzato fino alla destra del Padre, ove ci precede per prepararci un posto. Poichè ci ha resi totalmente solidali con lui, in qualche modo ci trascina tutti in questo movimento di ascesa. L’ha detto bene Giovanni Crisostomo: “L’uomo che si trovava così in basso da non poter ulteriormente discendere, è stato elevato così in alto da non poter ulteriormente ascendere”. Questo ci invita, nell’attesa del futuro ingresso nella sua gloria, a vivere in intima comunione col Padre.

La Pentecoste, compimento dell’unica grande celebrazione pasquale, celebra l’effusione sulla Chiesa dello Spirito del Risorto. Il dono dello Spirito è infatti in rapporto con il fatto decisivo della Pasqua. Egli realizza in noi ciò che si è compiuto in Cristo: fa sì che il suo mistero diventi il nostro e ce ne applica i frutti; ci rende dinanzi al mondo testimoni della Risurrezione e capaci di una vita nuova. Una vita che si lascia guidare dalla fede, e stimolare dalle esigenze della carità; che si pone in antitesi con la “vetustà” del mondo che brancola nel buio e intristisce nell’egoismo; una vita libera che scuote da sè il giogo opprimente delle passioni e quello delle opinioni correnti; che vince tutte le tristezze del male con l’Alleluia di Pasqua”.

 

7. Maria Santissima nel Tempo di Pasqua

a. L’antifona “Regina caeli”

La liturgia romana non offre tematiche strettamente mariane relative al tempo pasquale. La raccolta recente delle Messe in onore della Vergine Maria prevede tuttavia dei formulari particolari per questo tempo.

L’antifona mariana d’obbligo è il “Regina caeli”.

“Regina caeli, laetare, alleluia,
quia quem meruisti portare, alleluia,
resurrexit, sicut dixit, alleluia,
ora pro nobis Deum, alleluia.

Essa esprime la gioia di Maria SS. per la risurrezione del suo unigenito Figlio e insieme offre alla Chiesa un’espressione semplice e consolidata della letizia pasquale.

Questa antifona nella sua brevità e per una tradizione ormai secolare è tuttavia in grado di conferire al tempo pasquale una impronta mariana quanto mai incisiva, al punto che la gioia di Maria SS. in essa espressa rappresenta il contrappunto che segna il tessuto di tutto il tempo pasquale.

E’ conveniente che ogni giorno si concluda anche la celebrazione eucaristica col canto del “Regina caeli”.

 

b. Il mese di maggio

Una particolare riflessione si deve fare sul mese di maggio, come mese mariano.

La liturgia non conosce dei mesi celebrativi, ma il suo cammino si svolge nella successione dei tempi liturgici, che hanno durata diversa a seconda delle fasi del mistero di Cristo.

La pietà popolare invece ha consacrato determinati mesi dell’anno a tematiche religiose particolari, di solito ispirate alla festa di riferimento celebrata in quel mese (es. il mese di marzo, dedicato a s. Giuseppe; il mese di maggio, alla Madonna; il mese di giugno, al Sacro Cuore; il mese di ottobre, al rosario e alle missioni; il mese di novembre, ai defunti, ecc.).

La Chiesa nel passato ha raccomandato ai fedeli queste devozioni e le ha pure trattate in vari documenti del magistero.

Occorre osservare che queste devozioni sono sorte in epoche in cui la liturgia non era ordinario nutrimento dei fedeli, i quali trovarono in questi pii esercizi l’alimento alla pietà e alla riflessione. Per di più non furono adeguatamente inseriti nell’alveo liturgico, per cui rappresentavano un cammino spirituale autonomo.

Una celebrazione del mese di maggio troppo caratterizzata in senso mariano rischia di far dimenticare il tempo liturgico della Pasqua per incentrare tutta l’attenzione dei fedeli sulla figura della Vergine. In tal modo si crea un duplice itinerario, quello liturgico e quello devozionale, tendenzialmente più popolare ed incisivo.

Si tratta ora alla luce della liturgia di correggere questa sfasatura inserendo il riferimento a Maria SS. in sintonia col mistero della Pasqua.

“Anche le pratiche dei ‘mesi mariani’ (sviluppatisi in Occidente indipendentemente dal ciclo liturgico) debbono sapientemente essere sintonizzate e rinnovate alla luce della liturgia. Ad esempio, il mese di maggio non può non respirare l’aria del tempo pasquale col quale coincide, ponendo in risalto soprattutto la partecipazione di Maria al mistero pasquale-pentecostale di Cristo e della Chiesa”.

Suggerimenti in tal senso potrebbero essere:

- ampliare all’estensione di tutto il tempo pasquale un riferimento a Maria, senza restringerlo al solo mese di maggio, in modo tale da sottolineare il ruolo di Maria in rapporto alla Pasqua e alla Pentecoste ed evitare che si crei all’interno del tempo pasquale un tempo mariano.

- concludere sempre l’Eucaristia quotidiana col canto del “Regina caeli”, che ha nella seconda domenica di Pasqua una celebrazione più solenne.

- usare nei sabato del tempo di Pasqua i formulari specifici, previsti nella collezione delle Messe in onore della Vergine Maria.

- sottolineare il ruolo di Maria SS. presente nel cenacolo nei giorni che intercorrono tra l’Ascensione e la Pentecoste.

I Vespri di questi giorni proposti dall’ufficio liturgico diocesano offrono indicazioni in proposito.

- anche la benedizione pasquale delle famiglie e delle case, tipica del tempo pasquale, quando si facesse per zone riunendo i vari settori parrocchiali, potrebbe svolgersi nel contesto della preghiera mariana del S. Rosario, meditando i misteri gloriosi ed impartendo la benedizione del Signore risorto alle famiglie lì radunate, come prevede il Libro delle benedizioni. Tuttavia l’elemento mariano deve introdurre alla principale motivazione di simili convocazioni: l’incontro e la benedizione del Risorto alla famiglia cristiana. Ciò deve essere tenuto presente anche nell’omelia e in eventuali altre parole di circostanza.

 

* parroco di Santa Maria del Carmine in Rovereto (TN)

 

FONTE: www.liturgiaculmenetfons.it

 

 

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