di Rodolfo Papa*
Nella lettera enciclica Veritatis Splendor (8 giugno 1993) Giovanni Paolo II scrive: «Per perfezionarsi nel suo ordine specifico, la persona deve compiere il bene ed evitare il male, vegliare alla trasmissione e alla conservazione della vita, affinare e sviluppare le ricchezze del mondo sensibile, coltivare la vita sociale, cercare il vero, praticare il bene, contemplare la bellezza» (n, 51).
L’enciclica colloca dunque la contemplazione della bellezza tra i precetti della legge naturale. Infatti “compiere il bene ed evitare il male” è il primo precetto della legge naturale, come è spiegato chiaramente dalla Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino (I-II, q. 94, a. 2), cui la stessa Enciclica fa riferimento. Inoltre l’enciclica elenca i precetti della legge di natura secondo l’ordine delle inclinazioni. La ragione pratica, infatti, apprende come beni umani ciò a cui l’uomo è naturalmente inclinato; Tommaso evidenzia che si tratta di tre ordini di inclinazione; innanzitutto la tendenza a conservare il proprio essere, cosa che non viene esplicitamente citata nel passo dell’enciclica; inoltre c’è un ulteriore livello di inclinazione che l’uomo condivide con gli altri animali, cioè la procreazione e l’educazione della prole, ovvero nei termini della Veritatis Splendor «vegliare alla trasmissione e alla conservazione della vita».
Infine ci sono le inclinazioni specificamente ed esclusivamente umane: conoscere la verità e Dio e vivere in società. Nell’enciclica le inclinazioni propriamente umane sono «affinare e sviluppare le ricchezze del mondo sensibile, coltivare la vita sociale, cercare il vero, praticare il bene, contemplare la bellezza». Notiamo come il riferimento alla contemplazione della bellezza sia una notazione non presente come tale nella questione 94 della I-II della Summa Theologiae; si tratta di uno sviluppo molto caro a Giovanni Paolo II, sempre sensibile alla bellezza e all’arte, come si vede per esempio dalla La lettera agli artisti del 1999 e dal Trittico romano del 2003.
Ebbene, questa premessa ci consente di collocare l’arte tra le attività propriamente umane in cui si manifesta tutta l’essenza dell’uomo: perché con l’arte l’uomo esprime la propria naturale inclinazione alla conoscenza della verità e alla ricerca della bellezza, fino alla specifica inclinazione a conoscere ed amare Dio. L’arte sacra aggiunge alla naturale dimensione dell’arte, l’illuminazione della Fede, ed è dunque un luogo privilegiato di incontro tra fede e ragione. Anche all’arte, come a tutte le dimensioni naturali dell’uomo, accade di trovarsi illuminata, elevata, perfezionata, dalla luce della Fede.
La Fede sana tutto l’uomo, cosicché anche la produzione artistica dell’artista credente è più “luminosa”; inoltre, essendo l’arte rivolta alla ricerca della bellezza, la Rivelazione di una Bellezza senza limiti illumina in modo speciale l’attività artistica. Può essere utile ricorrere all’analogia con la filosofia. L’arte di un artista credente è infatti simile al lavoro filosofico di un credente: la filosofia di un cristiano, pur non cessando di essere filosofia, risulta dotata di maggiori potenzialità.
Troviamo al proposito illuminanti indicazioni nella Fides et Ratio che precisa che la fede e la filosofia hanno intrecciato e intrecciano tre tipi di rapporti: «Il primo è quello della filosofia totalmente indipendente dalla Rivelazione evangelica» (n. 75); «Un secondo stato della filosofia è quello che molti designano con l’espressione filosofia cristiana …Due sono gli aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede … Vi è poi l’aspetto oggettivo, riguardante i contenuti» (n. 76); «Un altro stato significativo della filosofia si ha quando è la stessa teologia a chiamare in causa la filosofia. In realtà la teologia ha sempre avuto bisogno dell’apporto filosofico» (n. 77).
Ebbene, credo si possano trovare anche nella storia dell’arte, tre stati distinti: un’arte autonoma rispetto alla Fede, un’arte cristiana illuminata dalla Fede e un’arte interpellata dalla Fede. Il Concilio Vaticano II allude a questi tre stati dell’arte in relazione alla Fede nella Sacrosanctum Concilium dove leggiamo: «Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra» (n. 122). Possiamo cioè individuare nelle “belle arti” la dimensione autonoma dell’arte, nell’“arte religiosa” la dimensione dell’arte illuminata dalla Fede e infine nell’“arte sacra” la dimensione dell’arte che risponde alle esigenze della Fede.
L’arte autonoma rispetto alla Fede è l’arte nella sua dimensione “naturale”, e si dà in modo evidente nei tempi e nei luoghi non raggiunti dal Cristianesimo. Si tratta di un’arte che può esprimere profondamente l’essenza dell’uomo, e dunque anche la sua religiosità, ma ignorando la Buona Novella. Infatti, anche l’arte nella sua ricerca della bellezza, come la filosofia nella sua ricerca del vero, è come se arrivasse sul limite di una domanda a cui solo la Rivelazione può dare una risposta.
È importante specificare che diverso è lo stato dell’arte che volontariamente si oppone al Cristianesimo e non può dunque ritenersi “autonoma” o “naturale”, in quanto appunto costituisce una sorta di dimensione deviata dell’arte raggiunta dalla Fede, e semmai potrebbe essere descritta nei termini dell’ eresia, dello scisma o, ancor meglio, della apostasia. L’arte illuminata dalla Fede si trova nella produzione artistica operata da persone in cui l’attività artistica viene illuminata dalla Fede; si tratta dell’arte propriamente religiosa, di cui abbiamo innumerevoli esempi in pittura, in musica, in poesia.
Occorre aggiungere, a proposito di questo stato dell’arte, che come non esiste una “filosofia ufficiale della Chiesa” (n. 75), così non esiste un’arte ufficiale della Chiesa: «La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico» (Sacrosanctum Concilium, n. 123). In entrambi i casi viene indicato però un discernimento; non ogni filosofia può diventare cristiana, così come non ogni arte può esserlo.
Nel caso della filosofia, il requisito fondamentale richiesto dalla Fede è una dimensione “autenticamente metafisica”, come è scritto nella Fides et Ratio (nn. 81-83), nel caso dell’arte, la Chiesa ha rivendicato esplicitamente un ruolo di “arbitra”: «la Chiesa si è sempre ritenuta a buon diritto come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate» (Sacrosanctum Concilium, n, 122). Un chiaro criterio di scelta è espresso da Pio XII nella enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947), ovvero il giusto equilibrio tra «l’eccessivo realismo da una parte e l’esagerato simbolismo dall’altra» (n. 190).
Infine, esiste anche uno stadio in cui l’arte è chiamata dalla Fede a un ruolo più specifico: si tratta dell’arte sacra. Come la teologia ha “bisogno” della filosofia, così anche la Chiesa ha bisogno dell’arte, come chiaramente è espresso dal Messaggio agli Artisti del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965): «Ora a voi tutti, artisti, [...] Oggi, come ieri, la Chiesa ha bisogno di voi e si volge verso di voi». Il rapporto tra arte in quanto tale e arte sacra è simile al rapporto tra filosofia e teologia rivelata (ovvero Sacra Doctrina). Come non si può fare teologia senza Fede, così non si può fare arte sacra senza Fede.
Il Mistero può essere rappresentato senza profanarlo solo se lo si guarda con gli occhi della Fede; la narrazione evangelica può essere rappresentata dalle arti belle, senza cadere in traviamenti, solo se è intesa nella prospettiva della Fede. La liturgia è il luogo in cui in modo eccellente l’arte presta il suo “nobile servizio” alla Chiesa; nella Sacrosanctum Concilium si parla proprio di “nobile servizio”: «la santa madre Chiesa ha sempre favorito le belle arti, ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente per far sì che le cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, per significare e simbolizzare le realtà soprannaturali» (n. 122).
Al naturale statuto dell’arte, con le proprie regole e la propria storia, nell’arte sacra si aggiunge la Fede e una dimensione speciale di servizio alla Chiesa, una condizione ancillare che pienamente è espressa nella dimensione dell’arte liturgica.
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* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.
FONTE: Zenit.org, 07/03/2011